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La richiesta delle arene sotto ricatto della grande distribuzione e dei circuiti delle sale commerciali è molto chiara: lasciate che tutti possano accedere all’arte cinematografica.
Il 9 giugno è stato lanciato un appello, partito da un post su Facebook di una delle realtà coinvolte, I Ragazzi del Cinema America e amplificato da un articolo del Corriere della Sera, subito al centro di forti polemiche che hanno riaperto il dibattito sulla possibilità di diffusione dei film al di fuori dei circuiti tradizionali.
La situazione è molto complessa e riguarda una rivendicata concorrenza sleale e un presunto conflitto di interessi con le sale a pagamento che ha spinto l’ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali) a rifiutare la concessione dei titoli di film per la programmazione estiva.
Insieme al Piccolo America, altre associazioni culturali che offrono proiezioni gratuite sul territorio si sono unite alzando la voce per protestare contro la stretta che stanno subendo, limitando i loro progetti già fortemente condizionati dall’emergenza sanitaria che stiamo vivendo.
Dal canto suo, l’ANICA ha risposto con durezza alle dichiarazioni delle associazioni, definendole “fake news gravissime” e “attacchi irresponsabili”, ma senza entrare in nessun modo nel merito rispetto alle difficoltà che il sistema di distribuzione sta vivendo.
Il concetto di distribuzione cinematografica è nato per poter permettere alle produzioni di riuscire ad arrivare al pubblico in modo più ampio ed efficiente possibile.
Negli anni si è trasformato in un business redditizio che sta provocando l’effetto inverso, limitando e, per certi casi, impedendo la diffusione delle opere, specialmente in una certa fascia sociale.
In questo momento stiamo vivendo una fase molto delicata, in cui il Cinema si sta sempre di più concentrando in poche, grandi, sale commerciali dall’offerta limitata e dai prezzi molto alti.
Se sei abbastanza fortunato da vivere in una grande città come Roma, Milano, Torino o Bologna puoi trovare delle alternative indipendenti, ma se vivi in un piccolo centro, un’area periferica o in una regione del Sud Italia, sei completamente escluso da un’offerta di qualità.
Noi della redazione di CineFacts.it ci siamo subito impegnati per diffondere l’appello dei Ragazzi del Cinema America provando a chiarire una posizione che dovrebbe essere condivisa da tutti gli spettatori: sostenere un modello di politiche culturali che non sostenga soltanto gli interessi dei grandi distributori, ma difenda anche quelli del pubblico.
Dopo aver parlato dell’argomento, abbiamo deciso di contattare i rappresentanti di due delle realtà coinvolte: Giulio Vita, fondatore e direttore artistico de La Guarimba Film Festival, e Valerio Carrocci, fondatore e presidente del Piccolo America, per realizzare a una doppia intervista con l’obiettivo di confrontare due voci e due visioni di un problema comune.
[Il team de La Guarimba Film Festival, realtà culturale che opera ormai da sette anni in un contesto difficile come quello calabrese]
[Il team dell'associazione Piccolo America, che dal 2012 svolgono diverse attività legate alla diffusione del cinema d'autore nelle periferie romane]
Le borgate di una grande città come Roma, da una parte, un piccolo paesino di 12mila abitanti della Calabria dall’altra.
Un’arena all’aperto di grande cinema d’autore e rassegne di storici registi e film cult da una parte, una selezione unica di cortometraggi indipendenti da tutto il mondo e una rassegna di film su tematiche di integrazione e immigrazione dall’altra.
Due realtà diverse per località e pubblico di riferimento, ma con un unico grande obiettivo: diffondere il Cinema democraticamente e gratuitamente, operando su realtà difficili e solitamente esclusi dall’offerta mainstream, con diverse problematiche sociali e garantendo un’offerta di qualità alternativa.
Per motivi di tempo e di impegni, le risposte avranno lunghezze diverse.
Verranno confrontate con la speranza di generare una riflessione ormai necessaria sull’inadeguatezza del sistema di distribuzione italiano, la necessità di un nuovo impegno riguardo l’accessibilità culturale e le grandi difficoltà che le piccole sale indipendenti e le associazioni che vogliono fare cinema sono costrette a vivere da ormai troppo tempo.
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Parliamo di quello che è successo.
Come siete stati coinvolti e quali saranno gli effetti di queste limitazioni sul vostro programma?
Valerio Carocci (Piccolo America):
Ci troviamo in una posizione molto difficile.
Le limitazioni imposte dall’ANICA ci stanno costringendo ad annullare l’evento.
In questo momento è tutto fermo e se non si trovano presto delle soluzioni rischiamo che quest’anno il cinema in piazza non avrà luogo.
Tutto ciò è assurdo, ci troviamo in uno stato di ricatto.
Dei 140 film che abbiamo richiesto, ci sono arrivate più di 120 risposte negative, perfino per i film prodotti da RAI Cinema.
Film che avremmo regolarmente pagato, anche con offerte più alte rispetto al valore di mercato per la proiezione in sala.
[Valerio Carocci, presidente dell'Associazione "PIccolo America"]
Giulio Vita (La Guarimba):
Sulla Guarimba Film Festival come tale la cosa non incide perché noi selezioniamo cortometraggi internazionali e indipendenti che vengono presentati come parte del festival, quindi con una distribuzione dalla regolamentazione diversa.
Noi però, vista anche la situazione, avevamo pensato di proiettare ad ingresso gratuito BlacKkKlansman di Spike Lee, che in Calabria non è stato visto quasi da nessuno, perché è uscito per pochissimi giorni in una sala indipendente a Reggio Calabria e in una a Catanzaro, ma ha avuto pochissimo pubblico.
Il nuovo film di Spike Lee è appena uscito su Netflix, non stiamo facendo concorrenza a nessuno cercando di proiettare un suo film di due anni fa, molto attuale e necessario per i calabresi.
Abbiamo un serio problema di carenza di spazi dedicati al Cinema.
Qui ad Amantea la sala più vicina è a 40 chilometri di distanza, ed è un The Space dalla programmazione molto commerciale che non c’entra niente con quello che facciamo noi.
Non ci fanno proiettare BlacKkKlansman perché è troppo recente e dicono che facciamo concorrenza sleale alle sale.
Ma se quel film è uscito a Reggio, a 156 chilometri di distanza da qui, significa che una gran fetta della popolazione calabrese non ha potuto e non potrà vederlo in sala.
Non stiamo rubando nessun pubblico.
La risposta delle realtà come la nostra quindi diventa: basta, non proiettiamo lungometraggi.
Ed è così che le arene sono morte.
Il concetto di arena all’aperto per il cinema era molto importante fino a poco tempo fa, specialmente al sud.
Anche ad Amantea c’era la mitica Arena Sicoli, chiusa anni fa, che noi abbiamo restaurato e riaperto per realizzare la prima edizione de La Guarimba.
Come funzionava?
I film che passavano al cinema durante l’anno venivano riproposti in una rassegna estiva.
Così le persone dei paesi senza sale come Amantea che non erano potute andare a vederli, potevano recuperarli all’aperto con il grande schermo.
Era un modo per sopperire alla mancanza degli spazi dedicati al cinema, ma che aveva un’importante funzione sociale, di aggregazione comunitaria e diffusione della passione per il cinema.
[La storica Arena Sicoli di Amantea, spazio che ha accolto migliaia di calabresi e di turisti per tante estati e purtroppo chiusa da diversi anni]
Negli anni, questo ragionamento è stato ucciso e sepolto.
Queste arene, che erano anche a ingresso a pagamento, avevano degli accordi svantaggiosissimi per loro.
Le grosse case di distribuzione hanno smesso di concedergli le novità e i film più importanti della stagione, creando un vero sistema di ricatto.
Le stesse logiche che poi sono successe con Roma di Alfonso Cuarón, che si è permesso di uscire su Netflix ed è stato boicottato.
Se non fosse stato per alcune sale indipendenti che si sono ribellate, nessuno avrebbe potuto vederlo su grande schermo.
La maggior parte delle sale, invece, sono sequestrate da queste leggi della distribuzione.
Te lo dico non solo da organizzatore di un festival, ma anche da spettatore.
Prima del lockdown andavo una o due volte a settimana al The Space di Lamezia Terme, anche a vedere film orribili.
Per mio interesse vorrei guardare tutto, dalle commercialate ai film più indipendenti, il problema è che i film più indipendenti al The Space non li mettono.
Allora che mi dicano “stai facendo concorrenza” è una cazzata!
C’è una buona fetta di pubblico che non vuole andare a vedere i film commerciali e sono completamente esclusi dall’offerta cinematografica in Calabria.
Non funziona così.
Il pubblico si educa, gli si danno alternative, e alla fine deve essere libero di scegliere cosa vedere.
Ma questa politica protezionista e di controllo del mercato porta a dire: “No: voi dovete vedere quello che diciamo noi”.
In questo modo, quello che stanno facendo è soltanto promuovere la pirateria.
Non prendiamoci in giro, cosa fanno le persone se non si possono vedere un film indipendente in sala perché, nel migliore dei casi, ci sono state due proiezioni in tutta la Calabria? Se lo scaricano!
L’ANICA, così, sta facendo morire il cinema.
Noi ci salviamo come festival, ma se volessimo fare una rassegna non ce la faremmo neanche noi.
[Giulio Vita, direttore artistico e co-fondatore de La Guarimba, già nostro ospite per un'intervista dove avevamo parlato del festival]
Perché l’ANICA si sta muovendo in questo modo secondo voi?
È conveniente per loro che queste realtà muoiano?
VC:
L’ANICA ha preso questa posizione perché intorno a questa posizione sta costruendo un consenso tra i propri iscritti.
Le persone che presiedono la sezione distributori di ANICA stanno tentando di mantenere un controllo politico anche rispetto alle associazioni di categorie dell’ANEC (Associazione Nazionale Esercenti Cinema), costruendo un nemico che siamo noi, nella stessa maniera in cui Matteo Salvini difende i suoi interessi e accumula consensi attaccando gli immigrati.
GV:
Onestamente, credo sia ignoranza.
Vengono da una vecchia scuola dove esercitavano un controllo totale sulla distribuzione.
Credo anche che alcune sale abbiano paura che il cinema indipendente in piazza tolga spettatori e incassi a loro. È un ragionamento infondato, davvero.
Se io faccio una rassegna ad Amantea utilizzando uno schermo e un impianto audio di qualità, il risultato è che le persone capiscono che l’esperienza cinematografica è un’esperienza diversa da quella del vedere i film in casa.
Sto educando le persone alla bellezza del Cinema, anche come comunità, e questo è solo a vantaggio delle sale!
Ma il problema è che c’è un sistema cieco che mira solo al profitto, e non capiscono che in realtà il risultato è che perdono anche pubblico in questo modo.
Poi c’è anche un problema sociopolitico.
Della distribuzione in Calabria non frega un cazzo a nessuno.
Siamo una regione piccola da 1.9 milioni di abitanti, di cui moltissimi vivono fuori.
Ai distributori non interessa portare i film qui, perché ci considerano ignoranti e poco interessati. I nostri politici locali non fanno niente e l’offerta è scarsissima.
C’è una mancanza di piano per l’educazione all’audiovisivo, l’ANICA non ha mai fatto nessuna azione di promozione reale, ce ne dobbiamo occupare noi associazioni culturali.
Chi va nelle scuole a mostrare film e insegnare il linguaggio cinematografico?
Noi associazioni.
Chi organizza proiezioni gratuite in piazza?
Noi associazioni.
Onestamente credo ci siano troppi burocrati dietro scrivanie e pochi spettatori veri, che conoscano le esigenze del pubblico, specialmente quello in contesti più disagiati.
Non capiscono che pagare 9 euro un biglietto può essere tanto se sei in difficoltà economica, o se sei una famiglia di medio reddito.
Non puoi certo andare al cinema ogni settimana, e sei costretto a fare delle scelte e a perderti molti titoli.
Le arene erano un modo per garantire anche a loro l’accesso a quei film, con prezzi più ridotti e senza costringerli a viaggiare 40 chilometri per raggiungere una sala.
Secondo voi come dovrebbero intervenire le istituzioni a livello pubblico per evitare questi conflitti?
VC:
Le istituzioni devono fare il loro semplice lavoro.
Io sono un soltanto un organizzatore di arene all’aperto e non spetta a me di dire in che modo il sistema di distribuzione debba essere ripensato, ma la nostra richiesta è molto semplice e chiara: deve poter garantire la giustizia e l’equità.
GV:
Innanzitutto approvando un regolamento che sia a favore della gente.
L’ANICA riceve fondi pubblici, ma si comporta come un privato a tutti gli effetti.
La distribuzione in Italia è un monopolio e c’è davvero bisogno di cambiare e regolare questa cosa, liberando le arene e lavorando su una vera politica di accessibilità della cultura, che in questo momento oggettivamente manca.
Non ha senso questa privatizzazione.
Pensa al ciclo di vita di un film prodotto in Italia: finanziato prima dal MIBACT, co-prodotto da Rai Cinema con vari sostegni regionali, poi distribuito dall’ANICA… noi cittadini lo paghiamo più volte con le nostre tasse.
Questa cosa di criminalizzare la cultura ad accesso libero è ridicola, specialmente se viene da chi la cultura dovrebbe promuoverla democraticamente.
“Cultura ad accesso libero” non vuol dire ovviamente credere che il lavoro non debba essere pagato.
Noi però offriamo il biglietto agli spettatori mettendoci i soldi di tasca nostra quando paghiamo la distribuzione per il film.
È una questione di accessibilità: ad Amantea e in tutti i paesi intorno non c’è un solo cinema, non c’è un’offerta indipendente, per cui costringere il pubblico a pagare 9 euro di biglietto più la benzina per andare al The Space a vedere solo un certo tipo di film è un ricatto.
Le sale cinematografiche in italia sono sequestrate da questo sistema e devono essere liberate dalla stretta dei circuiti commerciali: vengono punite se scelgono di proiettare una certa cosa anziché un’altra ed è un problema serio.
Ci vuole una politica coraggiosa verso l’apertura e verso la realtà.
Basta andare a una proiezione in piazza e ad una al The Space e ci si accorge di quanto sia grande la differenza.
Le sale commerciali devono essere ripensate, perché in questo momento non funzionano più.
In che modo ripensereste il sistema di distribuzione italiano?
GV:
Eliminando il monopolio e dando la libertà alle sale di programmare quello che vogliono loro.
E, soprattutto, mettendo un limite ai prezzi.
Non ha senso, per me, che il cinema abbia costi così elevati, soprattutto quando entro in multisale con mille problemi tecnici, proiettori che non funzionano bene e impianti audio messi male.
Imporre un prezzo massimo e investire anche sulle produzioni indipendenti, lasciando libertà alle sale di programmarli.
Per fare un esempio semplice: in Francia c’è una legge che incentiva le sale a proiettare cortometraggi, è una politica che serve a diffondere questo linguaggio, educando il pubblico e promuovere gli autori più giovani e indipendenti che solitamente iniziano con i corti.
In Italia questa cosa è impensabile, il cortometraggio non è visto di buon occhio.
Va bene che ci sia Checco Zalone, anche i francesi hanno le loro commedie commerciali, ma serve l’alternativa di un cinema d’autore importante e distribuito adeguatamente, altrimenti non stai facendo promozione culturale.
Secondo voi questi temi potranno essere discussi o non siete ottimisti riguardo a una rivoluzione culturale?
GV:
Movimenti come quelli del Piccolo America, per fortuna, stanno crescendo in tutta Italia, sempre con l’obiettivo di portare il Cinema alla gente.
Questo significa che gli italiani vogliono andare al cinema, hanno a cuore questo discorso.
[Sia gli eventi de La Guarimba che del Piccolo America hanno avuto grandi risultati di pubblico, in costante crescita nelle ultime edizioni]
Non è vero che il Cinema è morto: queste sono cazzate che dicono i lobbysti per avere più soldi dal governo.
C’è una grande voglia di tornare al cinema dopo il Covid-19, c’è la voglia di tornare a essere parte di una proiezione collettiva.
Credo anche che ci sia un pubblico abbastanza maturo per volere un Cinema diverso e accettare la sfida.
A me preoccupa molto la posizione dell’ANICA, dopo il comunicato che hanno fatto, dove affermano che sono “false notizie”, senza argomentare nulla, proprio da veri burocrati.
E anche falsi, perché chi lavora nel nostro settore sa bene che è tutto vero.
Dall’altra parte, in Italia non c’è in questo momento, da parte del governo, un esponente coraggioso che abbia le capacità cognitive di sapere di cosa si stia parlando e far sì che le cose possano cambiare.
Non credo che sia impossibile un cambiamento, ma lo vedo abbastanza complicato in questo momento.
Ed è per questo che servono battaglie come questa, esponendoci e mettendoci il nome e la faccia!
Alcune sale indipendenti mi hanno scritto dicendo che anche la loro situazione è dura.
E io lo comprendo e sarò sempre dalla loro parte, ma se non alzano la voce contro questo ricatto e questo modo di fare, se non denunciano il fatto che ANICA, a loro nome, ci ha etichettati come “fake news”, loro sono anche parte del problema, perché con il loro silenzio stanno contribuendo alla persistenza di questo monopolio.
La piccola sala ha troppa paura del sistema di distribuzione, e lo capisco, perché sanno che saranno puniti se remano controcorrente.
Esattamente come è successo con Roma di Cuarón, che è stato vergognoso.
In Calabria, le sale indipendenti si trovano in una grande situazione di disagio: difficili da accedere (la sala a Reggio, per me, è a 3 ore di macchina!), la sala di Paola (CS) fa un lavoro stupendo, ma è piccola, con molti problemi, si vede e si sente molto male, spesso non può neanche aprire.
Per me questi spazi sono un bene, ma hanno dei problemi che non dipendono da noi associazioni che cerchiamo di proporre un’alternativa gratuita!
Noi non togliamo a loro nessun pubblico, e si rischia soltanto di alimentare una guerra tra poveri continuando a ignorare il vero problema.
Che ne pensate della tematica della cultura gratuita?
Come la gestireste?
La cultura deve essere sempre gratis e accessibile?
VC:
È necessario poter ragionare su due modelli di offerte: una gratuita e una a pagamento, purché queste due non entrino in conflitto, in concorrenza e in contrapposizione.
Noi, differenziando il prodotto, abbiamo dimostrato che questo è possibile.
Le arene del Nuovo Sacher e dell'Isola del Cinema a Trastevere non si sono svuotate da quando è iniziata l’esperienza di Piazza San Cosimato, anzi, Trastevere è diventato il rione dell’eccellenza dell’estate romana per il Cinema.
Sarebbe bellissimo immaginare che i film di Ingmar Bergman ed Ettore Scola possano fare concorrenza agli Avengers nei multisala, ma sappiamo bene che non è così.
L’ANICA e l’ANEC stanno spingendo da tre anni per costringerci a rendere i nostri eventi a pagamento.
Noi non ci stiamo e continueremo ad alzare la voce.
GV:
La Cultura, se finanziata dallo Stato, deve essere pubblica.
Non sto dicendo che se tu sei un commerciante non devi fare soldi con il cinema, ma se sei finanziato dallo Stato hai una responsabilità morale di offrire il biglietto.
Questo non vuol dire svalutare le cose e dare tutto gratis.
Questo è un pensiero molto capitalista e neo-liberale: se non lo paghi, non lo valuti.
Poi c’è una cosa che non tutti riescono a capire e riguarda la Calabria molto seriamente: per alcune persone pagare un biglietto del cinema è davvero un problema.
Al nostro festival partecipano pensionati, ragazzini, immigrati che lavorano come braccianti, e per loro anche un biglietto di 6 euro può essere una differenza rilevante.
Allora perché io dovrei mettergli di fronte all’alternativa di pagare o rimanere senza cinema?
Se lo Stato ha un budget per finanziare le attività culturali, perché non possiamo usarlo per offrire certe cose gratuitamente?
Non vuol dire che tutto debba essere gratis, ma che almeno ci sia una possibilità per chi non se lo può permettere.
Preferirei investire quei soldi per creare nuovo pubblico e futuri spettatori appassionati che potrebbero riempire anche le sale commerciali che negare spettatori ed eliminare l’idea di audience.
È come con i lettori: preferisco creare biblioteche pubbliche e dare libri e accessibilità al libro piuttosto che lamentarmi che i giovani di oggi non leggono più.
Il libro e il film sono visti in Italia ancora come un privilegio.
Non deve essere così!
Il Cinema deve essere visto come uno strumento educativo e di crescita.
Se è importante che i ragazzi sappiano chi è Dante Alighieri, per me è altrettanto importante che tutti sappiano chi è Stanley Kubrick.
Qua ci stiamo scontrando tra modelli di pensiero diversi, perché in Italia, dagli anni ’80, è entrato un sistema liberale - anche all’interno della sinistra - e sembra che stiamo parlando di concetti assurdi, quando in realtà sono cose normali!
Il Cinema ha sempre avuto un ruolo di aggregazione popolare, di spettacolo di piazza.
È importante che ci sia la possibilità di accedere alla cultura.
Così come ti fai una tessera della biblioteca della tua città per poter leggere libri gratis, che hai pagato con le tue tasse. Ed è a questo che servono!
Si tratta di un concetto distrutto dal liberismo, cioè il senso civico dello Stato.
Se tu paghi le tasse, lo Stato non solo può raccogliere la spazzatura e pulire le strade, ma può anche fare una biblioteca, può anche organizzare una rassegna di cinema in piazza.
Abbiamo perso questo tipo di senso civico.
Ecco perché certi discorsi creano perplessità: non capiscono come funziona uno stato.
Per alcuni sembra che tu debba pagare le tasse due o tre volte.
Devi pagare le tue tasse e, in più, devi pagare il ticket in ospedale.
Devi pagare se vuoi andare al cinema a vedere film finanziati dalle tue tasse.
Non sono d’accordo con questo ragionamento.
E i cittadini di tutti i tipi, se vogliamo una vera democrazia, devono essere messi nelle condizioni di avere accessibilità reale in modo egualitario.
Non tutti hanno i soldi per il biglietto, mi dispiace, ma è così.
Non stiamo chiedendo al distributore di togliersi i soldi dalle tasche.
Il problema è che sono abituati a un sistema in cui tu, esercente, devi pagargli il diritto di proiezione, tutte le spese di proiezione e una percentuale in base ai biglietti venduti.
Per questo sono contrari alle proiezioni gratuite: sanno che ci guadagnerebbero un po’ di meno, nonostante i diritti e le spese vengano garantiti comunque.
È tutta una questione di interesse economico, contro un interesse di civiltà.