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In occasione di Maestri alla Reggia, ciclo di incontri organizzato dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli in collaborazione con Ciak, la splendida Cappella Palatina della Reggia di Caserta è stata la cornice per l’intervista al regista Paolo Virzì e allo sceneggiatore Francesco Piccolo.
Bagno di folla per i due protagonisti dell’evento, da oggi in sala col film Notti magiche, incentrato sulla scomparsa di un celebre produttore cinematografico nel bel mezzo dei mondiali di Italia ‘90.
Come primo argomento dell’intervista, Piccolo e Virzì hanno rievocato l’occasione in cui si sono conosciuti, occorsa nell’estate del 2000:
“Paolo mi aveva mandato un racconto che aveva scritto e da lì, insieme a Francesco Bruni, ci siamo visti a casa sua; non ricordo l’anno, ma in televisione c’erano la prima edizione del Grande Fratello e gli europei di calcio”.
Grande Fratello di cui erano grandi appassionati, ha sottolineato Virzì, in quanto era l’assoluta novità televisiva del momento.
Il racconto altro non era che la storia di My name is Tanino, uscito in sala soltanto nel 2002 a causa delle difficoltà economiche e legali in cui incappò Vittorio Cecchi Gori, produttore del film.
La mancanza di fondi interruppe la produzione per diversi mesi e costrinse Piccolo e Virzì a modificare il finale: originariamente, la pellicola doveva terminare con Tanino, ragazzo siciliano con l’ambizione di diventare regista che si allontanava dal porto di New York (la vicenda è ambientata negli Stati Uniti) a bordo di una portaerei, mentre in sottofondo si sarebbe ascoltata My way, celebre canzone di Frank Sinatra: ciò ovviamente non fu possibile.
L’ultima scena fu dunque riscritta e vede il giovane intento a scrivere delle note in aereo. Virzì pagò di tasca sua i biglietti per se stesso, per l’attore (Corrado Fortuna) e per l’operatore.
Successivamente, ci si è concentrati su Notti Magiche, la cui realizzazione – secondo Virzì – stata una sfida:
“È un film pieno di trucchi, pieno di invenzioni, è un film estivo girato d’inverno; è una sfida esaltante: cercare e aspettare il raggio di sole in una giornata d’inverno, che arriva per due minuti circa, ma quando arriva è magico e conferisce al film un sapore che è diverso dal realismo di un film girato d’estate a Roma, col sole a picco, il trucco che cola e gli esterni color cacarella.
C’era quest’eterno crepuscolo, che è un crepuscolo anche di quell’epoca, di quel mondo che emetteva gli ultimi struggenti bagliori”.
Virzì e Piccolo hanno parlato anche del loro modo di operare sul set cinematografico: lo sceneggiatore ritiene che la sua sia una figura ingombrante (“Sul set ci sono duecento persone che lavorano e l’unico che non lavora è lo sceneggiatore”); egli, generalmente, si allontana dal luogo delle riprese dopo poco tempo perché si annoia a vedere una stessa scena rigirata più volte.
Virzì ha invece posto l’accento sulla sua abilità nel disegno:
“Sul set ne faccio un uso di servizio: non per fare gli storyboard, ma per scambiarsi informazioni con i reparti di trucco e parrucco, casting e scenografia”.
I suoi schizzi e le sue caricature sono utilizzati dalla troupe come punto di riferimento circa i suoi gusti e i suoi desideri riguardanti la messa in scena del film.
Il regista ha anche ripercorso gli inizi della sua carriera, raccontando come i mostri sacri del cinema di un tempo si divertissero a massacrare le ideologie e ad accapigliarsi allegramente, con rispetto ma senza ipocrisia alcuna.
A tal proposito ha riportato un gustoso aneddoto, a proposito di un incontro con Dino Risi avvenuto alla fine degli anni ‘80: all’epoca Virzì era un negro (nel gergo cinematografico, colui che collabora alle sceneggiature senza firmarle); quando ebbe modo di congratularsi con Risi per i grandi film che egli aveva diretto nei decenni precedenti (Il sorpasso su tutti), il giudizio del cineasta sull’epoca passata fu tagliente e irriverente:
“Erano tutti str***i, erano str*****e, le attici erano tr**e, gli attori fr**i".
Con queste poche parole, Risi demolì (scherzosamente) i miti del giovane sceneggiatore, al quale interessava inizialmente più la scrittura che la regia:
“Io cominciai come sceneggiatore e in aperta polemica con i miei colleghi del centro sperimentale di Roma, aspiranti registi, dicevo che un regista non serve a nulla: servono una buona storia, un bravo attore e un bravo attrezzista”.
L'esordio dietro la macchina da presa avvenne nel 1994, con La bella vita.
Diverse parole sono state spese anche per il confronto fra cinema contemporaneo e cinema del passato: se Piccolo ha evidenziato come oggi sia più semplice per chi vuole diventare cienasta procurarsi i mezzi per girare un film, Virzì ha posto l’accento sulle numerose modalità con cui oggi si può godere della visione cinematografica, sostenendo che bisogna ammodernare e rendere più accoglienti le sale cinematografiche, se gli esercenti vogliono stare al passo delle tecnologie che consentono agli spettatori di vedere un film comodamente da casa.
In chiusura, i due protagonisti della serata hanno omaggiato altrettanti capolavori del cinema italiano: Io la conoscevo bene, film diretto da Antonio Pietrangeli nel 1965 (“Bellissimo e cattivissimo”, a detta di Virzì), opera che mette in luce il lato oscuro dell’industria cinematografica; 8½ di Federico Fellini, elogiato perché capace di raccontare come nessun altro l’interiorità umana, un aspetto che – credeva Piccolo – potesse essere raccontato soltanto dalla letteratura e non dal cinema.