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È finalmente arrivato sul grande schermo La Sirenetta di Rob Marshall, attesissimo live action tratto dall’omonima opera del 1989 dei Walt Disney Animation Studios.
Un film che potremmo anche tristemente ricordare con il nome di “quello che ha scatenato i detrattori e ha divulgato sfiducia già a partire dal semplice annuncio del cast fino ad arrivare ai cori negativi contro l’ennesima operazione poco cinefila che mina alla bellezza del Classico da cui è tratto”.
Nell’articolo parlerò anche di questo punto di vista, forse imprescindibile in un’epoca dove film del genere non si limitano all’esperienza-Cinema ma sono vissuti come veri e propri eventi sociali, e de La Sirenetta nel suo complesso anche se con le dovute premesse.
[Trailer internazionale de La Sirenetta]
La prima premessa è che bisognerebbe valutare una pellicola in quanto tale e, di conseguenza, non in base a quanto sia coerente o meno con ciò da cui è tratta (cosa che al contrario per questi live action viene esageratamente fatta, soffermandosi anche su dettagli irrilevanti).
La seconda è che il paragone di per sé non ha senso: si parlerebbe di confrontare una pellicola minore con un Capolavoro dell’animazione in tecnica tradizionale, riconosciuto a livello mondiale come l’inizio di uno dei momenti storicamente più importanti e fiorenti per Disney - il cosiddetto Rinascimento - e per l’Animazione in generale.
Ne risulterebbe sconfitto a priori.
Un confronto possibile è quello sulla trama, pressoché identica al classico animato salvo qualche dettaglio o piccolo cambiamento.
Proprio per questo motivo è bene specificare una cosa che spesso sfugge e che viene facilmente travisata: La Sirenetta è un film sull’amore in tutte le sue forme.
Quindi non un film sull’amore verso un uomo - come spesso si dice - ma verso l’umano e verso la scoperta dell’umanità in quanto tale.
[Ariel (Halle Bailey) ed Eric (Jonah Andre Hauer-King) in una scena de La Sirenetta]
La Sirenetta si apre in modo poetico con una citazione di Hans Christian Andersen, autore della fiaba originale, attraverso immagini meravigliose che onorano la maestosità del mare.
Sicuramente un’introduzione singolare, ma che lascia presagire un contesto non molto diverso da quello che già si conosce.
Sebbene la maggior parte delle scene siano ricreate shot-for-shot, la regia di Rob Marshall è innegabilmente curata con richiami necessari, come altrettanto necessari risultano i cambiamenti dovuti alla consapevolezza del medium.
Anche gli effetti visivi sono molto curati e, nonostante vi siano svariate opinioni contrastanti al riguardo, reggono benissimo l’intero contesto: sono dunque pochissimi secondo me i momenti in cui la CGI risulta veramente piatta.
In quanto musical è determinante la riuscita della colonna sonora: il ritorno di Alan Menken con nuovi testi scritti da Lin-Manuel Miranda - già consacrato nell’impero Disney grazie a Oceania ed Encanto – creano un connubio unico e inaspettato, necessario per adattare La Sirenetta a un contesto contemporaneo.
Halle Bailey nel ruolo di Ariel si dimostra all’altezza, perfetta nei panni della giovane sirena sognante e innamorata dell’ignoto, dimostrando l’infondatezza di critiche superficiali basate unicamente sul suo aspetto e sulla sua etnia.
Il resto del cast non è da meno e la scelta del colour-blind casting è sicuramente azzardata e confusa per spettatori estranei alla pratica, ma determinante per la riuscita di un film più compatto e coerente.
[La strega del mare Ursula è egregiamente intepretata da Melissa McCarthy]
La Sirenetta supera ciò che ci si prospettava?
Purtroppo, e mi duole dirlo, La Sirenetta è l’ennesima operazione riuscita solo a metà: l’incredibile impegno e devozione per il film si vedono, si sentono, sono chiare, ma bisogna tenere a mente che certe opzioni semplicemente non funzionano.
In prima linea i numeri musicali: le canzoni già esistenti e quelle nuove sono riuscite a dare nuova vita al contesto, peccato però che il tutto venga rovinato dall’associazione con le immagini.
Come nella maggioranza dei live action tratti dai Classici Disney c’è un problema perpetrato e, anche se è ridondante ribadirlo, è necessario farlo: sebbene le immagini siano di per sé meravigliose a livello prettamente estetico, risultano comunque piatte in quanto disconnesse con quello che si sta ascoltando.
La scelta di rendere i personaggi più realistici possibile fa perdere proprio lo spirito di quello che significa animare, ovverosia non la riproduzione al computer di un oggetto dandogli un movimento, quanto la sua riproduzione e la scelta di donargli caratteristiche specifiche e funzionali, integrandolo con l’ambiente e le situazioni.
[Sebastian ne La Sirenetta è forse un incubo?]
Ne conviene esattamente lo stesso effetto che già ci fu per il remake live action de Il re leone: un’incredibile copia dell’originale, ma con la costante sensazione di staticità delle immagini.
Questa scelta di realismo-non-realistico, secondo me, mina fortemente la pellicola perché porta a momenti estremamente grotteschi e fastidiosi - a volte addirittura terrificanti - senza volerlo. È bene parlare anche delle scene non presenti nel Classico, che a momenti arricchiscono i rapporti e i conflitti dando informazioni piacevoli e consistenti, e a momenti sono invece totalmente superflue e appesantiscono il minutaggio.
I temi sono tanti, ma non tutti vengono affrontati: uno su tutti la questione ambientale che viene buttata come una considerazione fondamentale per il popolo marino, potenziale frutto di messa in discussione, sulla quale però si glissa in poche battute.
[Un altro personaggio esteticamente poco convincente de La Sirenetta: Scuttle]
Film come La Sirenetta potrebbero dare molto di più, ma restano sempre e comunque incastrati nel passato, con alcune scelte assolutamente originali per poi tornare coi piedi per terra e attenersi a un qualcosa di standardizzato e già conosciuto.
Il problema de La Sirenetta è il problema di tutti gli altri live action tratti dai Classici Disney, nonostante le premesse facessero sperare in qualcosa di più: punti di forza che vengono volutamente indeboliti, forse per la paura di osare.
Secondo il mio parere questo non volersi esporre del tutto macchia delle idee che, se sviluppate meglio, risulterebbero vincenti portando freschezza e dando una nuova prospettiva a quella che dovrebbe essere la vera essenza di questi live action, ovvero un ulteriore modo per apprezzare delle storie senza tempo.
Vi rispettiamo: crediamo che amare il Cinema significhi anche amare la giusta diffusione del Cinema.
1 commento
Terry Miller
1 anno fa
Mi piacerebbe vedere una Disney più coraggiosa.
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