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Licorice Pizza: quattro anni dopo Il filo nascosto, la Settima Arte ci regala un’altra perla di Paul Thomas Anderson.
Il 2021 è stato l’anno in cui cineasti del calibro di Paolo Sorrentino, Kenneth Branagh e Steven Spielberg hanno ricercato nei ricordi della propria infanzia e giovinezza - seppur ciascuno in maniera e toni differenti - la giusta ispirazione per proseguire a sviluppare la loro cinematografia.
L’italiano e il nordirlandese, attraverso due lavori semi-autobiografici, si sono misurati rispettivamente con la Napoli degli anni '80 e la Belfast di fine anni '60; l’americano, invece, ha voluto affrontare per la prima volta nella sua carriera il genere musicale riadattando quell’opera che lo aveva folgorato da bambino e che da allora non l'ha mai abbandonato.
A fare compagnia a questi colleghi si aggiunge anche Paul Thomas Anderson, che dopo quattro anni dall’ultimo stupendo lavoro è tornato nelle sale con il suo attesissimo Licorice Pizza, fresco di tre candidature ai Premi Oscar come Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura Originale.
[Il trailer italiano di Licorice Pizza]
Questa nuova produzione, infatti, altro non è che una commemorazione romantica dei luoghi e degli ambienti che hanno formato l'autore durante la sua gioventù, e quindi anche uno sguardo nostalgico nei confronti di un determinato periodo storico americano: precisamente come nel precedente Vizio di forma, il “dove” è la San Fernando Valley in California, il “quando” sono gli estrosi anni ’70.
Anderson attinge a piene mani dallo stile del suo Maestro Robert Altman e confeziona un racconto privo di un vero e proprio intreccio: l'utilizzo di una serie di scene ed episodi inquadrati in una cornice memorativa si impone sulla tradizionale narrazione cronologica degli eventi che ne avrebbe intrappolato e sminuito la potenza (ri)evocativa.
Il regista evita qualsiasi progressione narrativa, rifacendosi completamente alla memoria personale e a quella collettiva in modo quasi ciclico, dove alla fine di ogni scena sembra di ritornare al punto di partenza, quindi senza una normale progressione temporale, esattamente come accade nella dimensione dei ricordi o in quella onirica.
[Paul Thomas Anderson è uno degli autori più influenti del Cinema contemporaneo: anche per questo motivo il suo Licorice Pizza era uno dei titoli più attesi dell'anno]
La reminiscenza di un’intera epoca viene descritta attraverso una relazione, quella tra Alana Kane (Alana Haim), un’assistente fotografa venticinquenne, e Gary Valentine (Cooper Hoffman), un attore quindicenne.
Lui si innamora a prima vista e si dichiara, lei - complice anche la differenza d’età - non lo prende seriamente, ma ne rimane comunque colpita.
Tra loro s’instaura un’unione profonda, un’amicizia pervasa di romanticismo che cela un amore apparentemente impossibile.
Si scontrano, si riappacificano, ma soprattutto si rincorrono, letteralmente.
Tuttavia, nonostante l’etichetta del genere parli chiaro, Licorice Pizza rifiuta categoricamente la definizione canonica di commedia romantica o di racconto di formazione: Anderson adotta in maniera del tutto non convenzionale uno sguardo universale che trascende l’età e punta tutto sulle emozioni.
[Gary (Cooper Hoffman) e Alana (Alana Haim), personaggi principali di Licorice Pizza]
Tutto ciò si deduce subito dal primo incontro-scontro tra i due protagonisti.
Dalle battute di entrambi si evince la caratterizzazione delle loro psicologie per mano del regista-sceneggiatore, che attribuisce ai due personaggi una forte maturità e determinazione.
Non solo perché li introduce immediatamente in un contesto adulto, ma anche perché il confronto con i veri adulti che li circondano è semplicemente disarmante: questi ultimi sono del tutto assenti, distanti oppure completamente immaturi, inaffidabili, incomprensibili e caricaturali.
Ne sono prova i casi dell’autoreferenziale ruolo di Jack Holden - visibilmente ispirato all’attore William Holden - interpretato perfettamente da Sean Penn; l’irascibile egocentrico Jon Peters, portato sullo schermo magistralmente da Bradley Cooper; il folle regista Rex Blau - anch’egli basato sul reale regista Mark Robson - impersonificato da Tom Waits; il politico egoista Joel Wachs (Benny Safdie); l’ipocrita Lucy Doolittle (Christine Ebersole), figura incentrata su Lucy Ball; la serafica ma brutale agente per attori e attrici-bambino Mary Grady (Harriet Sansom Harris) e infine il razzista (forse a sua insaputa) uomo d’affari Jerry Frick (John Michael Higgins).
[Sean Penn nei panni di un personaggio ispirato all'attore William Holden in Licorice Pizza]
Proprio perché Gary e Alana vengono ritratti come due persone mature, la differenza tra le loro età perde importanza, quasi come se nella dimensione nostalgica di Licorice Pizza tutte le persone non adulte venissero percepite come coetanee.
Nonostante Alana si domandi molte volte il motivo per cui frequenti un ragazzo di dieci anni più giovane, è il confronto con la realtà a fornirle la risposta: cerca in ogni modo di allontanarsi da lui e trovare la propria strada, ma ogni nuovo ambiente che tenta di frequentare - dal Cinema alla politica - è estremamente deludente o falso.
Solo la genuinità impregnata di ottimismo e caparbietà tipici dell’adolescenza che può garantirle Gary la fa sentire accettata e non più fuori contesto.
[Un formidabile Bradley Cooper interpreta Jon Peters: la migliore prova "minore" in Licorice Pizza]
Inutile dire che la forza di questa relazione sullo schermo proviene anche dalle magnifiche interpretazioni di Alana Haim e Cooper Hoffman, entrambi al loro debutto.
La prima è pianista, chitarrista e cantante del gruppo HAIM assieme alle sorelle Danielle ed Este (che anche nella pellicola ricoprono il ruolo di sorelle della protagonista, assieme ai loro reali genitori): buca lo schermo con una forza espressiva, energia, carisma e disinvoltura tali da sembrare un’attrice rodata.
Il secondo, figlio del compianto Philip Seymour Hoffman, attore nonché feticcio proprio di Paul Thomas Anderson, esprime una naturalezza, una vitalità e un magnetismo a dir poco incredibili.
[Il titolo provvisorio di Licorice Pizza era in precedenza Soggy Bottom, cioè la società di materassi ad acqua fondata da Gary]
La chimica tra i due interpreti non proviene solo dalla loro elevata compatibilità, esaltata in ogni scena assieme, ma anche dalla prodigiosa e famosa abilità del regista nel dirigerli.
Oltretutto questa è la prima volta che Anderson dedica tanta centralità in una sua opera a un personaggio femminile, uno dei motivi che rende Licorice Pizza così unico nella sua intera filmografia.
La relazione tra i due personaggi principali serve anche da strumento per una lettura metaforica del contesto socioeconomico statunitense dell’epoca, diviso sostanzialmente in due anime in antitesi.
Da una parte Gary rappresenta tutto l’infinito ottimismo e l’intraprendenza - umana e commerciale - del paese, dall'altra Alana simboleggia la parte più disillusa, delusa dalla politica, spaventata da una crisi economica che può infrangere i propri sogni e il proprio futuro, inappropriata e fuori luogo nel passaggio tra una generazione e l’altra.
Qui risiede lo sguardo universale di Anderson, che scrive un racconto che può posizionarsi perfettamente anche in un’epoca contemporanea e non solo nel contesto temporale rappresentato.
[Uno dei primi piani dell'affascinante fotografia di Licorice Pizza]
Ciononostante i personaggi principali di Licorice Pizza si approcciano a questo dualismo con un sentimento di leggerezza travolgente, vero cuore di tutto il film.
Da un punto di vista lavorativo dimostrano un forte spirito d’adattamento nel non permettere che le speranze riposte nelle loro avventure professionali vengano demolite dalle conseguenze della crisi petrolifera; per quanto riguarda tutti gli altri ambiti esistenziali si può notare un’ottica spensierata, spoglia di qualsiasi ossessione, pressione ed egoismo.
La vita viene affrontata con la purezza tipica dei sognatori, con la serenità di chi non ha niente da perdere.
E corre.
In molte scene del film Alana e Gary corrono, assieme o uno verso l’altra: attraverso questo movimento liberatorio il regista sembra invitare al dinamismo e a osare il più possibile per coronare i propri sentimenti, nonostante tutto e tutti.
[In Licorice Pizza si corre, e molto]
In Licorice Pizza la leggerezza diventa quasi un filtro attraverso il quale viene modificata la realtà: uno degli aspetti più ricorrenti della poetica di Anderson, espresso in quasi tutta la sua filmografia, è infatti quell’atmosfera quasi metafisica e a tratti persino onirica che avvolge gli intrecci delle sue opere.
Quest’ultima, inoltre, solitamente è una diretta proiezione degli stati d’animo dei personaggi e si manifesta in accordo con le loro emozioni o sentimenti.
Non fa eccezione Licorice Pizza che, come si diceva all’inizio, è permeato da dinamiche narrative simili a quelle dei ricordi o dei sogni - esattamente come in È stata la mano di Dio e Belfast - imitate in questo caso da dissolvenze particolari e specifiche soluzioni di montaggio.
[Licorice Pizza è un esordio cinematografico sensazionale per Cooper Hoffman]
Tutto questo viene coadiuvato da una splendida fotografia curata dal regista stesso assieme a Michael Bauman, qui al suo esordio dopo averlo accompagnato per anni come tecnico delle luci.
Questo aspetto tecnico è formato da scelte estetiche meticolose caratterizzate da toni caldi, propri di un’estate che sembra appunto infinita, e da una costruzione dell'immagine patinata e degradata, dovuta sia alla scelta di girare in pellicola 35mm sia dall'utilizzo di lenti Panavision provenienti direttamente dagli anni ’60 e ’70.
Anderson, ovviamente anche sceneggiatore, come d’abitudine cuce la scrittura di uno dei suoi personaggi principali sul profilo dell’attore o dell’attrice scritturato/a (in questo caso Alana Haim) e si produce in un’ulteriore dimostrazione del suo immenso talento registico.
In Licorice Pizza la macchina da presa non solo segue i protagonisti come un’ombra, insinuandosi dolcemente in tutti i loro dialoghi e movimenti, ma decide anche di soffermarsi sui dettagli, esaltando tutte le emozioni ed espressioni facciali attraverso primi piani coinvolgenti, la cui resa è massimizzata dal rapporto di aspetto anamorfico e dallo sviluppo della pellicola in 70mm.
[Fat Bernie's: l'avventura professionale dei protagonisti di Licorice Pizza]
La cura dell’immagine che contraddistingue la poetica dell’autore prevede anche, come sempre nella sua filmografia, una selezione musicale specifica e ricercata come accompagnamento.
Oltre alle sublimi composizioni dell’ormai fedelissimo Jonny Greenwood che diventano ancora una volta parte integrante della sceneggiatura, formano la splendida colonna sonora anche brani di quell’epoca, interpretati da artisti del livello di Nina Simone, Suzie Quatro, The Doors, Sonny & Cher, David Bowie e Paul McCartney: ognuno di essi perfettamente in armonia con la scena corrispondente.
Inutile dire come anche in questo film Anderson riesca a trattare i temi a lui più cari.
In Licorice Pizza non troviamo solo una celebrazione romantica degli ambienti sociali e artistici californiani degli anni ‘70 basata su ricordi personali, ricordi cinematografici (i rimandi ad American Graffiti sono svariati, a partire dalla scena d’apertura nei bagni scolastici) e aneddoti vari (il personaggio di Gary è ispirato all’attore-bambino Gary Goetzman, diventato poi produttore e grande amico del regista: alcune scene che lo vedono protagonista gli sono realmente accadute), ma anche relazioni disfunzionali di ogni tipo, la solitudine, l’assenza dei padri, l’alienazione e l’ineluttabilità del destino.
Ma si tratta anche del quadro perfetto per narrare l’amore - formando così una potenziale trilogia di genere sul tema con Boogie Nights e Ubriaco d’amore - nel suo aspetto più puro e sincero.
Con questa bruciante energia vitale Licorice Pizza si presenta quindi come un affresco di una generazione composta da individui che, indipendentemente dall’età, tentano di trovare la propria dimensione nonostante le loro contraddizioni e le avversità incontrate lungo il cammino.
Un manifesto dell’importanza della spensieratezza e della spontaneità che include al suo interno una profonda riflessione sull’autenticità di un’esistenza imperfetta, sull’esperienza e sulle esperienze, sul rischio di potersi precludere il meglio della vita se non si ascoltano i propri istinti e sentimenti.
In uno slancio di atipico ottimismo, Paul Thomas Anderson sembra dunque indicarci che la speranza per il futuro risiede nella magia della leggerezza: non come mancanza di serietà, bensì come abbondanza di delicatezza.
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