close

NUOVO LIVELLO

COMPLIMENTI !

nuovo livello

Hai raggiunto il livello:

livello

#CineFacts. Curiosità, recensioni, news sul cinema e serie tv

#articoli

Ritorno a Seoul - Recensione: I never needed anybody

Il secondo film di Davy Chou è la perfetta Polaroid al neon di una generazione abbandonata che non ha bisogno di nessuno, ma che non trova il suo posto

Ritorno a Seoul è il secondo film di Davy Chou, un accurato racconto sia nella forma sia nella sostanza del suo giovane autore e di tutta la sua generazione. 

 

Presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival del Cinema di Cannes 2022 e presentato in anteprima italiana al 40° Torino Film Festival, Ritorno a Seoul arriva in sala grazie alla collaborazione tra I Wonder e MUBI. 

 

Il regista francese, figlio di genitori cambogiani, confeziona un film che racconta perfettamente lo smarrimento di una ragazza di venticinque anni ritrovatasi nel suo paese d'origine, la Corea, senza avervi mai vissuto in quanto adottata da una coppia francese ancora in fasce, riuscendo anche a mostrare come una generazione senza padri sembri gridare "io non ho bisogno di nessuno!".

 

[Il trailer di Ritorno a Seoul]

 

 

Il personaggio di Freddie è liberamente ispirato alle vicende di Laure Badufle, un'amica di Davy Chou, ma in lei si riverbera anche tutta l'esperienza dell'autore; senza dire nulla ai propri genitori Freddie decide di partire per il suo paese natale per incontrare i propri genitori biologici.

 

La Hammond è un'azienda che gestisce le numerose adozioni di bambini coreani e Freddie viene prima messa in contatto con l'appiccicoso padre biologico e poi cerca di seguire le tracce di una madre che non sembra volerla incontrare. 

 

Chou mette subito in chiaro la volontà esemplificativa della vicenda della protagonista di Ritorno a Seoul: l'istituzione che organizza gli affidi è talmente grande da perdersi, come la ragazza a Seoul, ed è così distante e fredda da richiedere una rottura degli schemi.  

Hammond viene raccontata come un pilastro tanto invadente da avere anche una sorta di Chi l'ha visto? in televisione che si occupa di rimettere in contatto figli e genitori biologici. 

 

Il senso di abbandono e di legame tagliato permea tutte le vicende della giovane venticinquenne che da un lato è legata al paese in cui è nata unicamente dai lineamenti "puramente (o arcaicamente) coreani" - come le verrà detto - ma che dall'altro non ne conosce i modi e anzi sembra quasi che si prenda gioco degli abitanti autoctoni con la sua voglia di spaccare il mondo e con il suo sguardo diretto.

 

 

[La bravissima Park Ji-min nella sua prima uscita in Ritorno a Seoul, mentre cerca di scoprire il mondo che la circonda]

 

 

Le vicende di Freddie in Ritorno a Seoul sono divise in sezioni temporali abbastanza nette, cosa che permette al regista franco-cambogiano di mostrarci con il passare del tempo il tentativo di emancipazione della ragazza dal paese d'origine, dal paese adottivo, dalle guide, dai maestri e dagli uomini e di come ciò sia un sentimento definente e di difficile risoluzione più che un'adolescenziale volontà di rivolta, come se la giovane dovesse prima trovare il proprio posto e solo in seguito creare legami stabili con luoghi e persone.

 

La voglia di libertà della protagonista è il vero motore del film di Davy Chou ed è tangibile la presenza nella scrittura del personaggio della sua magnetica interprete Park Ji-min, incredibilmente per la prima volta sullo schermo: un'interpretazione che regge da sola tutta la struttura di Ritorno a Seoul e che tiene insieme la libera strafottenza della giovane e l'estrema empatia che suscita nei momenti di maggior fragilità

 

Assieme a questa brama è sempre presente anche un'innata curiosità che porta lo spettatore a immergersi in un mondo che non conosce, guidato dallo sguardo avido e indagatore di Freddie - sempre protagonista dei primissimi piani di Davy Chou - e dalla capacità del film di perdersi nei luoghi e nei momenti lasciando spazio all'attesa e alla contemplazione.

 

 

[Tena (Guka Han) amica-guida mentre fa da interprete tra Freddie e il padre adottivo in Ritorno a Seoul]
Ritorno a Seoul Ritorno a Seoul

 

In questo viaggio alla scoperta di se stessa e del mondo che la circonda è centrale l'importanza data alla barriera linguistica e, di conseguenza, all'emancipazione culturale: prima con le guide coreane, poi con il padre biologico e con la sua famiglia è infatti fondamentale la presenza di interpreti, mai capaci di dare completa traduzione ai pensieri della giovane.

 

A un certo punto diventa importante vedere la protagonista, che conosce il coreano, scegliere di mettere una barriera tra lei e il padre, interpretato da Oh Kwang-rok, già noto per la sua presenza nella Trilogia della Vendetta di Park Chan-wook: il muro che era stato prettamente linguistico diventa così emotivo, mostrando il filo che lega le due questioni. 

 

La lingua diventa così un fedele riflesso dei rapporti umani, come Chou mostra attraverso diversi dialoghi che ci permettono di conoscere la camaleontica Freddie lungo tutto Ritorno a Seoul; il film è più che un ritorno in patria o una ricerca di origini un vero e proprio viaggio maieutico e fatto di attese all'interno della protagonista, delle sue fragilità, dei suoi dubbi e della forza della sua voglia di libertà.

 

 

[In Ritorno a Seoul dopo il primo momento temporale l'aspetto futuristico e fatto di neon diventa sempre più presente]

 

Questo percorso è caratterizzato da differenti registri visivi che raccontano perfettamente l'essere multiforme della giovane di origini coreane: tra la scoperta di una Corea periferica e arretrata mostrata in maniera estremamente realistica e naturalistica a una Seoul futuristica e cyberpunk illuminata da luci artificiali e vestita di pelle.

 

In questa dicotomia si aprono sguardi che raccontano un paese in cui anziane donne possono essiccare il cavolo sugli stessi tetti che di notte si accendono con i neon e i locali notturni nei sottoscala dove le droghe e la musica elettronica ci riportano in questo secolo. 

 

Una vena estetizzante che non sfocia mai nella leziosità gratuita, ma che anzi crea piccoli squarci di libertà e di totale perdita delle inibizioni, come succede in particolare nei momenti in cui Freddie balla da sola, in un film profondamente intimo, reale ed empatico come Ritorno a Seoul: nell'atto e nella poesia del gesto, talvolta anche sgraziato, le inquadrature strette dell'autore riescono a restituire una totale connessione con la giovane protagonista.

 

 

[Freddie in Ritorno a Seoul cerca di comprendere il mondo coreano, ma allo stesso tempo sembra sempre guardarlo come se fosse qualcosa di estraneo]

 

L'indipendenza bramata da Freddie non la porta a un'azione caotica, ma a un'immobilità e a un continuo spostarsi in attesa di cambiamento.

 

Sarà la sua vita privata, questa sì in un continuo turbinio, a mostrare la sua ricerca forsennata e il suo terrore per la dipendenza e per i legami; Ritorno a Seoul è a mio avviso un film intimo che non si accontenta della sola empatia, ma riesce a costruire un discorso generazionale e di rottura estremamente potente e d'impatto, che può a diritto essere ritenuto una Polaroid al neon di una generazione che sente di non aver bisogno di nessuno e di essere stata abbandonata, ma che allo stesso tempo non trova la propria strada. 

 

Become a Patron!

 

Ti è piaciuto questo articolo?

Sappi che hai appena visto il risultato di tanto impegno, profuso nel portarti contenuti verificati e approfonditi come meriti. 

Se vuoi supportare il nostro lavoro perché non provi a far parte de Gli Amici di CineFacts.it? 

Chi lo ha scritto

TI POTREBBERO INTERESSARE ANCHE

Articoli

Articoli

Articoli

Lascia un commento



close

LIVELLO

NOME LIVELLO

livello
  • Ecco cosa puoi fare:
  • levelCommentare gli articoli
  • levelScegliere un'immagine per il tuo profilo
  • levelMettere "like" alle recensioni