#articoli
Molto lontano dal palazzo degli Avengers a New York e dall'Arkham Asylum di Gotham City, Joko Anwar sfida il Pantheon degli intoccabili supereroi americani con Gundala, un cinecomic ambientato nella lontana ed esotica Giacarta.
Il regista sottrae gli ultimi dodici anni di vita del cinecomic, riportandolo allo stato quasi puerile, primigenio, dell'universo cinematografico supereroistico antecedente al primo Iron Man e all'egemonia Marvel.
Ovviamente questo fa di Gundala un film tanto spontaneo quanto pieno di difetti, in particolare nelle parti in cui gli stereotipi del genere si fanno più palesi.
[Il trailer di Gundala]
Gundala racconta la storia di Sancaka (Abimana Aryasatya), un bambino che ben presto si trova a dover affrontare il mondo da solo.
Suo padre viene ucciso durante una protesta di operai in fabbrica, tradito e venduto dai suoi stessi colleghi.
Sua madre esce per lavoro e non torna più: scopriremo più avanti che si è rifatta una vita.
Sancaka viene ben presto buttato in pasto al mondo, un mondo imbruttito, dove le gang si coalizzano contro i solitari, i potenti sono corrotti, i poveri si contendono le briciole.
Il bambino è più forte del normale e trae la sua energia dai tuoni, di cui però è anche terrorizzato.
Crescendo, la sua filosofia diventa quella di non immischiarsi nei fatti altrui per non avere problemi ma, chiaramente, le cose cambieranno quando il futuro di Giacarta e dell'intera nazione sarà messo in pericolo.
Partiamo dal presupposto che Sancaka si comporta come un medio-man ed è in un certo modo apprezzabile che il suo personaggio non abbia tratti fortemente caratterizzati, lasciando alla città e ai suoi problemi il ruolo di veri protagonisti.
Il suo antagonista è un boss mafioso con le radici in tutte le frange del potere, se da un lato è il maggior benefattore della nazione con la sua dedizione quasi ossessiva per gli orfani, dall'altro ci rendiamo conto di quanto sia un vero maniaco del controllo, con tutto ciò che ne comporta.
Il conflitto tra bene e male su cui si fonda tutta la retorica supereroistica in Gundala è meno dicotomica, lasciando intendere che di fronte alla lotta per la sopravvivenza i concetti di bene e male confluiscono l'uno nell'altro.
E' un concetto che tra i supereroi degli opulenti paesi occidentali perderebbe di credibilità, ma che risulta assolutamente vincente nel film di Joko Anwar.
La prima parte di Gundala, quella dedicata alla formazione di Sancaka, è anche la più interessante, seppur segua gli stilemi del racconto di formazione.
Le scene d'azione infatti ricordano i film sulle arti marziali più che un classico cinecomic; in questo senso il regista si dimostra abilissimo nel dirigere i combattimenti, renderli chiari e divertenti agli occhi del pubblico.
D'altra parte le scene d'azione non hanno alcun climax e, a parte il nuovo costume da Thor dei poveri, Sancaka combatte contro il boss e i suoi seguaci allo stesso modo in cui lo fa contro i teppisti.
Sancaka è forte, lo è sempre, i suoi miglioramenti sono dovuti solo a un'acquisizione di consapevolezza di se stesso e della sua speciale interazione con i fulmini.
Se Sancaka si fosse limitato a incitare e addestrare nelle arti marziali i commercianti a cui la malavita ha incendiato le bancarelle al mercato probabilmente il film ne avrebbe giovato.
Arriviamo dunque a quello che pare essere il problema più grave in Gundala, nonché il pretesto con cui l'orfanello ormai cresciuto diventa un supereroe: il siero contro la morale.
Il boss cattivo con la faccia sfregiata - se non bastasse la voce rauca a farcelo identificare come nemico c'è anche una grave ustione su metà volto - decide di inquinare il riso in modo che questo siero speciale colpisca solo le donne in gravidanza.
Tutti gli espertoni di Giacarta, politici e scienziati che hanno acquistato la laurea probabilmente nella stessa università del Trota, convengono che questo siero serva a far nascere i bambini senza morale.
Viene totalmente ignorato l'unico che pare avere un minimo di senso critico, come un virologo a un convegno di anti-vaccinisti; lo scienziato fa notare infatti che la parola "morale" è relativa, non assoluta, e che quindi la sola esistenza di un siero che possa intervenire biologicamente su dei feti riguardo una questione etica è paradossale.
Ovviamente le cose, alla fine, risultano molto meno stupide di così, ma ciò che è chiaro è che nell'isteria collettiva tutti sono preoccupati all'idea di avere figli che sgozzino caproni piuttosto che giocare con le bambole, supportati dalla totale incompetenza delle classi dirigenti.
Si potrebbe replicare che non ci si può aspettare plausibilità da un film di supereroi. Questo è vero.
D'altra parte, un conto è giustificare dei poteri assurdi con delle leggi della fisica e della magia ad hoc in un mondo parallelo ma diametralmente opposto al nostro, un altro è sovvertire qualsiasi principio di buon senso e logica.
Soprattutto nel momento in cui si vuol dare al film un tocco realistico e critico.
A questo complotto del siero contro la morale susseguono un sacco di complicazioni di una trama e di finestre lasciate aperte, in attesa di un Gundala 2.
Complicazioni alquanto arzigogolate e superflue, che vanno a abbruttire un film che nella sua prima metà univa con una certa delicatezza gran bei cazzotti, critica sociale e persino attimi squisitamente poetici.
Peccato.