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Valley of the Gods è il nuovo film di Lech Majewski, regista, scrittore e pittore, autore di film come Il giardino delle delizie e I colori della passione.
Tra gli interpreti spiccano Keir Dullea - rimasto alla Storia come David Bowman di 2001: Odissea nello spazio - John Malkovich, Josh Hartnett e Bérénice Marlohe.
L’ultima fatica del regista polacco arriverà nelle sale italiane il 3 giugno, distribuita da CG Entertainment in collaborazione con Lo Scrittoio.
Il film, suddiviso in dieci capitoli, viene meno a una struttura narrativa convenzionale per restituire un’immagine articolata, sfaccettata e complessa della contemporaneità, in particolare degli Stati Uniti.
Come nei suoi film precedenti Majewski utilizza nuovamente la lente dell’arte per scandagliare le contraddizioni non soltanto all’interno della società, ma anche nei rapporti tra la società e l’individuo, oltre che tra l’individuo e se stesso.
[Il trailer di Valley of the Gods]
Valley of the Gods
John Ecas, interpretato da Josh Hartnett, è un copywriter e sogna di scrivere un romanzo.
Quando viene lasciato dalla compagna si reca dallo psicanalista a cui parla dell’assurdità della società in cui vive. A renderlo perplesso è l’incapacità della gente di riappropriarsi della propria libertà e di afferrare quei momenti di vita, sprecandoli nell’incredulità di fronte a opere scarnificate del significato, così artefatte da negare qualsiasi sospensione dell’incredulità.
Gli viene risposto che solo con l’assurdo si può combattere l’assurdo.
A quel punto la narrazione del destino del protagonista di Valley of the Gods si frantuma, il personaggio stesso si divide tra due possibili strade.
[John Ecas, il protagonista di Valley of the Gods]
Lo vediamo quindi iniziare il suo romanzo.
Si può ipotizzare che le due strade che il film affronta siano il frutto di varie suggestioni, idee, appunti sparsi del protagonista riguardo i temi di cui andrà a scrivere.
Si può ipotizzare persino di star osservando i meccanismi mentali del suo processo creativo.
D’altra parte Valley of the Gods non è sicuramente un puzzle da risolvere, l’enigma non è un gioco, non c’è incastro tra doppelgänger: il film è semplicemente sospeso in un’aura impalpabile, fantastica.
In questi casi è meglio rilassarsi, lasciarsi trasportare da un film che carica ogni inquadratura di un sottotesto metaforico.
L’impresa in capitoli di John Ecas si divide tra una comunità di poveri Navajo e Wes Tauros (John Malkovich), l’uomo più ricco del mondo.
I primi, nonostante le aperture e le titubanze verso le possibilità del mondo esterno, vivono in simbiosi con la natura, tant’è che la stessa montagna ai piedi di cui vivono è considerata una creatura vivente.
[John Ecas raggiunge il Navajo Tribal Park della Monument Valley]
I Navajo ascoltano e si nutrono del respiro del mondo; non c’è occasione che non sia insita nel fremito della terra, persino il miracolo della vita.
Tauros vive in cima a una montagna, in un castello immerso in una coltre oscura e nebbiosa.
L’imprenditore miliardario, nel tentativo di acquistare e appropriarsi di oggetti - ma anche di persone, di sentimenti, di esperienze - finisce per trasformare tutto ciò che apprezza in un simulacro o in un feticcio artistico.
Tauros è l’evoluzione contemporanea di Charles Foster Kane che, trasmutato in John Malkovich, perde se stesso sotto uno strato di macabre maschere.
Il suo desiderio verte verso l’unica esperienza che non si può controllare con il capitale: la morte.
Tutto ciò che circonda il personaggio di Tauros in Valley of the Gods emana un'aura mortifera, nonostante l'apparenza patinata.
[John Malkovich è il milionario Wes Tauros]
Da un lato la magia dei Navajo si rifà alla pietra, ai sassi, al deserto, dall’altro il mito moderno ha radici nelle potenzialità del danaro.
Nello stesso stato convivono queste due anime dicotomiche che finiscono per scontrarsi o convergere.
Valley of the Gods invita a trascendere il materialismo e recuperare l’ipnotica palpitazione di fronte all’inspiegabile e all’inenarrabile.
È questo l’assurdo con cui combattere l’assurdo della quotidianità.
Lech Majewski mostra di saper rendere omaggio alle sue ispirazioni (tra vari riferimenti a Stanley Kubrick, Federico Fellini e persino a Terrence Malick) senza però venir meno alla sua cifra stilistica.
Dall’invettiva alla vacuità di un certo Cinema commerciale - in particolare quello di azione - John Ecas propone dei riferimenti espliciti all’ossessione verso l’arte come mezzo per ragionare su se stessi e sul mondo: nonostante la frammentazione narrativa, i messaggi che il film vuole trasmettere sono chiari, diretti e concisi.
Una piccola, ma interessante parentesi, va fatta in merito al riferimento a Batman e al suo maggiordomo Alfred, riflessi nei personaggi di Tauros e Ulim, interpretato da Keir Dullea.
La citazione al mondo supereroistico in questo caso funge sia da piccola parentesi parodica, sia da espressione di una delle diverse sfaccettature del mito negli Stati Uniti che, essendo un Paese storicamente e culturalmente giovane, trova la sua epica e la sua storia anche nell'epopea dei supereroi.
[Keir Dullea e John Malkovich in Valley of the Gods]
Il film è caratterizzato da una cura formale al dettaglio, in particolare in alcune sequenze.
Emblematica in tal senso la scena girata alla Fontana di Trevi a Roma, in uno dei momenti più intensi del film.
D’altra parte il difetto principale di Valley of the Gods, in contrasto con quanto appena detto, è un utilizzo quasi espressionistico - e non sempre centrato - della tecnologia digitale che rende alcune scene particolarmente ampollose, inficiando la raffinatezza complessiva della produzione.
Valley of the Gods è in sostanza una visione ipnotica che lascia un segno indelebile, nel bene e nel male, diretta da un autore a tutto tondo: Lech Majewski è infatti regista, sceneggiatore e direttore della fotografia.
Cinema surrealista: sì!
Informazione/divulgazione cinematografica surreale: no, grazie!
2 commenti
scarbo
3 anni fa
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Lorenza Guerra
3 anni fa
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