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Anora, che preferisce farsi chiamare da tutti Ani, è una stripteaser ed escort che vive il proprio lavoro di sex worker con una gran dose di risolutezza, di confidenza nei propri mezzi, di contagiosa e luminosa allegria.
Ani si spoglia per gli uomini con naturalezza e disponibilità, sempre col sorriso sulle labbra, li indirizza sul suo corpo con un’auto-determinazione che fa il paio con l’energia con cui sembra affrontare ogni aspetto di una vita professionale che sembra essersi scelta e dov’è sempre lei a condurre il gioco.
Un giorno, durante uno dei suoi turni nel sex club di Manhattan in cui lavora a ciclo continuo e del quale è la punta di diamante, incontra il giovane Ivan (Mark Eidelstein), rampollo poco più che ventenne di una ricchissima famiglia russa e figlio di un oligarca multimilionario, con tantissima liquidità a disposizione.
Lui non fa mistero di un umorismo stoner e scombiccherato, di uno schizzato entusiasmo che in qualche modo la fa ridere e la conquista, tanto che il rapporto tra i due si evolve e acquisisce sempre maggiore confidenza e intimità.
Dapprima Ivan invita Anora a casa sua, per poi chiederle, incontro dopo incontro, di fingere di essere la sua ragazza con i suoi amici nell’arco di un’intera settimana, offrendole un compenso di 10.000 dollari per la prestazione da girlfriend experience.
Anora accetta e, al colmo di un sintonia in cui è anche Anora a guidare Ivan, invitandolo a godersi con più tranquillità i momenti tra le lenzuola e a non essere sempre precipitoso e frettoloso, l’entusiasta cliente le chiederà di sposarla.
La famiglia di lui, tuttavia, non sarà esattamente entusiasta all’idea delle loro nozze celebrate di soppiatto a Las Vegas.
[Gli applausi di Cannes al termine della première di Anora]
Anora ha vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes 2024 portandosi a casa il massimo riconoscimento della 77ª edizione ed è la conferma del talento cristallino di Sean Baker, ex ragazzo prodigio del Cinema indipendente statunitense oggi 53enne, che ha realizzato il suo film probabilmente più romantico e trascinante, traendo dalla sua magnifica protagonista (Mikey Madison, già vista in C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino) il massimo della generosità e dell’abnegazione in un ruolo non semplice, ma gestito dall’interprete con carisma e trasporto.
Evidente e manifesto è il debito con Pretty Woman di Garry Marshall, del quale Anora è una versione modellata su quell’immaginario di individui disadattati, lavoratrici del sesso e outcast a vario titolo, al quale Baker ha da sempre dedicato la propria vocazione e ispirazione.
Fin dalle prime sequenze Anora è un film vorticoso ed elettrizzante, animato da una purissima e schietta passione narrativa per i personaggi che racconta e in particolare per la sua protagonista: il sesso è filmato a mio avviso benissimo, con una grazia empatica e trascinante, e a donare ad Anora una lucentezza e una pasta vintage, da Cinema hollywoodiano anni ’70 ripensato quasi alla maniera di Paul Thomas Anderson, contribuisce anche la scelta di girarlo in pellicola 35mm.
Baker opta per dei toni che sono evidentemente sghembi e grotteschi nel raccontare, col massimo dell’empatia e del romanticismo, una love story a tutti gli effetti improbabile e che proprio in virtù della sua strampalata genesi finisce per acquisire coordinate imprevedibili e spiazzanti: da qualche parte tra le risate che di fronte alla bizzarra e contagiosa vitalità del suo partner Anora non riesce a trattenere e l’umorismo sovreccitato di Ivan si insinua una tenerezza pronta a far saltare il banco, facendo sfumare un rapporto dai contorni utilitaristici nell’incontro in senso lato di due anime pronte ad abbracciare l’ebbrezza della vita futura, che Sean Baker ci fa percepire con trasporto e calore.
Anora dice di non parlare il russo ma di capirlo, a riprova di come tra lei e Ivan, che però per aderire allo stereotipo nazionale vuole farsi chiamare Vanja, la comunicazione avvenga molto in chiave anche sotterranea, non verbale, esclusivamente fisica, come se ci fosse qualcosa di impalpabile e indefinite a unirli.
Quando nella seconda parte entrano in scena gli scagnozzi, o per meglio dire le “scimmie” armene di suo padre, il film cambia pelle e si trasforma in un vero e proprio detour fatto di calci e urla, colluttazione e umorismo fisico sopra le righe portato alle soglie della slapstick comedy: un viaggio al termine della notte, alla maniera di Fuori orario di Martin Scorsese, in cui l’azione è dilatata all’inverosimile e la guerra delle fazioni diventa teatro di una lotta di classe e di emisferi politici contrapposti: polarizzazioni che regia e scrittura, in maniera nervosa ed elettrizzante, assecondano meravigliosamente, portando il film alla soglia delle 2 ore e 20 minuti di durata e “ingigantendolo” con estrema naturalezza.
[Un frame da Anora]
Sean Baker, già regista di Tangerine, Un sogno chiamato Florida e Red Rocket, continua ad aggiornare i parametri del sogno americano frustrandone le attese e lavorando su una marginalità che è anzitutto “periferia” dello sguardo e del desiderio, catapultata quasi per sbaglio su un palcoscenico in cui avviene la simulazione di codici mainstream.
La possibilità di smarrirsi lungo la strada e di non essere all’altezza dei bruschi risvegli dagli orizzonti utopici che erano stati prefigurati è sempre molto concreta e tale scenario conferisce alla parabola narrativa un elemento in più, assolutamente decisivo, all’insegna dell’esplorazione della caducità e della malinconia, portando lo spettatore a tifare ancora di più per le sorti dei personaggi e a immaginare che tutto, utopicamente, possa andare per il verso giusto.
Come confessa candidamente a una sua collega, Anora vorrebbe fare il suo viaggio di nozze a Disneyland, il parco a tema californiano sulla costa opposta di quello a Orlando, dove sorge il Magic Castle che era dimora dei personaggi di Un sogno chiamato Florida.
Un dettaglio che ricollega idealmente il film al precedente lavoro di Baker del 2017, ma la vera chiave di volta di Anora è l’innesto, al centro delle vicende, di un terzo protagonista, Igor, interpretato dallo Yuriy Borisov di Scompartimento n. 6 - In viaggio con il destino, che mentre cerca di porre rimedio all’unione coniugale finisce col guardare Ani con occhi curiosi, impassibili, evidentemente interessati ma anche indecifrabili, aggiungendo agli eventi una prospettiva altra e un’ulteriore quota di romantico straniamento a un film che già di suo intendeva polverizzare, sbriciolare e rendere rimodellabili a proprio piacimento i classici archi e sviluppi di ogni romcom che si rispetti.
Si approda così a un finale che è un climax anti-retorico di rara malinconia e schiettezza, una chiusa perfetta per una delle più originali storie d’amore viste nel Cinema degli ultimi anni.
[articolo a cura del nostro ospite Davide Stanzione, critico di Best Movie]
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