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Manhattan ha diverse chiavi di lettura: Manhattan è il dialogo, è la battuta sferzante, è il Woody Allen amaro, è la critica alla borghesia, è autocritica, è la concezione romantica, è riflessione, è consapevolezza ed è bellezza.
Il rapporto di amore-odio che Woody Allen nutre verso la società in cui vive è uno dei tratti caratterizzanti di questo regista; nel corso della sua carriera, ha demolito quasi ogni aspetto della propria realtà sociale quotidiana e non, parodiandola, criticandola, analizzandola con sguardo lucido.
Televisione, scuola, intellettualismo, politica, religione, ideologie, illusioni, meschinità.
Questo film non fa eccezione, e ci regala come sempre dei momenti di elevata caratura comica permeati da amara auto-coscienza, da rassegnato sarcasmo, da grigia consapevolezza.
Una battuta dopo l’altra, una risata dopo l’altra.
Si può parlare dei film di Woody Allen anche solo citandoli, battuta per battuta.
Perché è lì che si consuma l’ambivalenza stilistica del proprio autore, nella commedia che nasconde il dramma; ed è proprio da quelle battute che spesso riusciamo a ricostruire le opinioni del loro autore, ritagliandoci un angolino nella finestra attraverso cui forse Allen vede la realtà sociale che lo circonda.
Possiamo farlo anche con Manhattan.
Sarebbe interessante.
Ma forse sarebbe troppo poco: Manhattan, come dicevo, va oltre.
Inizio col dire che in questo film c’è un'ammissione: il protagonista, e indirettamente Woody Allen, fa parte di quello stesso mondo, ne riesce a vedere chiaramente tutte le contraddizioni e tutte le amare verità, ma non ne è escluso.
"Era soggetto ad accessi d'ira, di paranoia giudaico-liberale, di sciovinismo maschile, di misantropia farisaica, di ubbie nichiliste e prostrazioni, un continuo lagnarsi della vita senza tentare mai la via di una soluzione.
Spasimava per essere un artista ma evitava i sacrifici necessari per esserlo.
Nei momenti di maggiori intimità parlava di morte raggiungendo vette di una tragicità che in effetti era mero narcisismo."
La consapevolezza del pensiero alleniano arriva qui al suo picco massimo, in un profondo rendersi conto e rendere conto, in una disperata ricerca di qualcosa di autentico, di qualcosa a cui credere, di qualcosa di, per così dire, “sacro”, realmente significativo, pur conscio dell’inganno che sottintende, in un vortice che ricalca molto Fëdor Dostoevskij che, come è noto, è probabilmente la più grande influenza “filosofica” di Woody.
Non è un caso che, arrivati a un certo punto del film, Isaac faccia allora l’elenco dei motivi per cui valga la pena di vivere.
In assenza di significato, esistono comunque però delle cose per cui forse valga la pena vivere: è un’esperienza comune, un sentire che in qualche modo soddisfa lo stesso, un filo sottile al quale aggrapparsi, certo, ma comunque un filo.
Qui sta molto del pensiero di Allen: lo vediamo in questo film, ma non solo - è probabilmente la tematica più fortemente ribadita nel corso della sua carriera.
Ma in che modo si va ad inserire Manhattan in questa storia?
E poi, cosa rappresenta Manhattan?
Ce lo dice lui stesso.
Nel monologo iniziale esprime chiaramente - e anche questo è un tema ricorrente nella sua filmografia - l’analogia tra New York e la società occidentale; Manhattan dunque come metafora globale di un certo modo di vedere le cose.
Simbolo della nevrosi e del crollo dei valori della propria gente, popolata da persone, Isaac in testa, che
"Si creano costantemente dei problemi veramente inutili e nevrotici perché questo impedisce loro di occuparsi dei più insolubili e terrificanti problemi universali"
Eppure Allen riesce a rendere tutto questo romantico.
Qui c'è l’altro grande punto di forza.
È questo aspetto a rendere Manhattan un classico, a elevarlo allo status di film iconico nel quale giustamente si ritrova.
Perché, pur nella visione pessimistica del proprio autore, nella quale è assodato che le cose stanno così, che non c’è un significato, nulla a cui credere, nella fondamentale banalità dell’universo, in una società sempre più corrotta, degradata, falsamente intellettuale, costruita e ipocrita, sull'orlo del baratro… adorava New York.
"La idolatrava smisuratamente."
È proprio in questa bellezza, in questa bellezza consapevole e disillusa e fatiscente e però allo stesso tempo indefinitamente fiduciosa, smisuratamente speranzosa verso un futuro nuovo e diverso, conscia di tutto il male che esiste, di tutte le illusorietà che ci attorniano e di cui magari siamo anche portatori, che sta la grandezza di Manhattan.
In questa infinita speranza a cui non crediamo e a cui, eppure, forse...
Quante volte sei caduto in trappola per colpa di un titolo clickbait che poi ti ha portato a un articolo che non diceva nulla? Da noi non succederà mai.
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5 commenti
RustCohle
6 anni fa
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Giorgia Leonardi
6 anni fa
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René Magritte
6 anni fa
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RustCohle
6 anni fa
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Pfepfer
6 anni fa
👍
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