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L’abbaglio - Recensione: l’illusione di un sequel spirituale

Roberto Andò torna al cinema realizzando un film insieme alla squadra del suo precedente successo, La stranezza, senza tuttavia riuscire a risultare pienamente convincente.

L’abbaglio, il nuovo film di Roberto Andò, è appena uscito nelle sale italiane, prodotto - tra gli altri - da Netflix e distribuito da 01 Distribution.

 

Il regista palermitano tenta di replicare il precedente successo de La stranezza includendo nella realizzazione del film la medesima squadra di lavoro, a partire dai protagonisti Toni Servillo, Salvo Ficarra e Domenico Picone, e sfruttando un budget decisamente più alto. La definizione di un maggiore spazio di manovra ha tuttavia come conseguenza l’evidenziazione di una serie di evidenti limiti che appartengono sia a L'abbaglio che al regista.

 

 

[Toni Servillo in una scena de L'abbaglio]

 

 

Senza dubbio L’abbaglio sembra voler replicare la formula vincente de La stranezza: i protagonisti sono gli stessi, così come i responsabili dei comparti tecnici - dalla fotografia al montaggio e la colonna sonora - e la sceneggiatura è sempre scritta da Roberto Andò insieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso.

 

Stavolta al centro delle vicende ci sono, però, fatti realmente accaduti.

 

L’abbaglio racconta una parte della Spedizione dei Mille, uno degli episodi più importanti del Risorgimento. Tra il 1860 e il 1861 circa mille volontari decisero, sotto il comando di Giuseppe Garibaldi, di partire per la Sicilia, allora parte del Regno delle Due Sicilie, allo scopo di rovesciare il governo borbonico e permettere l’annessione di quest’ultimo all’insorgente Regno d’Italia. Ad essere preso in considerazione nel film non è tuttavia il punto di vista di Garibaldi (Tommaso Ragno), bensì quello del colonnello Orsini (Toni Servillo), incaricato di reclutare i volontari, e di due disertori, Domenico e Rosario (Ficarra e Picone), arruolati nell’esercito esclusivamente per fuggire dal settentrione.

Intorno a loro poi tutte le difficoltà legate alla difficile missione garibaldina, tra cui l’ingerenza di una primordiale mafia e l’inevitabile resistenza dell’esercito occupante.

 

Nel 2022, con l’uscita nelle sale de La stranezza (presentato fuori concorso alla Festa del Cinema di Roma), Andò portò a casa una sorprendente vittoria sia critica che economica: il film infatti riuscì ad incassare oltre 4 milioni di euro dopo meno di un mese, diventando la produzione italiana di maggiore successo dell’anno e ricevendo critiche in generale positive.

 

Il film aveva colpito notevolmente anche me: nel suo linguaggio e nei suoi intenti trovai un’interessante riflessione sul rapporto tra cinema e teatro e dunque sul tema della rappresentazione.

 

Immaginando un incontro tra Luigi Pirandello, all’alba dei Sei personaggi in cerca d’autore, e due teatranti dilettanti, Andò era riuscito a stratificare il suo film di interessanti dualismi nei personaggi che provenivano da contesti differenti, nel registro stesso che alternava commedia popolare a dramma storico, e infine nella scelta di Toni Servillo e della coppia comica Ficarra e Picone, personalità-simbolo di due mondi completamente distanti.

 

 

Esattamente come ne La stranezza quindi, Andò sceglie di costruire in L'abbaglio due storyline differenti che, sviluppandosi parallelamente, finiscono per incontrarsi e rincontrarsi a più riprese. In questo modo il tono del film si divide in due parti: una parte più scanzonata e dinamica, e una parte più cupa e introspettiva, fatta di monologhi e di osservazioni politiche.

 

Ne L’abbaglio però lo sbilanciamento è eccessivo ed entrambi i toni finiscono per somigliarsi sempre di più, annacquando non poco quella dicotomia che invece era stata punto di forza del suo precedente lavoro.

 

 

[Giulia Andò, Valentino Picone e Salvo Ficarra in una scena de L'abbaglio]

 

 

Stilisticamente il regista sembra riproporre comunque la sua esperienza passata e, infatti, la sua regia quando è pulita e stabile - anche grazie all’ottima fotografia sui toni caldi di Maurizio Calvesi - è davvero convincente.

Diviene incerta quando la camera passa alle mani, specialmente nelle scene di azione che infatti fanno venire a galla i suoi limiti e la sua poca padronanza con il genere.

 

L'abbaglio riesce a portare a termine soltanto in parte quello che sembra essere il suo intento: mostrare l'illusione, appunto, del sogno italiano con lo sguardo rivolto certamente alla contemporaneità. Affiorano il tema della libertà, anche nelle differenze generazionali, l’idea della Sicilia in quanto territorio insidioso e complesso, il dramma della miseria che lascia abbandonate a se stesse le persone comuni e, così, tutti i sistemi di sopravvivenza di chi ha poco più che qualche vestito addosso, di fronte all’avvento di una guerra di cui non è nemmeno in grado di capire l’entità. 

 

Ma, appunto, sono temi che affiorano solamente in L'abbaglio, senza imporsi con forza sullo schermo.

 

Quello che resta è un ritratto piuttosto superficiale del passato, una sorta di storia ripulita dalla crudezza e dalla reale tragicità della guerra che vuole anzitutto mostrare la nobiltà morale degli ultimi rispetto ai primi, la superiorità umana del popolo sui potenti, siano essi comandanti, imprenditori o mafiosi.

 

La guerra, anche in forma di rievocazione storica, è un tema estremamente complesso ed è tuttavia uno dei più interessanti da ispezionare per la sua capacità di creare numerosi piani di riflessione umana, politica e sociale. È un tema che si riesce faticosamente a leggere attraverso la polarità; per questo motivo, L’abbaglio è un film che a mio avviso appare dissestato, sbilenco.

 

Non mi sembra casuale il fatto che sul finale il film tenda a dilungarsi, quasi fosse incerto su come concludersi.

 

Come se fosse il film stesso il primo ad avere capito di essersi mosso dentro i confini di una retorica alla fine prevedibile, divisa tra la forza dell’ideologia e l’emergere di una coscienza politica flebile e illusa.  

 

---

 

La recensione di L'abbaglio vi è piaciuta e volete saperne di più? Non perdetevi l'intervista di Maria Socci con l'autore della colonna sonora Michele Braga!

 

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