#articoli
Proprio all'inizio di Al progredire della notte vi è un momento nel quale già s’intuisce con quanta dimestichezza Davide Montecchi si destreggi attraverso la materia - e dunque il genere - scelta per dar forma a questo suo ultimo cinematografico incubo.
Il superamento della fantomatica Prima Soglia che, come il buon Christopher Vogler chi ha insegnato rappresenta in sceneggiatura il punto di non ritorno dal quale prende il via l’autentico Viaggio dell’Eroe, coincide stavolta con lo scorrimento della silenziosa porta a vetri di una desolata stazione.
Così come fu per la fragile Susy Benner sperduta nell'affollato terminal che l'avrebbe di lì a poco instradata all’esoterico Suspiria, la porta a vetri condurrà la nostra eroina verso un ending tutt’altro che happy.
[Il trailer di Al progredire della notte]
Non la fitta pioggia di una tenebrosa Friburgo, ma piuttosto la densa nebbia di un’egualmente nottambula e architettonicamente razionalista cittadina senza nome sarà tuttavia lì pronta ad accogliere la bionda Claudia (Lilly Englert): giovane aspirante attrice alla disperata ricerca di sé stessa, convinta per l'occasione da una non meglio identificata – e telefonica – dolce metà a recidere il coriaceo cordone ombelicale che ancora la lega, evidentemente a doppio filo, a un’amorevole quanto opprimente matriarca per seguire piuttosto un catartico corso di sopravvivenza nel mezzo di una dantesca Selva Oscura.
Dunque via a tutto gas fra le strade perdute di una spettrale Foresta Nera; a bordo non certo di quel celeberrimo taxi guidato a mo' di Caronte, fra lo stregonesco Sospiro e l'altrettanto esoterico Inferno, dall’argentiano feticcio Fulvio Mingozzi, quanto piuttosto di un'anonima Citroën attraverso cui la gioviale Letizia (Lucia Vasini) traghetterà la sua nuova sprovveduta affittuaria verso Quella casa nel bosco nella quale, sin dalla cinematografica notte dei tempi, nulla e soprattutto nessuno di buono pare abitare.
La casa o, meglio, l’appartamento quale coacervo di quelle sovrannaturali forze del Male che, tanto il seminale Rosemary’s baby ieri quanto il goticheggiante The Well di Federico Zampaglione e, ça va sans dire, pure l'escatologico Venus di Jaume Balagueró oggi hanno dimostrato essere sempre in agguato dietro l’angolo come il celeberrimo wertmülleriano Brigante da strada; trasformando quello che si preannunciava come un breve e innocuo soggiorno Al progredire della notte in un autentico lovecfraftiano incubo a occhi e orecchie ben aperti.
Dietro a uno spesso strato di materna accoglienza condito da pasta al ragù e qualche sorso di limoncello, la nostra sottilmente equivoca locatrice – probabilmente influenzata da qualche rewatch di troppo del White Noise di Geoffrey Sax – più che vedere pare dilettarsi nel sentire la proverbiale gente morta.
Attraverso un non meglio specificato dispositivo radiofonico fuoriuscito dritto dritto da un qualche tecnorganico prototipo targato David Cronenberg che un certo Mad Doctor tristemente noto come Leone Servadio (Pier Sandro Freglio) avrebbe posto al centro degli oscuri studi del proprio Centro di Comunicazione Inconscia Progressiva, meglio (s)conosciuto come Le Nove Sale.
Viste le più che evidenti esoteriche premesse con Le Nove porte del regno delle ombre messe su carta da Arturo Pérez-Reverte e successivamente traslate su schermo da un ispiratissimo Roman Polański, beh: qualcosina da spartire dovrà pure avercelo, no?
[Lily Englert e Lucia Vasini protagoniste di Al progredire della notte]
Come affermato dall’ormai trapassato santone “Sono le donne ad aprire le porte dell’inferno”, non è dunque un caso che l'ignara protagonista di Al progredire della notte si ritrovi, al pari della celeberrima Alice di carrolliana memoria, prigioniera di una labirintica planimetria nella quale porte e soprattutto porticine parrebbero condurla non tanto in meravigliosi paesi quanto piuttosto in altrettanto surreali e ben più insidiose Backrooms.
Oscuri luoghi della mente e dell’anima che, in perfetto contraltare rispetto alle numerose perturbanti icone religiose che affollano mobili e pareti come nel gelido The Lodge del duo Franz-Fiala, paiono restituire un’idea assai laica e in un certo qual modo parecchio alchemica di ciò che, per dirla à la Stewart Gordon, va ma soprattutto viene From Beyond.
Così come ricordatoci a strettissimo giro da due titoli assai speculari quali Omen - L’origine del presagio e il ben più intrigante Immaculate, per poter (ri)nascere il Male abbisogna soltanto di un fresco grembo nel quale maturare.
[Gli spettri non si vedono ma si sentono parecchio in Al progredire della notte]
A quasi un decennio dall’angosciante e già claustrofobico esordio con In a Lonely Place, attraverso una regia estremamente solida e una messa in scena dalle atmosfere squisitamente baviane il buon Davide Montecchi confeziona con Al progredire della notte un'inquieta e decisamente inquietante discesa di 90 minuti attraverso L’immensità della notte, ma senza gli oggetti volanti non meglio identificati da Andrew Patterson.
Grazie alla collaborazione dell’ottima penna di Marta Rossi Castelvetro, la componente orrorifica che pregna ogni centimetro quadrato di questa Ghostland sotto mentite romagnole spoglie si rivela ben presto per ciò che realmente è: un gigantesco onirico MacGuffin – all'intero del quale il retrogusto di Skinamarink riesce a sprazzi persino a far filtrare il proprio terrificante surreale sapore – attraverso cui parlarci di ben altre e più terrene questioni.
Che siano tuttavia una precoce crisi identitaria (“Claudia, ricordati chi sei!”), la difficile accettazione di una maternità imprevista o Il legame - così come esotericamente concepito da Domenico De Feudis - più che mai irrisolto con una mater assai più vicina alla stregonesca accezione argentiana che non all’edipica co-dipendenza del Norman Bates dell’hitchcockiano Psyco, i numerosi e ben celati messaggi più o meno subliminali non inficiano affatto quello che, in fin dei conti, altro non è che un ottimo – e per fortuna ennesimo – esempio di Cinema di genere tricolore di cui oggigiorno necessitiamo quanto l’aria che respiriamo.
[articolo a cura di Matteo Vergani]
___
CineFacts non ha editori, nessuno ci dice cosa dobbiamo scrivere né soprattutto come dobbiamo scrivere: siamo indipendenti e vogliamo continuare ad esserlo, ma per farlo sempre meglio abbiamo bisogno anche di te!