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Another End è il nuovo film del regista siciliano Piero Messina, con Gael García Bernal, Renate Reinsve, Bérénice Bejo e Olivia Williams.
Il film è stato presentato in concorso al 74º Festival Internazionale del Cinema di Berlino e il 19 marzo al Bif&st-Bari International Film&tv Festival.
Prodotto da Indigo Film e RAI Cinema e rilasciato da 01 Distribution, Another End gode di un respiro internazionale per il cast - il film è girato in lingua inglese e spagnola - e per le ambientazioni tra Parigi e Roma, rese però irriconoscibili nella storia, incorniciata in una città del futuro sospesa tra grattacieli e treni di periferia, priva di indicazioni geografiche collocabili.
La sceneggiatura è stata scritta dal regista Piero Messina insieme a Giacomo Bendotti, Valentina Gaddi e Sebastiano Melloni.
Another End racconta la storia di Sal (Gael García Bernal) alla disperata ricerca di un modo per affrontare il dolore provocato dalla perdita improvvisa della moglie Zoe.
[Il trailer ufficiale di Another End]
Fin dalle prime scene di Another End le tinte cupe della fotografia di Fabrizio La Palombara pervadono l'atmosfera di una nostalgia intrisa di ricordi, un magma vischioso che intrappola l'esistenza di Sal in un perenne sguardo al passato.
Preoccupata da questa condizione paralizzante, la sorella di Sal, Ebe (Bérénice Bejo), tenta di aiutarlo a fare i conti con l'assenza.
Ebe è protettiva e accudente, ma come ammantata da un'ombra che non si concede di confessare.
Determinata nel suo intento, Ebe consiglia al fratello di provare "Another End", una tecnologia fornita dall'azienda dove lei stessa lavora che permette di far rivivere provvisoriamente, a determinate condizioni, la coscienza di una persona morta, prima che il serbatoio di ricordi ed esperienze venga cancellato definitivamente.
L'idea alla base del progetto, a cui aderiscono molti abitanti della città, è quella di concedere un ultimo momento da vivere insieme per potersi salutare, un di-più temporale da riempire di senso per poi lasciare andare la persona cara, alleggeriti da quel senso di colpa che solitamente accompagna una scomparsa inaspettata.
La tecnologia sembra fornire, infatti, una cura per l'ossessione di chi resta in vita, schiacciato tra il rimorso di parole dette male o il rimpianto di parole non ancora pronunciate.
[Sal (Gael García Bernal) ed Ebe (Bérénice Bejo) in Another End]
Emerge qui il primo dei molti spunti filosofici che Another End pone, la suggestione secondo cui riuscire a dirsi addio un'ultima volta comporti matematicamente una diminuzione della sofferenza, quasi una capacità di applicare il raziocinio alla sfera più imponderabile tra quelle umane, la morte.
Nella fasi di elaborazione di un lutto la prima è quella del rifiuto, l'impossibilità di credere che si possa davvero sopravvivere a qualcuno a cui si è voluto bene; poi arriva il confronto con il vuoto, l'horror vacui della solitudine; infine sopraggiunge la rassegnazione, un moto di accettazione verso la nuova condizione e il tentativo di farci pace.
Per prendere le distanze dal dolore, però, serve fare i conti anche con i propri errori, con ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.
Il programma "Another End" promette di accelerare l'ultima tappa del processo, ma finisce in realtà per rimandare all'infinito la separazione, come un cerotto che tenta di arginare una ferita ancora sanguinante.
La sproporzione di consapevolezza tra le parti - chi torna temporaneamente in vita non è a conoscenza della sua fine, a differenza di chi accoglie il redivivo - provoca un'alterazione nell'equilibrio della relazione, un caos in cui finzione e realtà si sovrappongono.
La tecnologia vorrebbe addolcire la fine, presupponendo che l'essere umano sia in grado di lasciar andare l'amato, una volta trovato il modo giusto - esiste? - di dirsi addio, come se a un certo punto si potesse acconsentire alla perdita.
Se dunque in Another End il ruolo dello sviluppo tecnologico con velleità distopiche risulta piuttosto debole, è il punto di vista che Messina sceglie nel racconto del corpo a rendere il film interessante.
A tornare in vita sul piano meramente fisico, infatti, non è Zoe bensì un'altra donna, una "locatrice" (Renate Reinsve) che ha deciso di partecipare al programma mettendo a disposizione il proprio "involucro" per ospitare la coscienza e i ricordi della persona deceduta.
[Sal (Gael García Bernal) e la locatrice (Renate Reinsve) in Another End]
L'aspetto estraneo di Zoe diventa dunque un primo filtro che Sal deve superare per poter godere appieno di questo sogno lucido a tempo.
C'è infatti una scadenza entro cui portare a termine il programma e l'imminenza della fine - questa volta irreversibile - determina una lotta tra la fretta di sfruttare ogni istante e la difficoltà di riconoscere la moglie dentro un corpo altro.
Another End costringe lo spettatore a ragionare sul dualismo tra interiorità e fisicità, su un piano che va oltre la banale considerazione dell'attrazione estetica.
Qui è il significato che riempie il significante, è la memoria che muove i gesti di un'altra pelle, il vissuto che aderisce a una carne diversa, rendendola improvvisamente familiare. Quando la vita di coppia sembra riprendere afflato, il tempo a disposizione si esaurisce e Sal cade nuovamente nella disperazione di non poter più "rivedere" - non con gli occhi, ma con la consonanza dell'anima - la moglie. L'incapacità di sganciarsi da quel desiderio lo porta a cercare la donna che ha dato forma al mondo interiore della moglie Zoe, nonostante l'esperimento non permetta di intercettare la vita della locatrice da "sveglia".
Per Sal quel corpo è ormai un incrocio che mette in comunicazione ricordi e aspettative, una terra da esplorare a prescindere da chi la abita in quel momento.
[Sal (Gael García Bernal) e la locatrice (Renate Reinsve) da "sveglia" in Another End]
La scelta del regista di sviluppare entrambi i filoni narrativi però, esperimento e post-esperimento, non convince appieno: nel passaggio tra uno e l'altro si sente la mancanza di un collante che amalgami le due prospettive, come se fosse venuta meno nel quadro generale una selezione su quale dovesse essere quella predominante.
Fin dalle prime scene di Another End si percepisce una derivazione concettuale da altre opere cinematografiche che nel tempo hanno messo in scena tematiche simili - futuro distopico in cui la tecnologia è al servizio del desiderio umano di prolungare la vita dopo la morte, di cancellare o modificare i propri ricordi, di trovare un antidoto alla sofferenza - come la serie TV Black Mirror di Charlie Brooker del 2011, l'acclamato Eternal Sunshine of the Spotless Mind di Michel Gondry del 2004 o, per andare ancora più a ritroso, il Vanilla Sky di Cameron Crowe del 2004.
L'impronta di Piero Messina resta comunque ben identificabile soprattutto nella cifra stilistica, contraddistinta da una formalità "di maniera" in particolare in alcuni brani della colonna sonora e nella dilatazione del finale, con una doppia scena che però potrebbe risultare piuttosto ridondante.
La caratura di Messina non è in discussione, ma talvolta il poco equilibrio nell'economia del film mi è parso tradisse un innamoramento eccessivo della propria fatica cinematografica come se non la si volesse lasciar andare, con aggiunte che diluiscono l'intensità della storia.
[Sal (Gael García Bernal) e la locatrice (Renate Reinsve) da "sveglia" in Another End]
In un momento storico come quello attuale, dove la pervasività della tecnologia nelle faccende umane ha smesso di stupirci e dove gli scenari distopici non sono più immaginario futuro ma rappresentazione presente, Another End si concentra piuttosto sul senso della fine.
La mente umana rifiuta l'imprevisto, occupa l'assenza, inganna gli occhi e il cuore pur di respingere il dolore dell'addio.
Ma è proprio lì, nel tentativo maldestro di vincere la morte, che si esprime tutta la potenza dell'amore.
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