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Approda in sala e fa rumore sin da subito Civil War, ultima fatica del chiacchierato regista e sceneggiatore Alex Garland, sicuramente uno dei titoli più attesi della stagione e preceduto tanto da sano hype quanto da critiche preventive sulla supposta inappropriatezza di immaginare una seconda guerra civile americana proprio nell'anno delle elezioni, quando ancora sono fresche nella memoria le immagini dell'attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
Con Civil War il britannico Garland, già sceneggiatore per Danny Boyle e giunto al quarto film da regista, realizza un'opera incredibilmente immersiva e brutale, che accompagna lo spettatore a interrogarsi sul possibile futuro degli Stati Uniti e del Mondo, in un'epoca in cui le immagini del film risultano, purtroppo, estremamente familiari.
[Il trailer di Civil War, dal 18 aprile nelle nostre sale grazie a 01 Distribution]
In un futuro prossimo, i soprusi del Presidente neofascista degli Stati Uniti (Nick Offerman), giunto incostituzionalmente al terzo mandato, hanno scatenato la ribellione di diversi Stati unitisi in fazioni separatiste, tra le quali spicca l'alleanza texano-californiana delle Forze Occidentali, giunte a poche miglia da Washingon.
Nel mezzo di una sanguinosa guerra civile, la veterana fotografa di guerra Lee (Kirsten Dunst) e il reporter Joel (Wagner Moura) decidono di mettersi in viaggio verso la capitale con l'obiettivo di intervistare il Presidente; a loro si uniscono l'esperto Sammy (Stephen McKinley Henderson) e la giovane fotografa Jessie (Cailee Spaeny, al cinema anche con Priscilla di Sofia Coppola), che è stata salvata da Lee durante un attacco suicida a New York e che idolatra proprio la più matura collega.
Il gruppo, protetto unicamente dai propri tesserini stampa, si mette così in viaggio verso l'obiettivo, affrontando situazioni sempre più pericolose e trovandosi a confronto con la dura realtà di un Paese diviso dove vige la regola del più forte.
[Nick Offerman interpreta un Presidente degli Stati Uniti autoritario e paranoico in Civil War]
Nel corso della sua opera, Alex Garland si è spesso misurato con lo spettro dell'Apocalisse, sia da scrittore (28 giorni dopo, Sunshine) che dietro la macchina da presa (Annientamento), e Civil War rappresenta in questo senso il culmine dell'ossessione dell'autore verso il collasso della civiltà.
L'approccio diretto e senza fronzoli di Garland al proprio materiale gli ha fatto guadagnare sia una schiera di devoti fan che di spietati detrattori: una critica che spesso viene mossa al regista inglese è quella di essere fin troppo letterale nell'affrontare i temi alla base delle proprie opere, che fossero i rischi dell'intelligenza artificiale (Ex Machina, suo primo successo) o i danni della mascolinità tossica (il sottovalutato e spesso vituperato Men).
Fa quindi sorridere che su Civil War, già prima che il film venisse distribuito in sala segnando un nuovo record di incassi per un titolo A24 nella settimana di apertura (28 milioni di dollari al momento della stesura), siano piovute critiche di stampo sostanzialmente opposto: in questo caso si contesta al regista una mancanza di presa di posizione politica chiara - complice il fatto che nessuna delle parti coinvolte viene dipinta in maniera positiva e che Garland "osa" immaginare l'alleanza tra la progressiva California e il Texas conservatore - con l'autore che viene accusato, nel migliore degli scenari, di centrismo e, nel peggiore, di scelleratezza.
Garland però sembra avere ben chiaro in testa la missione di Civil War: non tanto fornire un commentario generale sulla situazione politica statunitense quanto immaginare l'impatto di un conflitto armato in un ambiente percepito "sicuro" come quello nordamericano.
Forte della consulenza in materia di guerriglia urbana di Ray Mendoza, ex membro dei Navy Seal e futuro co-regista del prossimo progetto di Garland, l'autore britannico ci getta nel cuore della guerra civile, tra le bombe, i proiettili e le loro conseguenze: cadaveri, rifugiati, vite spezzate.
Basta accettare l'invito dell'autore a immergersi nello scenario ipotetico di Civil War per intuire che l'obiettivo di Garland è lo stesso dei migliori film di guerra, ossia mostrare le conseguenze disumanizzanti del conflitto e, al contempo, dare un monito a chi pensa che tali scenari siano abbastanza distanti da sentirsi al sicuro.
Scene che il pubblico occidentale è abituato a vedere nei telegiornali e che sono richiamate già dalle primissime battute di Civil War, ma che mai si aspetterebbe (e augurerebbe) di trovarsi in casa: Garland costringe lo spettatore ad abitare il collasso, a porsi il problema della possibilità di vivere in quelle immagini di cui si fa incetta durante lunghe sessioni di scrolling su Reddit o LiveLeak, a interrogarsi su quanto sia sottile la linea che demarca il confine tra realtà e fantasia, o meglio tra possibilità remota e concreta.
Nei meandri di un'America dove la ribellione alla tirannia sembra essere la scusa per sfogare gli istinti più oscuri della psiche umana incontriamo luoghi familiari come parchi giochi e centri commerciali, strappati alla loro aura di quotidianità e distrutti, circondati da veicoli abbandonati e corpi maciullati; una lezione sul perturbante che Garland ha imparato dal Cinema di George Romero (cos'era 28 giorni dopo se non un grande omaggio a Il giorno degli zombi e La città verrà distrutta all'alba?) e alla quale il regista ha abbinato la propria, riconoscibilissima, estetica: una fascinazione particolare per le rovine, per la natura sempre in agguato, a ricordarci che tutta la tecnologia e il progresso umano può essere in futuro tranquillamente divorato dalla vegetazione.
[Dopo la Coppa Volpi per Priscilla, Cailee Speany dimostra nuovamente tutto il suo talento in Civil War]
Ai critici che si concentrano sulla supposta mancanza di complessità politica di Civil War si potrebbe controbattere che l'approccio scelto dal regista rispecchia quello dei reporter, veri protagonisti della storia: come dice la Lee di Kirsten Dunst, “Noi non chiediamo, registriamo perché gli altri chiedano”, e questo ethos è lo stesso è alla radice della messa in scena di Garland.
Al di là dell’ingombrante quanto necessaria lettura politica, Civil War può essere visto (meglio, vissuto) alternativamente come un road movie post-apocalittico, un coming-of-age e, più in generale, un’ode ai reporter, eroi non celebrati delle zone di guerra, uomini e donne che si mettono in gioco e rischiano la pelle per documentare e creare testimonianze in grado di plasmare la Storia.
Anche i delusi per la mancanza di una presa di posizione chiara e riconoscibile potranno almeno apprezzare le diverse sfaccettature con cui Garland dipinge i quattro protagonisti, i quali incarnano quattro modi diversi di vivere la professione giornalistice e la sua etica, creando un’ideale doppia coppia di opposti.
Il fulcro di Civil War è il rapporto tra la mentore riluttante (Lee) e l’apprendista esuberante (Jessie): il personaggio di Kirsten Dunst, il cui sguardo schiacciato dalla sofferenza di anni passati a documentare l'(in)umano rappresenta la bilancia morale del film, è disilluso dal fatto che dopo anni di servizio nelle zone di crisi si sia ritrovato la guerra in casa, alla faccia della testimonianza fotografica come monito, mentre la giovane fotografa incarnata da Cailee Spaeny ha l'intraprendenza di chi non ha ancora avuto modo di misurarsi con l'orrore, ma che lo farà presto.
[Cailee Spaeny e Kirsten Dunst rappresentano il cuore di Civil War: due generazioni di reporter alla caccia dell'istantanea perfetta in un'America lacerata]
Il rapporto tra le due donne è costruito su quello tipico tra maestra e allieva, con Dunst che all'inizio appare quasi gelosa per poi diventare protettiva e "materna" e Spaeny che presto passa dalla timida e riverente ammirazione a una comprensione profonda - e velocizzata dagli eventi - del fare aspro e burbero della più esperta collega.
Se la relazione tra Lee e Jessie rappresenta il cuore drammaturgico di Civil War, non va ignorata l’altra ideale coppia di opposti, formata da Joe (Moura) e Sammy (McKinley Henderson): il primo è un drogato di adrenalina che sembra vivere la professione come una continua spinta a superare i propri limiti (“Questi spari me lo fanno venire duro”, dice), mentre il secondo sa che chi dura in questo mestiere è chi sa spingersi non oltre le proprie possibilità, come è testimoniato dalla sua longevità.
La struttura del road movie è il modo migliore per raccontare le caratteristiche peculiari dei quattro protagonisti e del loro approccio alla vita, alla professione e all'irruzione della morte nel loro quotidiano, con il gruppo che attraversa degli Stati Uniti in cui ogni equilibrio è saltato e dove ci si spara contro senza un'organizzazione, quasi come a dover simulare una guerra più che combatterla: "Nessuno ci dà gli ordini", dice un soldato interpretato da Karl Glusman, "Loro ci vogliono uccidere e noi vogliamo uccidere loro".
L'odissea affrontata dai protagonisiti di Civil War ricorda da vicino il Cuore di tenebra di Joseph Conrad, un viaggio nel cuore oscuro dell’umanità che non a caso ha ispirato forse il più grande film di guerra di tutti i tempi, Apocalypse Now: come nel capolavoro di Francis Ford Coppola e nel libro che lo ha ispirato, più si va avanti, più si guarda nell'abisso, più questo guarda nei personaggi, per parafrasare un abusatissimo passaggio di F. W. Nietzsche.
[Alex Garland (sulla destra) "istruisce le truppe" sul set di Civil War]
Alex Garland catapulta i suoi reporter in una serie di incontri progressivamente più pericolosi, un accumularsi di situazioni al limite che garantiscono di tenere il pubblico ben piantato sull’orlo della poltrona, con nodo allo stomaco e mani davanti al volto.
A ben vedere se esiste un difetto in Civil War non è da cercarsi nel messaggio o nella supposta ambiguità di schieramento, come già detto, ma nella sceneggiatura, forse fin troppo diligente nel seguire una progressione drammatica che segue tutti gli step che ci si aspetta da un racconto di questo genere.
Poco importa però, perché Civil War risulta comunque coinvolgente e carico di tensione, senza perdere di vista il fattore dell'intrattenimento, forte anche di una durata contenuta e di un budget delle grandi occasioni: 50 milioni di dollari, il più alto messo finora a disposizione da A24, che sta vedendo ripagato lo sforzo economico al botteghino.
A contribuire alla creazione di un mondo distopico credibile, le cui radici siano già ben riconoscibili nel panorama odierno, Garland si avvale di un manipolo di fidati collaboratori, come il direttore della fotografia Rob Hardy e i compositori Ben Salisbury e Geoff Barrow.
Insieme alle opprimenti partiture del duo inglese, la colonna sonora utilizza brani di band underground come Silver Apples e Suicide, che tra gli anni '60 e '70 uscivano dai binari rassicuranti della musica popolare per esplorare, tramite l'elettronica, l'inquietudine serpeggiante sotto la patina del sogno americano.
[La canzone Rocket USA dei Suicide, presente nella colonna sonora di Civil War, racconta proprio di un viaggio in auto in un'America sull'orlo dell'Apocalisse]
Gli interpreti passano tutti l'esame a pieni voti, con lode alla fragile ma risoluta Cailee Spaeny, che riesce a rendere credibile senza forzature la crescita del suo personaggio, e, soprattutto, alla straordinaria Kirsten Dunst, cuore e anima di Civil War, in uno dei ruoli più memorabili di una carriera di altissimo livello.
Menzione speciale al viscido presidente di Nick Offerman, già collaboratore di Garland in Devs insieme proprio a Cailee Spaeny e all'immancabile Sonoya Mizuno, e al cameo non accreditato di un terrificante Jesse Plemons, invitato sul set proprio dalla moglie Kirsten Dunst, che garantisce di risvegliare vecchi traumi ai fan di Breaking Bad.
Respingente e ipnotico allo stesso tempo, Civil War presenta le stesse qualità delle sue istantanee scattate da un futuro tanto spaventoso quanto plausibile, con Garland che punta la sua camera sull'America e dritto al cuore dello spettatore, formulando la più terribile delle domande: "quanto vi sentite al sicuro?"
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