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Al Toronto International Film Festival 2020 è nuovamente tempo di Midnight Madness e per la regia di Roseanne Liang, che scrive la sceneggiatura a quattro mani con Max Landis, arriva Shadow in the Cloud.
Il film è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale e nasce come omaggio alle WAAF (Woman Auxiliary Air Force), un gruppo di soldatesse dell'aviazione americana che, nonostante un estensivo addestramento di intelligence e tecnico, non erano abilitate al combattimento aereo, ma servivano comunque in molte operazioni e spesso facevano parte del team addetto allo spostamento di aerei cargo in zone comunque pericolose tanto quanto quelle sorvolate dai piloti addetti al combattimento.
Protagonista del film Chloë Grace Moretz a interpretare Maude Garrett, assegnata al trasporto di un pacco segreto su di un Boeing B-17 Flying Fortress - un mostro del cielo, di quelli con tanto di pin up a decorazione.
La sua presenza sarà subito resa ostile dal cameratismo militare e altamente testosteronico di bordo, ma la situazione precipiterà velocemente in una serie di eventi improbabili, tra l'attacco di forze militari ostili e presenze a bordo ripescate da vecchi miti degli albori dell'aviazione.
Di Shadow in the Cloud non vorrei davvero dirvi altro poiché l'incipit del film, un mito piuttosto comune dell'epoca, è una divertente sorpresa che porta a una serie di snodi narrativi che danno al film un tono pulp inaspettato, passando dalle tensioni del film di genere all'azione.
Quello che viene fatto in sceneggiatura da Max Landis e dalla regista Roseanne Liang, è sostanzialmente costruire fin da subito una strana tensione nella quale lascia crogiolare lo spettatore per la prima metà del film, passando da una pista d'atterraggio avvolta nella nebbia a una postazione di battaglia claustrofobica.
La protagonista è chiusa in un ambiente claustrofobico, con un personale di bordo ostile, misogino e apparentemente fonte di pericolo primaria salvo poi, grazie a un tocco di follia tipico del film di genere, trasportare tutto su un piano differente, trasformando la protagonista in una Ellen Ripley anni '40.
L'archetipo narrativo, per certi versi più "politicizzato" nel dare alla figura femminile una visione più contemporanea, è sostanzialmente quello di Alien, ma si riconfigura nel momento in cui gli atti ideati da Landis e Liang virano verso l'azione, lasciando spazio all'adrenalina e a scene decisamente sopra le righe, abbandonando la tensione della prima parte del film.
Shadow in the Cloud si spezza quindi in due tempi narrativi, con la seconda parte che punta a esplodere sempre più svelando la vera missione della protagonista e il cuore emotivo che la muove a diventare la nostra Ripley dei cieli.
La regia di Roseanne Liang segue molto bene gli intenti che si pone e riesce a funzionare in entrambi i tempi del film, lavorando nel dirigere molto bene Chloë Grace Moretz e mettendo in scena un film di genere action pulp che non ha molte pretese se non intrattenere con una storia inedita.
Il film non è mai sciatto, ha dei bei richiami ai generi dei quali è figlio e crea bene la tensione quando serve.
[E poi in questa scena lei fa... Kapow! E succede una cosa... ma una cosa... non ve lo posso dire! Guardate il film]
Shadow in the Cloud è quel tipo di operazione che mi lascia sempre diviso tra l'ammirazione nei confronti dell'originalità dell'operazione, il coraggio degli intenti e la valutazione di cosa effettivamente sia davvero ben riuscito nel film.
A guardare quanto fatto da Landis e Liang, mi sento di dire che nella sua follia il film è riuscito, soprattutto per la sua voglia di non prendersi troppo sul serio, se non brevemente nella costruzione del segreto della protagonista.
Una decisione che in regia la Liang suggerisce fin da subito, per certi versi, mettendo in chiaro che ciò che vediamo non è quello che sembra e che da un momento all'altro potrebbe esplodere e che non passeremo tutto il film in una postazione di combattimento.
Dall'altro lato mi scopro a chiedermi se l'eccesso del sopra le righe che il film regala da un certo punto in avanti, diventando persino spaccone, non sia forse un entusiasmo temporaneo che alla lunga svanirà insieme alla sorpresa.
Shadow in the Cloud potrebbe essere il tipico film di genere che ti sorprende la prima volta che lo vedi e che con il passare delle visioni non riesce a divenire un cult, poiché il buon Max Landis ci ha abituato a operazioni non sempre brillanti e non sempre caratterizzate da quella scriteriata genialità tipica del padre utile a trasformare idee di base in una sequela di invettive sempre più esilaranti o brillantemente funzionali rispetto a quella di partenza.
In conclusione, cari lettori, vi posso dire che quando Shadow in the Cloud si presenterà al pubblico, varrà la pena essere visto sia per la buona realizzazione sia per la folle idea di base che porta il plot verso un'escalation di eventi assurdi e per certi versi dannatamente divertenti.