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Dark - la serie televisiva firmata Netflix uscita con la prima stagione nel 2017 - ha diviso notevolmente il pubblico, tra chi è rimasto affascinato dalla continua concatenazione temporale proposta e chi ne è semplicemente risultato fortemente perplesso.
In attesa dell’uscita della nuova serie televisiva 1899 ad opera dei due autori di Dark - Baran bo Odar e Jantje Friese – è ancora possibile soffermarsi sugli interrogativi e le incertezze lasciate aperte dalla vicenda che ruota intorno alla figura del giovane Jonas Kahnwald - interpretato da Louis Hofmann.
[Come tutto è cominciato: scena iniziale della prima stagione di Dark]
Al centro della narrazione infatti troviamo un’intricatissima trama focalizzata sulle vite degli abitanti di una cittadina tedesca: Winden.
I destini dei protagonisti si fanno via via sempre più sovrapposti e interrelati tra di loro, e man mano che si procede con la narrazione diventa notevolmente più difficile sciogliere i nodi intessuti dalla storia.
Non si tratta solo di un racconto che si sviluppa su più piani temporali.
Alla fine della seconda stagione di Dark le cose si complicano ulteriormente con la manifestazione di un piano dimensionale aggiuntivo.
In verità la presentazione di una sempre più complessa tramatura così fittamente intricata, non dovrebbe coglierci poi tanto di sorpresa.
Il tema del labirinto ci viene proposto fin dalla prima stagione non solo attraverso riferimenti testuali – prima tra tutte la citazione al filo di Arianna - ma anche figurativi.
I lunghi tunnel sotterranei che portano a diverse realtà epocali sembrano infatti voler immediatamente suggerire la complessità narrativa a cui stiamo per assistere.
[Il protagonista Jonas all'interno dei tunnel sotterranei che portano al bivio temporale]
“Il principio è la fine e la fine è il principio”
Si tratta di una delle citazioni che più spesso ci vengono ripetute nel corso delle tre stagioni di Dark.
Man mano che la trama si infittisce però capiamo che non si tratta semplicemente di una frase misteriosa enunciata solo per confonderci, ma rappresenta piuttosto una vera e propria promessa fatta allo spettatore.
E in effetti alla fine delle tre stagioni non rimarremo affatto delusi.
Dark è comunque una serie che tratta in modo molto complesso il tema del viaggio nel tempo, e lo fa intraprendendo una strada che ci costringe a operare una forte riflessione finale sull’esistenza e sulle nostre vite.
[L'intreccio genealogico che collega tutti i personaggi della serie Dark, riportato sulla parete del bunker sotterranero]
Fatta questa osservazione però, non possiamo non considerare tale esito senza compararlo ad altri prodotti audiovisivi che tentano di affrontare la stessa tematica.
Infatti, se prendiamo in analisi altri esempi cinematografici che trattano di viaggio nel tempo, possiamo facilmente individuare due filoni di pensiero.
Il primo è quello focalizzato sulla precarietà dell’esistenza, in cui ogni singola azione e mutazione può condurre a risultati differenti, per cui il destino non è scritto e può sempre essere sottoposto a mutamento - ad esempio l'inimitabile Ritorno al Futuro.
Nel secondo filone di pensiero invece il tempo si dà come predestinato, dove il futuro è già stato delineato e non possiamo fare niente per modificarne gli esiti – tra questi alcuni esempi memorabili come Terminator, Tenet e perfino Avengers: Endgame.
[Portale d'accesso per il viaggio nel tempo, Dark]
Dark sembra infatti appartenere a questa seconda scuola di pensiero.
Per quanto i personaggi si impegnino per cambiare le cose, la storia sembra ripetersi inesorabilmente.
Questa è sicuramente la chiave di lettura principale che viene proposta dalla serie tedesca.
Ma a ben vedere forse ci stiamo dimenticando un piccolo dettaglio.
Probabilmente il nostro modo di vedere le cose, con un epicentro ottico prettamente statunitense e in una prospettiva astorica, ci porta a tralasciare il fatto che stiamo parlando di un prodotto audiovisivo per l’appunto tedesco.
Questo non sarebbe un particolare rilevante, se non fosse che proprio il focus dell’attenzione della serie sia incentrato sulla dimensione temporale che comprende alcuni dei periodi più spinosi della Storia della Germania.
[La cittadina di Windem con la centrale nucleare sullo sfondo]
Sembra infatti essere assolutamente singolare che una narrazione, come quella proposta in Dark, che si muove vicino a momenti così delicati per i trascorsi tedeschi, non faccia assolutamente riferimento alla situazione storica vissuta dalla Germania del secondo dopoguerra e successivamente all’alba della caduta del muro di Berlino - senza dimenticare il chiaro riferimento al disastro nucleare di Chernobyl.
Non a caso oltre ai giorni nostri (nel 2019), le vicende si snodano a partire da situazioni che riguardano sia il 1953 che il 1986 - lo scarto è di 33 anni tra l’uno e l’altro tunnel temporale.
Dunque forse è proprio l’assenza di problematicità dell’occupazione subita e della divisione interna di una nazione che diventa uno strumento di analisi utile ad aggiungere significato a un’opera così complessa.
Pertanto, una possibile ipotesi interpretativa - oltre alla ciclicità temporale densa di simbolismo, indubbiamente lampante - riguarderebbe la disgregazione spaziale.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale infatti, la Germania (con la Conferenza di Potsdam) si ritrova frammentata in quattro zone di occupazione militare sotto controllo delle potenze vincitrici - Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Unione Sovietica - dando inoltre vita a quella separazione ideologica dell’Europa in due fazioni di influenza, divisa simbolicamente dalla Cortina di Ferro.
[Scena tratta dalla serie Dark]
Per tale ragione, forse erroneamente, tendiamo a dimenticare il fatto che la Germania ha vissuto una situazione storica critica fino a una trentina di anni fa, ed è difficile immaginare che questo non abbia lasciato un segno nella percezione di tale nazione.
In un’ottica retrospettiva allora Dark può essere riletta in chiave storica, tenendo conto delle difficoltà e delle separazioni imposte a un paese fortemente colpevolizzato per più di 40 anni per gli orrori della guerra.
Le divisioni temporali proposte nella narrazione di Dark - che possono essere raggiunte solo attraverso il percorso di un fitto tunnel sotterraneo - ottengono allora uno statuto maggiormente meditativo e di ulteriore consapevolezza, diventando così riproposizione e riflesso della difficoltà di vivere in una realtà fortemente lacerata al suo interno.
[Incontro intertemporale tra il giovane Helge Doppler e Jonas]
“Se la nostra vita viene definita come ciò che sta fra la nascita e la morte allora lì essa esiste infinite volte!
Riusciremmo a sconfiggere la morte trovando un modo di restituire la vita.
Lì! Nel tempo intermedio”.
H.G. Tannhaus, Dark - Terza Stagione.
Nel finale, mentre i personaggi occupano il loro giusto posto nel tempo e nello spazio - simboleggiato dall’occupazione di un proprio posto attorno alla tavola - avvertiamo la presenza di quella lotta inter-dimensionale che ci ha tanto tenuti attaccati allo schermo fino a quel momento.
Le esistenze di quelle persone fuori posto, eccessivamente connesse tra loro, premono ancora sul presente dei personaggi seduti durante la cena.
Una realtà storica che non può essere dimenticata e che continua a scalpitare.
Per quanto ciò che abbiamo visto fino alla fine ci venga negato, durante la cena, all’improvviso tutto si fa oscuro: per l’appunto, Dark.
Hannah Kahnwald, di nuovo incinta, ha una sensazione e non può fare a meno di pensare a un sogno tanto reale da sembrare vero, una realtà senza passato, presente e né futuro.
Ma il loro mondo esiste ancora.
[I giovani protagonisti di Dark nell'esordio della prima stagione]
Malgrado il loro brindisi finale auspichi “A un mondo senza Windem”, la cittadina stessa sembra infatti incarnare le sembianze dell’oscurità più profonda, quasi come se fosse una sorta di rivisitazione della cittadina di Derry, del suo mondo sotterraneo e delle sue malvagità di cui tanto ci ha narrato Stephen King nel racconto del personaggio di Pennywise.
Sarebbero molte le analogie che potremmo rintracciare tra Dark e IT: il gruppo di ragazzi, la scomparsa dei bambini, il mantello giallo di Jonas simile a quello di Georgie, le versioni adulte e giovani dei personaggi...
L’elenco appare già molto lungo.
Tuttavia, a differenza della città del Maine, Windem non può sprofondare dal suo interno, ma anzi rimane perfettamente eretta su se stessa continuando a premere sulle vite dei personaggi.
Hannah infatti non riesce a fare a meno di pensare al nome del nascituro.
Con uno sguardo che squarcia lo schermo, si rivolge direttamente a noi e ci guarda fisso negli occhi:
“Penso che Jonas sia un bel nome”.
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