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Se un italiano si trova a scrivere la recensione di Ferrari, è chiaro che deve mettere da parte tutto il suo campanilismo e provare a osservare con lo stesso modus operandi che metterebbe in atto con qualsiasi altra pellicola.
Nel caso specifico, la scelta di attori non italiani aveva già fatto intervenire Pierfrancesco Favino, generando una lunga polemica.
Bisogna dire infatti che con Ferrari di Michael Mann questa impresa è praticamente impossibile, anche se non per i motivi che ci si aspetterebbe: è impossibile perché l'italianità nel film c'è a ogni angolo e chi è italiano (o conosce bene l'Italia) non può che farci caso.
Ma non in senso negativo, sorprendentemente.
Differentemente da quanto accaduto in pellicole come House of Gucci, dove l'accento specialmente rimandava quasi a una "parodia", Ferrari da questo punto di vista è infatti molto gradevole.
[Il teaser originale di Ferrari]
Sono gradevoli soprattutto le ambientazioni, che fanno riscoprire una Modena viva e intensa e coloratissima.
I colori sono un elemento molto stimolante nella visione del film ed è una bella sorpresa notare come il rosso ci sia pochissimo, se non nelle auto, e che domini invece il giallo del logo.
È chiaro quindi che ci sia una fotografia ben curata e una regia che sicuramente merita la visione, scattante quando deve e lenta nei momenti di dialogo che, però, a mio avviso sono sembrati davvero tanti e in alcuni addirittura superflui.
Ferrari mi spinge a dire qualcosa che per un film che ha a che fare con macchine da corsa è sorprendente da dire ed è un giudizio sicuramente banale.
Ferrari mi ha annoiata.
Nella prima ora sembra non accada assolutamente nulla, eccetto un evento che sicuramente può avere rilevanza ma che comunque non riesce a dare senso a un primo tempo slegato fra se stesso.
[Una delle Ferrari in primo piano in una scena del film]
Non si va a realizzare una trama né lineare, né antologica, con eventi sparsi per raccontare un pezzo di vita di Enzo Ferrari.
Per quanto il fil rouge sia effettivamente il 1957, anno cruciale per la sua carriera, ci si dilunga ugualmente come se si parlasse di un intervallo temporale anche più lungo.
Il problema principale secondo me è il protagonista, non l'attore in sé quanto la scrittura del personaggio. Con le biografie può succedere di empatizzare con la persona che viene raccontata o anche di condannarla, in ogni caso significa che ha stimolato un'opinione.
Per quanto vengano descritti diversi drammi personali di Enzo Ferrari, invece, lo spettatore del film di Mann non entra in empatia con lui, senza riuscire nemmeno a odiarlo quando è troppo spietato.
Non perché Adam Driver nel ruolo non sia brillante - anzi, alcuni dialoghi rivelano le sue grandi capacità - semplicemente è il ritmo della narrazione che penalizza anche questo aspetto.
Penelope Cruz è una grandiosa Laura, la moglie di Ferrari, come sempre incredibilmente espressiva e dinamica nell'interpretazione, cosa che compensa la staticità imposta dal personaggio di Driver. Tuttavia anche lei sembra senza scopo: si arrabbia, poi non si arrabbia, poi agisce positivamente.
Fra gli eventi della vita di Ferrari citati c'è naturalmente la perdita del figlio Dino, che ha sconvolto la coppia e li ha ovviamente divisi; ma anche questo aspetto, come molti altri, sembra messo davanti ai nostri occhi in modo quasi casuale.
A mio avviso inoltre il problema di Ferrari oltre al ritmo è che non si capisce di cosa voglia parlare, se di Ferrari come uomo, qui dipinto come cinico e spietato, se della grandezza delle automobili, se del business, se della tragedia di Guidizzolo.
Quest'ultima è forse l'elemento più interessante del film perché ricorda un pezzo della nostra storia, ma gli effetti speciali alquanto deludenti la rendono un po' difficile da vivere con emozione.
Ferrari sembra volerci raccontare un momento di svolta nella vita di Enzo Ferrari, sicuramente una scelta originale che non la rende una mera biografia didascalica.
Forse però, come nel caso di Napoleon, dedica tantissimo tempo alle storie d'amore e non si capisce dove e perché voglia inserirle, non lascia sufficiente spazio a un cast estremamente capace, non regala nemmeno l'adrenalina un po' "spicciola" che si può ricevere in un film sulle macchine da corsa.
L'idea, probabilmente molto interessante, era andare a dissacrare e disinnescare proprio quell'adrenalina, demistificare un personaggio, un sistema, un mondo fatto di corruzioni dove a perdere la vita sono i piloti.
Il problema è che manca il ritmo, manca l'acceleratore: alla fine di tutto sembra che manchi qualcosa e, forse, è proprio quel tocco di bel rosso fiammante che ci ha fatto sognare.
[articolo a cura di Silvia Argento]
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3 commenti
Nic Cage
11 mesi fa
Di certo non si può gridare al miracolo ma sicuramente non è da scartare niente.
Penelope Cruz fantastica nel suo ruolo e credo non sia ne esagerata ne fuori ruolo .. mi sembra abbastanza ingiusto riassumere il suo personaggio in " si arrabbia, poi no , poi si , poi fa la cosa giusta "
Il personaggio di Enzo Ferrari secondo me mostra tutte le sue debolezze e la lotta tra la perdita di un figlio, la famiglia parallela, i piloti deceduti sulle sue vetture spronati da lui a dare il massimo ed "il muro" che si crea intorno ogni volta che succede qualche incidente.
Ripeto non sarà un capolavoro del cinema ma sicuramente non è un film che annoia.
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