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The Substance - Recensione: la sostanza dei nostri sogni

O del corpo (femminile) preso dagli sguardi (maschili)

Lo sguardo di Coralie Fargeat, e dopo i soli Revenge e The Substance lo si può azzardare, è uno sguardo che prospera nelle condensazioni e, all'interno di queste, negli spostamenti.

 

I due termini non possono che richiamare alla mente le proposte di Sigmund Freud a proposito del lavoro onirico, quel processo di traduzione (e trascrizione) che conduce la sostanza dei sogni da uno stato di latenza a uno stato manifesto; non a questo piano si rivolgono però le nostre attenzioni, almeno primariamente, nonostante Fargeat mostri un'indubbia predilezione per la dimensione onirica.

 

The Substance e ancor più Revenge presentano una scansione anzitutto narrativa che scansa, per lo più, le logiche del sogno, sebbene il cuore dei sogni tocchi essenzialmente il nucleo dei discorsi della regista francese, peraltro unica sceneggiatrice dei suoi due lungometraggi.

 

[Il trailer di The Substance]

 

 

Fargeat si aggira in un collaudato campo di prospettive femministe che superano livelli di riflessione meramente tematici; l'engagement s'insinua nelle pieghe del mezzo cinematografico, là dove l'esperienza dello spettatore può scaturire.   

 

Tra le questioni il proscenio viene occupato da quella del cosiddetto male gaze, lo sguardo maschile (che non coincide con lo sguardo del maschio) concettualizzato dalla teorica Laura Mulvey e discendente anche dalla nozione freudiana di scopofilia. 

Con minor schematicità rispetto al predecessore, The Substance estremizza il problema dello sguardo maschile entro una cornice cinematografica assai strutturata, ben più - senza che ciò sia aprioristicamente un valore o un disvalore - di quanto compiuto di recente da un'altra ricognizione del voyeurismo (e del divismo) come Blonde.   

 

L'oggetto-donna negli occhi e dagli occhi del soggetto-uomo, scissione e correlazione indirizzata verso le scricchiolanti basi del pensiero occidentale, dello stesso Occidente, basi a cui Fargeat si rivolge anche in altra maniera. 

In questa direzione il cuore dei sogni - oppure il loro fegato, come sede delle passioni - è uno dei grimaldelli della cineasta; e per mostrare come ciò accada in The Substance, imbocchiamo prima una breve deviazione verso tre luoghi di origine shakespeariana.

 

Primo luogo, da La tempesta sino all'oggetto del desiderio, entro la cornice del noir, de Il mistero del falco: gli uomini sono fatti della stessa sostanza dei sogni. 

Secondo luogo, da Misura per misura sino all'indagine filosofica di Charles Sanders Peirce: gli uomini hanno un'essenza vitrea, ossia relativa (agli altri, all'Altro).

Terzo luogo, da Trolio e Cressida: "Il desiderio, lupo universale, / assecondato doppiamente dalla volontà e dal potere / farà dell'intero universo la sua preda / per poi, alla fine, divorar se stesso"

 

In questi luoghi non si danno la rimozione e/o la chiusura del sogno su cui poggia l'Occidente, nel suo sguardo oggettivante, maschile, etnocentrico; non si offre quella svalutazione del sogno notturno, privato e irreale, da cui può crearsi la razionalità diurna, comune a tutti e reale. 

Ripresa non solo del body horror di matrice cronenberghiana, sicché Fargeat si riallaccia esplicitamente anche a Paul Verhoeven, The Substance coglie la dimensione onirica nella sua spinta desiderante, nient'affatto relegata alla notte, del tutto connessa al (se non coincidente con il) corpo.

 

Icona ma non quanto Marilyn, la protagonista Elisabeth Sparkle è l'ennesima stella che brilla soprattutto in rapporto allo sguardo maschile, non di luce propria: alla soglia dei cinquant'anni, quando i riflettori sono alla caccia di nuova carne e distolgono il raggio, quella luna rimane però, d'un tratto, al buio. 

Tolto il soggetto desiderante, l'allora oggetto si trova nella necessità non di rivolgere gli appetiti altrove, restando piantato nella propria posizione, ma di ri-misurarsi entro una nuova relazione e ri-configurare la propria identità. 

Quando ancora quell'identità vitrea la rivelava come donna fatta della sostanza dei desideri degli altri, Elisabeth poteva prosperare conformandosi alle immagini dominanti, alimentando le fantasie degli ammiratori; consumata dal lupo universale, che in Occidente assume appunto il consumismo come assetto, ella rimane tuttavia immagine sprovvista di spettatori, come quella TV che - alla stregua di Revenge - scorre senza interruzioni sullo sfondo.

 

Meglio: lei stessa e le sue vecchie immagini rimangono gli unici spettatori, severissimi. 

 

 

[Un frame da The Substance]

 

 

L'essenza vitrea, mai conchiusa, di Elisabeth si incrina quando allo specchio il corpo è ormai muto, non più animato dal desiderio altrui, incapace di accogliere il proprio desiderio.

 

A quest'altezza Fargeat insegue in The Substance il doloroso permanere dello sguardo maschile nel corpo femminile, sguardo che si è pensato come scisso dal corpo (oggettivato) e che ha dunque perso contatto, vicinanza.

Elisabeth si lascia sedurre da una sostanza che promette nuova vita, nuova carne, anche se non davvero per lei: da lei nasce una nuova donna che può sì rispondere all'ininterrotto appello dei riflettori; ecco che allora la nuova carne, senza sottrarsi alle grinfie del lupo, si ciba della vecchia carne; ma la nuova carne, che prende il nome di Sue, non sembra essere carne nella stessa misura della vecchia. 

Oltre a essere iconizzata dagli sguardi maschili, Sue è il frutto (naturale, anche se indotto artificialmente) del desiderio altrui interiorizzato da Elisabeth; il suo corpo è una proiezione, un'immagine.

 

Non è creata a immagine e somiglianza rispetto alla madre e al suo corpo ma rispetto all'assolutezza del(lo sguardo del) padre, del Maschio a cui Dennis Quaid - su tutti - presta un corpo spesso reso ripugnante.

In questo quadro, la relazione tra Elisabeth e Sue in The Substance trova in un gioco tra scissione e unificazione il suo perno.

 

In un primo senso, Elisabeth è il corpo notturno da cui man mano si separa l'anima diurna di Sue, sempre più a disagio dinanzi alle bassezze concrete, tanto da nasconderle (sfruttandole) in un apposito ripostiglio.

In un secondo senso, il desiderio di Elisabeth spinge sino a separarsi dal corpo concretamente situato, ingegnerizzando indirettamente il corpo neonato di Sue e mantenendo il proprio al minimo delle funzioni. 

In toto, il contesto (mediatico) in cui Elisabeth e Sue si muovono non autorizza l'unificazione e promuove invece la scissione. 

 

L'armamentario del body horror, iconografico ma anche sonoro, permette a Fargeat di gestire questo discorso in una maniera che scarta macroscopicamente il realismo; lo sguardo di The Substance però si avvale di una rosa di riferimenti più ampia, in cui non tutto Cronenberg, per esempio, opera da modello.

 

Sarà peraltro chiaro come il solo impiego di elementi profilmici (soprattutto per effetti speciali e costumi) affini al body horror non determina necessariamente omogeneità estetiche né è sufficiente a scansare ogni realismo.

Possiamo immaginare un'opera in cui le risorse linguistico-filmiche assecondano, per un motivo o per un altro, una carica realistica che invece il profilmico nega manifestamente. 

Riprendiamo: condensazioni e spostamenti, si diceva.

 

Sul piano narrativo una delle prove di Cronenberg che sembra presentare assonanze di rilievo rispetto a The Substance è La mosca, preso nel suo tono ai limiti del fiabesco, tra la sfera di vetro di Quarto potere e rinvii ancor più fanciulleschi.

Non è però questa la principale strategia discorsiva del film.

 

Strettamente connesso a Revenge, il caso di Dennis Quaid e della sua ripugnanza in The Substance approssima alla questione: l'uomo è reso ripugnante da una serie di interventi che danzano tra iperrealismo ed espressionismo, trascinando nel campo del grottesco. In queste occasioni, le strategie discorsive sono evidenti e implicano una moralizzazione chiarissima. 

Meno chiaro è invece l'impianto generale.

The Substance vive principalmente di tecniche di distanziamento e di rimandi all'estetica pubblicitaria: le prime, soprattutto nel loro freddo geometrismo, sono ormai una costante del Cinema d'essai, sull'onda recente di Michael Haneke e di Lars von Trier come su quella ancor più recente di Yorgos Lanthimos e di Ruben Östlund; i secondi hanno sovente servito da agganci parodico-polemici. 

 

Fargeat non imbocca però linearmente nessuno dei due sentieri, comunque non estranei.

 

 

[Un frame da The Substance]

 

Nelle sue molteplici voci The Substance insegue una strutturazione piuttosto marcata, sintetizzante, tanto dal punto di vista narrativo quanto da quello iconografico, esibendo un'anima - per così dire - di genere.

 

Il concetto di condensazione punta verso questo nodo: la recitazione esasperata, il simbolismo smaccato, le variazioni estetiche così plasticamente associate agli stati emotivi, le ridondanze sin troppo logiche; tutto ciò testimonia di una chiusura del materiale informe entro la forma emblematica. Più di una soluzione ricorda i meccanismi di sintesi estetica (e quindi emotiva) del melodramma hollywoodiano, i cui esiti più felici ricamavano proprio sulla pressione esercitata da quella sostanza informe.

In questo caso le forme emblematiche si associano agli stati emotivi senza alcuno psicologismo di contorno; non solo rispetto all'estetica pubblicitaria, la condensazione che menzioniamo integra soprattutto una dinamica di tipo feticistico.

 

Lo spostamento è inteso anche in questo senso, come ri-direzione delle energie verso un oggetto parziale, dal tutto alla parte.

Il feticismo ha però un significato anche antropologico che la lettura sessualizzante (ma anche economicistica) di ispirazione iper-occidentale rischia di mascherare.

 

Le forme emblematiche di The Substance, da un quadro a delle natiche, dagli insetti a un impermeabile giallo, dalla bocca di Quaid alla sostanza divistica di Demi Moore, diventano espressione di corpi che premono; meglio: di corpi che oppongo resistenza. 

Il movimento sintetizzante sembra porgere cose isolate nel loro mutismo più che squadernare concetti didascalicamente dipendenti dalla riflessione contenutistica; e un movimento del genere, quasi paradossalmente, non si ottiene parlando la lingua del realismo.

 

Davanti a questa resistenza dei corpi, il lupo universale non domina senza limiti, come creatore ex nihilo o come signore delle cose prive di parola e perciò deboli; il lupo universale brucia anche in noi spettatori, alla caccia di un significato collocato alle spalle come agli occhi di Freud.

 

Nell'intreccio di parentele da cui emerge, The Substance trova in questo luogo uno dei punti di maggiore intensità, anche se il suo discorso sconta forse qualche semplificazione di troppo, senza essere massimalista quanto vorrebbe, talora più alla ricerca della scena d'impatto e comunque non privo di didascalismi poco giustificabili.

 

 

[Un frame da The Substance]

 

La soggettiva e il riconoscimento dinanzi allo specchio che accompagnano la nascita di Sue in The Substance riassumono alla perfezione lo stato di indeterminatezza (anche scopica, per l'appunto) che la resistenza dei corpi determina, indeterminatezza annunciata ancor più direttamente dai ferrei processi di identificazione che lo sguardo maschile poi innescherà.

 

L'investimento magico-desiderante che la dinamica feticizzante in effetti apre, legittimata dai toni dell'opera, è un canale che, entro la condensazione, scava degli scarti, degli spostamenti, dei decentramenti dello sguardo. 

Compresa nella sua profondità relazionale, l'essenza vitrea prende in consegna questa carica decostruttiva, lasciando intendere che nessuna sostanza può (più) essere intesa come substantia autosufficiente in termini (pseudo)aristotelici.

 

Di conseguenza in The Substance lo sguardo di Coralie Fargeat mostra infine che i sogni (d'identità e di controllo) non possono che divorar sé stessi e che tuttavia, senza disillusione, non rimane altro. 

In questo senso, pensare un'unificazione equivale a pensare positivamente una disseminazione del corpo e, ancor prima, dal corpo. 

 

Questa possibilità rivoluzionaria può essere abbracciata soltanto dopo aver messo a nudo le assolutezze dello sguardo maschile, lo sguardo dell'Occidente.

 

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