#Good&Bad
Questo episodio di Good & Bad dedicato a Bruce Willis avrebbe potuto intitolarsi "c'era una volta il più duro dell'intera Hollywood": un duro che, però, a dirla tutta, ha perso il suo smalto, trincerandosi dietro la sua aura senza alcuna volontà di tornare a osare.
Non neghiamolo: Bruce Willis è stato l'icona per eccellenza del cinema action anni '90, ma in realtà è stato anche molto di più.
Forse le ultime scelte della sua carriera hanno calcato troppo la mano su un passato glorioso che, in realtà, contiene molto più dello stereotipo al quale l'attore nativo di Idar-Oberstein si è ormai auto-recluso.
Perché, a ben vedere, se analizziamo la sua carriera Willis ha potuto spaziare parecchio e costruirsi una reputazione credibile anche grazie alle deviazioni dal cinema action.
Anche se, a dirla tutta, qualche scelta qui e lì l'ha sbagliata anche negli anni più luminosi.
[Come tutto ebbe inizio: Moonlighting]
Ad esempio la decisione di continuare a girare Moonlighting anziché accettare un ruolo in Full Metal Jacket, di certo, non è tra le più comprensibili dal pubblico cinefilo, ma alla fine ha avuto ragione lui.
Nel 1987 la serie gli ha fruttato l'unico Golden Globe della sua carriera e, da quel momento in poi, non ha più smesso di fare Cinema.
I suoi due veri ruoli di debutto da protagonista (rispettivamente in Appuntamento al Buio e Intrigo a Hollywood) sono arrivati sotto la direzione di un gigante come Blake Edwards e, di lì a poco, il successo mondiale ha bussato alla sua porta grazie a Trappola di Cristallo di John McTiernan.
[John McClane, il ruolo che ha lanciato Bruce Willis: un ruolo ingombrante. Anche troppo ingombrante]
Ha avuto così inizio una delle saghe action più lunghe della Storia del Cinema che, a dirla tutta, si trascina da sin troppo tempo su dinamiche consunte.
Ma non è questo il momento di parlarne, perché siamo a fine anni '80 e Bruce è ancora sulla cresta dell'onda!
Sono arrivati, quindi, a strettissimo giro di posta Vietnam - Verità da dimenticare di Norman Jewison, Il falò delle vanità di Brian De Palma, L'ultimo boy scout di Tony Scott e Genitori cercasi di Rob Reiner.
[Il giornalista faccia-di-bronzo Peter Fallow ne Il falò delle vanità è uno dei ruoli meno ricordati ma più interessanti dell'intera carriera di Bruce Willis]
In quegli anni, però, arrivano quelli che, a modesto parere di chi scrive, sono i migliori due ruoli della sua carriera, sotto la direzione di due autori di primissimo piano: Butch Coolidge in Pulp Fiction di Quentin Tarantino e James Cole ne L'esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam.
A questi due può aggiungersene anche un terzo: quello di John Smith in Ancora vivo, di un maestro dell'action come Walter Hill.
Insomma, negli anni '90 a Hollywood avere Bruce Willis nel tuo cast poteva fare la differenza, come ben sanno anche Michael Caton-Jones, Michael Bay e Luc Besson che lo chiamano per tre pellicole che segneranno ancora la sua carriera: The Jackal, Armageddon e Il quinto elemento.
[Armageddon: l'inizio di una serie di scelte discutibili?]
Con questo trittico di film non indimenticabili ma estremamente noti, forse, comincia a delinearsi l'eccessivo sbilanciamento nelle scelte di un attore che fino a quel momento aveva comunque provato a diversificare nella selezione dei propri ruoli.
L'ultimo ruolo iconico degli anni '90 per Willis è sicuramente quello dello psicologo Malcolm Crowe ne Il sesto senso di M. Night Shyamalan, regista che poi lo sceglierà anche come protagonista di Unbreakable.
Negli anni 2000, però, ha cominciato ben presto a prendere la china che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere e i ruoli che davvero gli hanno permesso di brillare sono ben pochi.
Pellicole come Planet Terror di Robert Rodriguez, Moonrise Kingdom di Wes Anderson e Looper di Rian Johnson, però, sembrano perdersi all'interno di una lunghissima serie di film action e ruoli stereotipati che, in realtà, ormai gli fanno ben poca giustizia.
Film come Red e Red 2, i Mercenari 2, la lunghissima saga di Die Hard e le dimenticabilissime opere di registi capaci come Il giustiziere della notte di Eli Roth e Poliziotti fuori di Kevin Smith hanno contribuito non poco a dissipare il buon nome che Bruce Willis ha faticosamente costruito per anni e anni.
[In quarta fila. Dietro Chuck Norris e Jean Claude Van Damme. Era proprio necessario, Bruce?]
Certo, anche lui ci ha messo del suo: è unanimemente conosciuto come una delle star con cui è quasi impossibile lavorare (come testimoniato proprio da Kevin Smith) e questo, di certo, non lo aiuta ad ampliare il range di scelte a sua disposizione.
Dopo averlo visto nei dimenticabilissimi spot italiani di una nota agenzia telefonica, tutti si sono chiesti se non fosse effettivamente ora di cambiare definitivamente direzione.
A giudicare dalle sue scelte successive, lui ancora non la pensa così.
Chissà che, però, un giorno non scelga di cambiare idea.
Noi, intanto, preferiamo goderci il suo periodo d'oro.
Qui da noi non hai mai visto fake news, ne siamo certi.