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The Creator - Recensione: ma gli androidi andranno in paradiso?

Nel nuovo blockbuster sci-fi Gareth Edwards mescola immaginari e idee già viste consegnandoci una vasta opera che, oltre a criticare l'imperialismo statunitense, ci invita all'accettazione del diverso e del progresso tecnologico

Con The Creator il regista Gareth Edwards ci propone un nuovo tassello da aggiungere al complesso mosaico di film sci-fi che, nel corso degli anni, hanno trattato lo scontro tra robot senzienti e umani. 

 

Restando in bilico tra un immaginario cyberpunk zeppo di dilemmi etici sulla natura più o meno “umana” degli androidi, che Blade Runner ha saputo rendere alla perfezione, e le atmosfere della cruda guerra in Vietnam fotografate in Apocalypse Now, a tratti il film fatica a trovare una propria identità forte.   

 

[Il trailer internazionale di The Creator]

 

 

The Creator, oltre a dimostrarsi quindi un calderone in cui confluiscono diverse influenze cinematografiche, tratta diversi temi che proprio in questo periodo storico risultano centrali nel dibattito pubblico.

 

Mentre qualcuno guarda con preoccupazione allo sviluppo compiuto dall’Intelligenza Artificiale e gli sceneggiatori di Hollywood, dopo la conclusione del loro sciopero, ottengono la garanzia di non essere sostituiti da questa tecnologia, il regista britannico ci consegna un’opera che invece ci invita a non avere paura e ad accogliere il cambiamento. Forte dell’esperienza di Godzilla e di Rogue One: A Star Wars Story, Edwards con questa pellicola dimostra definitivamente di aver trovato la propria dimensione nella creazione di blockbuster.

The Creator è infatti un film vasto e imponente che, seppur non risulti privo di problematicità, riesce nel compito di intrattenere ed emozionare. 

 

La pellicola, proprio come Terminator, ci introduce in un futuro distopico in cui robot dotati di intelligenza artificiale sono in guerra contro i loro stessi creatori: gli umani.

 

Il casus belli sembra essere una bomba atomica sganciata dall’AI su Los Angeles, che ha portato il governo degli Stati Uniti ad aprire una guerra senza frontiere nei confronti delle macchine intelligenti. 

 

 

[Immagine tratta dalla locandina di The Creator]  

 

 

“Non sono esseri umani: solo programmazione”, afferma il protagonista Joshua (John David Washington) in riferimento agli androidi intelligenti. 

 

Nonostante l’agente speciale si troverà a mettere in discussione questa sua convinzione nel corso del film, l’assunto è perfettamente capace di esplicitare l'etica con cui gli Stati Uniti portano avanti la guerra contro i robot, ricordando anche i tentativi di ghettizzazione e deumanizzazione che in District 9 erano compiuti nei confronti di creature aliene.  

Le uniche ad accogliere le macchine senzienti sono le repubbliche neo-asiatiche. È qui che le forze statunitensi combattono le sacche di resistenza formate da umani e robot uniti. 

 

Contro i ribelli risulta fondamentale l’aiuto di Nomad, gigantesca astronave da combattimento capace di seminare morte e distruzione che sembra una lontana erede della Morte Nera di Guerre stellari

È proprio nello scontro tra le due fazioni che emerge il lato dichiaratamente anti-imperialista di The Creator

Specie nella seconda parte l'opera di Edwards ci mostra come si possa in senso lato individuare un’umanità nei robot senzienti, che soprattutto nel modo di gestire il conflitto, su cui forse non hanno le responsabilità che si crede, si dimostrano sicuramente più umani degli americani stessi. 

 

A tal proposito risulta esemplificativa la sequenza in cui l’androide Harun (Ken Watanabe) afferma “Sai cosa accadrà quando vinceremo la guerra? 

Assolutamente niente: vogliamo solo essere lasciati in pace”

 

 

[John David Washington è Joshua, protagonista di The Creator]  

 

 

Insieme ad Harun, nelle repubbliche neo-asiatiche si nasconde Nirmata, geniale creatore di AI che sembra aver progettato un’arma pronta a distruggere Nomad ribaltando le sorti della guerra.

 

Il compito di recuperare quest’arma per impedire la vittoria delle macchine è affidato proprio a Joshua. 

Anni prima, durante una missione d’infiltrazione nelle regioni asiatiche, l’agente vede la propria compagna incinta (Gemma Chan) morire per mano dello stesso esercito degli Stati Uniti; il dolore per una storia d’amore brutalmente interrotta e per la mancata paternità, oltre alla rabbia nei confronti dei suoi stessi alleati, sono i sentimenti che riempiono il cuore di Joshua. 

A convincerlo a partire alla ricerca dell’arma definitiva di Nirmata è solo la lontana speranza di poter incontrare di nuovo l’ex-compagna che, secondo qualche fonte, sembrerebbe ancora viva.   

 

Ben presto Joshua scoprirà che quest’arma non è altro che un robot senziente con l’aspetto di una bambina: soprannominata Alfie (Madeleine Yuna Voyles), questa creazione è unica nella sua specie. 

A differenza delle altre macchine senzienti è infatti capace di crescere e svilupparsi come una vera e propria umana.

 

Joshua inizia quindi a stabilire un particolare legame con Alfie, che lo porterà a scoprire la sua vera natura e diverse verità nascoste. 

 

 

[Alfie, la bambina-robot di The Creator interpretata dalla giovanissima Madeleine Yuna Voyles]  

 

 

È principalmente tramite il rapporto tra i due che The Creator cerca di affrontare i dilemmi etici e morali che fanno da base al film. 

 

Mentre Philip Dick, nel libro che ha poi ispirato Blade Runner, si chiedeva "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?", Alfie si interroga sull’esistenza di un paradiso e su quello che le potrebbe capitare una volta morta. 

È un peccato però che un film che si concentri così tanto sul versante umano, appunto, non riesca a rendere davvero interessante, credibile e naturale lo svilupparsi del rapporto tra Joshua e Alfie, limitando al minimo i dialoghi tra i due e concentrandosi di più sul messaggio che Edwards cerca di far passare con la propria opera.

 

Un merito che va dato al regista inglese è quello di aver lavorato su un’idea originale, lontana dalle logiche di serializzazione e remake/reboot che sembrano ormai dominare il genere. D'altro canto, però, The Creator si dimostra molto derivativo, facendo emergere la propria identità soltanto dalla commistione, comunque studiata e precisa, di diverse influenze cinematografiche. 

Sebbene si abbia sempre la sensazione di “già visto” il mondo che il regista costruisce sembra vivido, coerente e funzionale alla storia che ci vuole raccontare. 

 

In questo senso le scenografie e il design dei robot e delle diverse tecnologie mostrate mantengono il fascino di quell’immaginario costantemente in bilico tra ipertecnologica e passato, tra metropoli al neon e villaggi rurali immersi nella natura della Thailandia, dove è stato girata gran parte del film. 

L’impatto visivo di The Creator risulta decisamente appagante e avvolgente, merito del reparto di fotografia ed effetti speciali in stato di grazia. 

Sebbene il ritmo del film risulti frammentato e discontinuo, la regia epica di Edwards già emersa nei suoi precedenti lavori ci regala delle grandi sequenze d’azione e battaglie campali alternate a momenti in cui la liricità dell’immagine e dei silenzi, quasi come nei film di Terrence Malick, prende il sopravvento.

 

Per quanto riguarda le interpretazioni, invece, sebbene il livello sia generalmente buono, a stupire specie nelle battute finali è proprio la bravura della giovanissima Madeleine Yuna Voyles. 

 

 

[Un robot senziente di The Creator guarda da lontano Nomad]  

 

 

Altro punto a favore della pellicola risulta sicuramente la colonna sonora. 

 

Sebbene Hans Zimmer non firmi qui il suo lavoro più ispirato, in The Creator le musiche guidano bene lo spettatore nelle diverse situazioni che si succedono nel film in cui trova anche spazio, per la prima volta nel cinema, quel fantastico brano che è Everything in Its Right Place dei Radiohead.

 

I veri problemi di The Creator sono però da riscontrarsi in una scrittura che a mio avviso, oltre a lasciare delle incertezza e presentare qualche buco di trama, non sempre convince nel versante delle interazioni tra i protagonisti e nella delineazione di personaggi secondari convincenti. Inoltre, sebbene Edwards cerchi di stupire gli spettatori con diversi colpi di scena, difficilmente questi riescono a spiazzare, risultando in gran parte decisamente telefonati e prevedibili. 

Come l’Homo Sapiens ha preso il sopravvento sul Neanderthal, la paura che le macchine dotate di Intelligenza Artificiale possano sopraffare i propri creatori è umana. 

È proprio con questa paura che gioca The Creator, portandoci ad adottare diverse prospettive sulla questione e a riflettere su quanta umanità si possa in realtà nascondere nei robot senzienti.

 

Gareth Edwards ci consegna quindi un’opera non esente da difetti, ma che comunque costituisce, specie per i fan sfegatati del genere sci-fi, una piacevole visione. 

 

[articolo a cura di Stefano Romitò]

 

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