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Tre colori - Film blu, Tre colori - Film bianco e Tre colori - Film rosso: tre tinte della bandiera francese, tre principi della Rivoluzione del 1789 e tre film usciti tra il 1993 e il 1994 con la firma del regista Krzysztof Kiéslowski e dello sceneggiatore Krzyisztof Piesiewicz.
Tre opere distinte sotto l’ombra di una sola bandiera confluiscono l’una nell’altra sotto l’egida della cinepresa dell’indimenticato autore polacco.
Libertà (Tre colori - Film blu) e Uguaglianza (Tre colori - Film bianco) sono ideali la cui malleabilità è soggetta a un’analisi impietosa del quotidiano, a intersezioni di vita di personaggi che sfuggono alla semplificazione dei libri di Storia che narrano l’Europa dopo la Guerra fredda.
È nella Fraternità (Tre colori - Film rosso) che trovano un compimento, scorci di luce che si intravedono tra le dita delle mani aperte del caso sotto il cui giogo si muovono tutti gli esseri umani.
[Tre colori - Film rosso]
Valentine Dussaut (Irène Jacob, già protagonista di La doppia vita di Veronica) è una giovane modella che una sera investe per sbaglio un cane: risalendo al proprietario conosce Joseph Kern (Jean-Louis Trintignant), un giudice in pensione che spia le conversazioni telefoniche dei vicini.
Il passatempo voyeuristico di Joseph è speculare allo sguardo del regista che insegue pedissequamente i suoi personaggi e restituisce allo spettatore l’idea che siano loro stessi, pescati nel comune sentire, a svilupparsi in autonomia nella narrazione.
Kiéslowski è un narratore trasparente.
Il percorso della protagonista di Tre colori - Film rosso si incrocia in modo involontario con quella di Auguste (Jean-Pierre Lorit), un giovane che sta per diventare giudice e che rimane segnato dal tradimento della sua compagna. È un trauma che lo accomuna al personaggio interpretato da Trintignant.
La vite di August e Joseph infatti scorrono parallele, ma dislocate a livello temporale.
Kiéslowski tratteggia un raccordo di piani sequenza, in cui la poesia scorre fluida in un incrocio geometrico di vite che si incastrano - Valentine e Auguste - e si sovrappongono - Auguste e Joseph.
[Irène Jacob e Jean-Louis Trintignant in Tre colori - Film rosso]
La sensazione che si ha approcciandosi all’autore polacco è quella che Caos e Necessità - due termini ripetuti nell’analisi critica della sua filmografia - siano i demiurghi delle sue opere, ancor prima dell’uomo dietro la macchina da presa.
I film di Kiéslowski non periscono mai sotto il peso di elucubrazioni filosofiche, seppur ne si evinca lo spessore morale.
Un esempio emblematico in tal senso va ricercato nel Decalogo, una serie di mediometraggi ispirati ai 10 comandamenti, in grado di esaltare le speculazioni teologiche senza che queste disturbino l'armonia narrazione.
Si tratta di un Cinema essenziale, ma che innesta radici profonde.
L’importanza del mestiere del giudice in Tre colori - Film rosso appare in questa prospettiva del tutto naturale, per una sorta di dimostrazione per assurdo: Joseph, che di mestiere giudica in base alla legge degli uomini, si arroga il diritto di soppesare le variabili dell’esistenza, delle vite degli altri, fino a sfociare nel reato. Dunque, nell’insensatezza dell’atto voyeuristico e nel dolore che ne consegue emerge la multiforme - e ingiudicabile - natura dell’animo umano, la mutevolezza degli aspetti dell’esistenza e del libero arbitrio.
Nella Trilogia dei Colori la tinta che dà il nome ai capitoli non ha solo valenza metaforica, ma è anche un importante elemento figurativo.
Nel caso dell'ultimo capitolo nella fattispecie il rosso è passione e manifesti pubblicitari, è rabbia e insegne dei bar, è sofferenza sublimata, ma non sbiadita, senza cui l'umanità non esisterebbe così come la Francia - e l'Europa come la conosciamo - non sarebbe la stessa senza il sangue dei martiri della Rivoluzione.
[Un montaggio dei trailer dei tre capitoli Tre colori - Film blu, Tre colori - Film bianco e Tre colori - Film rosso restaurati in 4K]
Tra i due protagonisti - lei giovane e ottimista, lui maturo e disilluso - si instaura un sistema di forze attrattive e repulsive che non implica la realizzazione di un amore romantico seppur ne condivida il tormento e che si traduce nell’ideale laico della fraternità.
Valentine e Joseph si avvicinano, alla ricerca di una distanza che possa permettere a entrambi di beneficiare dell’altro senza che il contatto generi ferite inguaribili; nell’equilibrio le dicotomie si assottigliano, la definizione dei sentimenti diventa più labile.
Anche a livello narrativo il cerchio si chiude, il serpente uroboro dell’Eterno Ritorno morde la sua coda: Valentine, convinta da Joseph, salpa su un traghetto per la Manica, la nave affonda e i superstiti non sono nient’altro che lei, Auguste - presumiamo da un gioco di sguardi che potrebbero innamorarsi - e i protagonisti dei due capitoli precedenti della Trilogia dei Colori.
Tutto riconduce alla fraternità, un amore che contiene in se stesso tutti gli altri, che definisce e rifinisce l’esistenza degli uomini liberi e uguali.
Vi rispettiamo: crediamo che amare il Cinema significhi anche amare la giusta diffusione del Cinema.