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Giornata Mondiale del Patrimonio Audiovisivo: 3 film che raccontano l'importanza dell'inclusività

In occasione della giornata mondiale del patrimonio audiovisivo indetta da UNESCO il 27 ottobre, ricordiamo 3 film il cui contenuto è un inno all'inclusività di ogni genere e forma

Uno dei temi più caldi e sentiti degli ultimi anni a livello globale è sicuramente quello dell’accettazione del diverso e dell’inclusività. 

 

Due concetti curiosamente opposti, ma che in qualche modo vivono in simbiosi, camminando nella mano e lottando insieme per far sì che la società contemporanea percepisca l’eterogeneità di opinioni, cultura, religione, razza, abilità e orientamento sessuale come ricchezza, e non più come minaccia.

 

 



Esistono tanti diversi modi con cui si può definire la diversità, ma volendo rimanere sul generico si può affermare che questo concetto vada a riferirsi a una condizione per cui una persona viene definita (oppure si autodefinisce) estranea a una specifica ideologia e, di conseguenza, inferiore alla massa che invece si sente conforme all'ideologia stessa.

 

Persone omosessuali, disabili, di colore, emarginate, appartenenti a un qualunque tipo di minoranza: sono tutte persone etichettate come “diverse” e per questo discriminate, allontanate e trasformate nei protagonisti di campagne di terrorismo psicologico che spingono la società ad averne paura e a temerle, alimentando l’istinto umano che ci porta ad avere paura di ciò che non riconosciamo come uguale a noi e sopprimendo un ben più utile istinto di curiosità, che porterebbe invece a un processo di esplorazione della diversità e a una conseguente e spontanea accettazione di quest’ultima.

 

Una delle organizzazioni internazionali maggiormente impegnate nella creazione di politiche olistiche attraverso programmi di promozione di dialogo interculturale è UNESCO.

 

L'organizzazione con sede ufficiale a Parigi, tra le varie attività svolte è costantemente impegnata nel processo di “identificazione, protezione e tutela nella trasmissione alle generazioni future dei patrimoni culturali e naturali di tutto il mondo”.

Processo che inevitabilmente va a coinvolgere anche la Settima Arte, prendendo in considerazione tutti quei prodotti audiovisivi che, nel corso della Storia del Cinema, hanno saputo offrire al mondo un servizio di veicolazione di valori sociali per il superamento di pregiudizi e atteggiamenti emarginanti, diventando un vero e proprio inno all’inclusività. 

 

Proprio per celebrare la Giornata Mondiale del Patrimonio Audiovisivo ho deciso di stilare una lista di 3 film che, personalmente, ritengo essere dei perfetti portavoce di questi valori, nonché in grado di scuotere nel profondo le anime di chi li guarda, facendo riflettere sul concetto di diversità e su quanta strada abbiamo ancora da fare per poter raggiungere la reale e piena inclusività.

 

 

 

Ragazze interrotte

di James Mangold, 1999 

 

A chi non è mai capitato di sentirsi così sopraffatto dagli eventi della vita da arrivare a mettere in discussione il mondo, la società e persino sé stesso?

 

Questo è esattamente ciò che succede alle protagoniste di Ragazze Interrotte, film che racconta la vita di alcune ragazze che vivono all’interno di un istituto psichiatrico e che vede come protagonista una portentosa Winona Ryder nel pieno dei suoi vent’anni, accompagnata da Angelina Jolie la cui interpretazione fu motivo di vittoria del Premio Oscar come Migliore Attrice non Protagonista.

 

È un film tratto dall’omonima biografia di Susanna Kaysen in cui la scrittrice ha deciso di raccontare la sua permanenza, all’età di soli diciannove anni, all'interno di un istituto psichiatrico a causa di una forte depressione (che solo successivamente si scoprirà essere sintomo di un forte disturbo borderline della personalità).

 

Ragazze Interrotte è un film che prima di qualunque altra cosa vuole raccontare al pubblico quanto sia difficile esistere all’interno di una società che ha il potere di influire sul percorso evolutivo e spirituale di ognuno di noi, andando ad alimentarlo, distrarlo, modificandolo, deviandolo e addirittura interrompendolo. 

Questo film ci mostra in maniera cruda e senza troppi filtri il complesso tessuto sociale di cui facciamo parte, all’interno della quale ognuno di noi - che lo voglia o meno - ha una forte influenza e responsabilità sugli altri e abbia il dovere di riconoscere l’esistenza di questo potere, assumendosene la piena responsabilità. 

 

Lo psicologo George Herbert Mead, uno dei padri fondatori della psicologia sociale nella seconda metà dell’Ottocento, sosteneva che lo sviluppo della mente umana e della consapevolezza, prima ancora dello sviluppo del Sé, richieda il contributo fondamentale dell’interazione sociale. 

Così come sosteneva la corrente psicologica del comportamentismo con John Watson, anche per Mead le forze sociali sono un qualcosa che agisce non soltanto andando a modellare l’individuo, ma anche facendolo emergere. 

 

In parole semplici: l’essere umano esiste in quanto tale solamente grazie all’interazione che ha con le altre persone.

 

Nel film la protagonista Susanna appare agli occhi degli altri come una ragazza fragile e insicura, che si rifugia in quella che lei riconosce come sua vocazione (la scrittura), ma che non viene riconosciuta come qualcosa di valore da nessuno che la circonda e anzi, viene etichettata come ostacolo che le impedisce di trovare non solo il suo posto del mondo e la sua identità, ma anche di creare interazioni sociali capaci di sostenerla nel suo personale sviluppo del sé e di consapevolezza dell’essere. 

 

Susanna invece sorprende sé stessa e gli altri incontrando, nell’istituto psichiatrico, delle persone che con il tempo si trasformeranno nelle sue prime vere e proprie amiche e con cui instaurerà delle relazioni positive, che non era mai riuscita a costruire in quello che viene definito “mondo delle persone sane”. 

 

Ragazze Interrotte è un film che senza scadere nell’indulgenza o nel finto buonismo ci racconta il percorso di Susanna verso la creazione di legami sinceri con persone definite dalla società “malate” e di conseguenza “diverse”, senza mai farsi distruggere o spazzare via, nonostante si stia parlando di individui che per la società valgono meno di zero. 

Questo film ci racconta la storia di come una giovane donna improvvisamente scaraventata nel mondo dei “diversi” e “sbagliati” capisca che ogni individuo, a prescindere da ciò che è e ciò che vive, abbia sempre qualcosa da donare agli altri e che l’unica differenza tra il mondo “normale” e quello dei “diversi” sia una diagnosi psicologica che svela quale sia l’intensità di un problema e dunque quanto intensamente una caratteristica umana possa andare ad influire sulla completa esistenza di un individuo. 

 

È  un film che sottolinea quanto potere abbia la società nel decidere chi è “normale” e chi invece “diverso”, ma anche quanto sia importante non arrendersi e instaurare rapporti profondi con la società stessa, riuscendo così a dare la possibilità a noi stessi e agli altri di evolverci socialmente e spiritualmente, andando oltre le etichette incapaci di raccontare la svariata eterogeneità che caratterizza gli esseri umani.

 

 

 

Wonder 

di Stephen Chbosky, 2017 

 

Wonder è un film tratto dall’omonimo libro di R. J. Palacio ed è un viaggio trasversale alla scoperta di sé, durante il quale si affrontano diversi argomenti, tra cui anche l’inclusività e la diversità. 

 

Il protagonista è August (detto Auggie), un ragazzino che non ha mai frequentato la scuola pubblica a causa della malattia congenita dello sviluppo cranio-facciale di cui soffre: la sindrome di Treacher Collins, che rende il suo cranio deforme il suo viso sfigurato e che lo ha portato a subìre oltre 13 interventi di chirurgia piuttosto invasivi durante tutta la sua infanzia. 

 

La sindrome lo ha sempre isolato dal resto del mondo e tenuto lontano dalle persone della sua età, dal momento che ha sempre ricevuto un’educazione domiciliare da parte della madre, ma una volta arrivato agli anni della scuola media Auggie decide di volersi iscrivere a scuola come tutti i suoi coetanei, prendendo in mano la sua vita e vivendola privo di quel senso di paura e inadeguatezza che lo hanno accompagnato per tutta la sua infanzia. 

 

Sin dai primi minuti di film, quando viene raccontata la vita di Auggie lontana dalla società, emerge un aspetto tipico che caratterizza le famiglie di persone affette da una qualche sindrome o disabilità: l’amore inteso e dimostrato con atti di “limitazione”.

La madre di Auggie, profondamente legata a suo figlio, gli dona amore facendosi carico di ogni sua paura, aspettativa e ansia credendo che questo possa proteggerlo dalla sofferenza che proverebbe avendo contatti con una società incapace di accettare il diverso come parte integrante del gruppo; questo, però, non fa altro che privare Auggie della possibilità di sperimentare, tentare, buttarsi e vivere una vita il più possibile normale, combattendo i pregiudizi che incontrerà sul suo cammino e persino soffrendo. 

 

Perché si sa: benessere e sofferenza sono due facce della stessa medaglia e non si potrà mai vivere a pieno una di loro senza aver mai conosciuto l’altra. 

 

Nella voglia di Auggie di frequentare la scuola come tutti i ragazzini della sua età viene espressa la sua consapevolezza di essere considerato diverso e quindi strano, ma al contempo un profondo coraggio nell’iniziare un nuovo percorso di vita e affrontare il mondo essendo solamente sé stesso, credendo fortemente nel valore dell'inclusività.

È proprio grazie a questo coraggio, mischiato a un pizzico di autoironia e a una forte determinazione, che Auggie si scoprirà artefice di un profondo e radicato cambiamento positivo tra i suoi compagni di classe, i quali impareranno a conoscerlo e amarlo (o odiarlo) non per la sua sindrome, ma semplicemente per la persona che è.  

 

Auggie è un bambino forte, ma al contempo pieno di ansie e paure che si scopre artefice di un cambiamento positivo dei suoi coetanei nella classe: tanto che, alla fine del film, viene premiato dal preside con una medaglia e definito come una persona “la cui forza silenziosa ha trascinato la maggior parte dei cuori”

 

“Se potessimo sentire che cosa pensano gli altri capiremmo che nessuno di noi è normale e che ognuno di noi merita una standing ovation almeno una volta nella vita.

Siate gentili, perché tutti combattono una battaglia dura, e se vuoi davvero vedere come sono le persone non devi fare altro che... guardare”.

 

Queste sono le parole di Auggie quando si trova su un palco di fronte a tutta la scuola, dopo aver ricevuto il suo premio e con indosso lo stesso sorriso raggiante che lo ha accompagnato durante tutto il film (eccezione fatta per i momenti in cui persino lui, colto dallo sconforto, pensava di non valere tanto quanto gli altri membri della società). 

 

Wonder è un vero e proprio inno alla gentilezza, il racconto di un bambino con una forza interiore così potente da permettergli di vincere le sue paure e la cattiveria di chi lo ha preso in giro per una vita, ma che dopo aver conosciuto la sua anima ha saputo ricredersi. 

 

Una pellicola che vuole insegnare ai futuri adulti e alle giovani menti il grande valore dell’inclusività, ma al contempo vuole mostrare agli adulti quante cose si possono imparare dalla spensieratezza, ingenuità e genuinità dei bambini: esseri umani così puri da riuscire a donare atti di amore incondizionato a chiunque sappia apprezzarli, a prescindere dalla diversità.

 

 

 

Il diritto di contare

di Theodore Melfi, 2016

 

Le protagoniste de Il diritto di contare, film tratto dall’omonimo libro di Margot Lee Shetterly e uscito nelle sale italiane nel 2017, è ambientato durante gli anni della segregazione razziale negli Stati Uniti e vede come protagoniste delle donne con uno straordinario talento per la matematica e, soprattutto, afro-americane. 

 

Il dettaglio della razza, sebbene in un mondo ideale non sia minimamente rilevante in un racconto riguardante la carriera professionale di un individuo, negli anni ‘60 era invece di fondamentale importanza, poiché era il biglietto da visita con cui ci si presentava e si aveva (o non aveva) accesso a infiniti tipi di opportunità, anche lavorative.

 

Il film racconta la storia di Katherine, fisica afro-americana, matematica e scienziata che assieme alle sue colleghe Dorothy e Mary (anch’esse afro-discendenti) diede un importante contributo alla NASA nel lavoro di calcolo delle traiettorie per il Programma Mercury e per la missione Apollo 11, andando a sfidare tutti quelli che erano i pregiudizi di genere e il razzismo di quegli anni.

Preconcetti che in quel periodo storico erano profondamente radicati e accettati dalla società e portavano le donne (e ancor di più le donne di colore) a non pensare nemmeno lontanamente di poter avere una carriera al pari o di livello superiore a quella di un uomo. 

 

Ciò che le tre donne desiderano è semplicemente un’opportunità: l’occasione di poter giocare la partita della vita stando alle stesse regole di tutti gli altri, a prescindere da sesso o razza.

Questo però non accade, ed è per questo che sono costrette a fare il triplo del lavoro di un uomo anche solo per poter essere notate e considerate persone con un cervello pensante, funzionante e in grado di fare grandi cose. 

 

Ciò che però premia le tre donne è la loro determinazione a sconfiggere i pregiudizi che impediscono il raggiungimento di una piena inclusività e la loro voglia di lottare per debellare i continui innalzamenti dell’asticella dell’inclusione: che importanza ha se sul posto di lavoro si deve percorrere un chilometro a piedi per arrivare fino al bagno per le donne di colore?

Che importanza ha il dover frequentare dei corsi serali per poter diventare una donna-ingegnere solo perché non è permesso l’accesso all’università alle donne di colore, se alla fine la meritocrazia avrà la meglio?  

 

Il diritto di contare è un film che vuole farci riflettere sui problemi legati all’integrazione del “diverso” nella società degli anni ‘60, ma vuole anche spingere lo spettatore a chiedersi fino a che punto questi problemi siano stati superati. 

Purtroppo ancora oggi moltissime persone, entrando in un ufficio e vedendo passare una donna di colore, saranno automaticamente portate a pensare che sia una semplice donna delle pulizie e non certo una dipendente, o addirittura il capo dell’intero reparto. 

 

Ciò non significa che siamo tutti per forza razzisti e persone con pregiudizi, ma che stiamo continuando a vivere in una società pregna di bias cognitivi: automatismi mentali dai quali nascono credenze che vengono utilizzate dalla mente umana per trarre conclusioni veloci e affrettate. 

Sono sostanzialmente errori di giudizio che vanno a impattare nella quotidianità di tutti noi, non soltanto a livello di decisioni e comportamenti, ma anche sui processi di pensiero. 

 

Il diritto di contare è un film che parla di un passato che, a conti fatti, non è nemmeno così troppo passato, utilizzando il punto di vista di tre donne afro-americane che vivono quotidianamente discriminazioni per mostrarci quanti scheletri nell’armadio possieda la nostra società.

 

Scheletri di cui ancora oggi non siamo riusciti a sbarazzarci e che ci impediscono di raggiungere un più alto livello di inclusività sociale.   

 

[articolo a cura di Anna Arneodo]

 

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