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Questo articolo parla di Phoebe Waller-Bridge. Se non la conoscete, siete nel posto giusto; se invece avete già avuto modo di apprezzarla come creatrice, sceneggiatrice e attrice di Fleabag, o come droide L3-37 in Star Wars, oppure avete amato Killing Eve… beh, siete ancora nel posto giusto.
Si tratta probabilmente dell’artista più interessante del panorama televisivo contemporaneo, in un mondo dove peraltro l’autorialità è ormai diventata merce rara.
Volendo fornire una sorta di introduzione formale alla poetica di Phoebe Waller-Bridge dovremmo innanzitutto parlare delle sue protagoniste.
Sono donne trasgressive, carismatiche, divertenti, ma anche fragili e tendenzialmente auto-distruttive.
Lo sguardo è sempre rivolto verso di loro, alla loro interiorità, al modo in cui si relazionano con gli altri, alle loro sensazioni: la trama funge da contorno rispetto ai personaggi – e quei personaggi sono dannatamente affascinanti.
A ciò si aggiunge un’abilità umoristica quasi senza precedenti; sia nei contenuti, con uno spiccato gusto per il proibito, per il tabù e per il politicamente scorretto, sia nella forma, riuscendo a fondere comicità, cringe, disagio, realismo, risate, assurdo e drammaticità come prima di lei era riuscito forse solo al The Office di Ricky Gervais.
Ma andiamo con ordine.
A Edimburgo, ogni anno nel mese di agosto, si tiene il Fringe Festival, uno tra i maggiori eventi artistici al mondo e certamente il più importante per quanto riguarda il teatro e la commedia.
In generale, in città c’è una passione per lo stand-up comedy che non si riscontra in nessun altro luogo del pianeta – così gli spettacoli che riempiono le varie venues durante l’arco del festival diventano un vero e proprio laboratorio di buone idee, una fucina di talento.
Phoebe Waller-Bridge presenta lì una versione primordiale di Fleabag nel 2013.
Si tratta di un one-woman-show di una decina di minuti.
È la svolta di una carriera vissuta sino a quel momento nell’anonimato: viene premiata come “Best Solo Performer”, e da lì le si spalancano una marea di strade lavorative.
Ottiene prima una parte nell’acclamato Broadchurch, poi le viene data la possibilità di trasportare Fleabag sullo schermo televisivo.
È un successo immediato e guadagna subito il suo primo BAFTA.
Da lì non si è più fermata, e non ha intenzione di farlo: è una delle scrittrici del prossimo film di James Bond, fortemente voluta dallo stesso Daniel Craig, sta scrivendo una nuova serie TV che dovrebbe debuttare nel 2020 e nel frattempo è plurinominata ai Golden Globe, sia per Fleabag che per Killing Eve.
[Phoebe Waller-Bridge ha ottenuto tre Emmy per Fleabag: Miglior Serie Comedy, Miglior Sceneggiatura in una Serie Comedy, Migliore Attrice in una Serie Comedy]
Fleabag è un autentico gioiello.
La scelta di rivolgersi al pubblico sfondando la quarta parete, ammiccando continuamente alla camera e parlando direttamente con lo spettatore, è particolarmente riuscita.
Da un lato ricalca lo stile di un mockumentary, e in questo si può cogliere uno dei – davvero tanti - parallelismi col già citato The Office, ma al tempo stesso riesce a discostarsene in maniera netta, sia formalmente, perché di fatto non c’è davvero una troupe televisiva con interviste e cose di questo genere, sia poi tematicamente.
Spesso descritta come una “dramedy”, Fleabag poggia in effetti le proprie basi su un avvenimento fortemente tragico, ossia il suicidio della migliore amica della protagonista.
Si ride, ma ci si commuove anche - in uno stilema che è tipico dello humour britannico ma che, di nuovo, non risultava così fresco, così potente, così credibile da ormai quasi una ventina d’anni.
La trama della prima stagione è incentrata sul percorso che la protagonista compie per convivere col senso di colpa che avverte per la morte dell’amica, e che tenta in qualche modo di esorcizzare attraverso il sesso.
Attorno a lei troviamo diverse figure, tutte ben caratterizzate, dalla sorella realizzata ma insoddisfatta, alla matrigna perfida (una grande Olivia Colman) che si occupa di arte concettuale, al cognato ubriacone e immaturo, e ad una serie di altri personaggi che restituiscono le contraddizioni e la nevrosi di una metropoli come Londra, idealmente simbolo della società occidentale.
Nella seconda stagione… vi basti sapere che si aggiungerà un prete.
Oltretutto già da Fleabag, e poi successivamente con Killing Eve, Phoebe Waller-Bridge si fa portavoce di una prospettiva intellettuale fortemente femminista, con uno sguardo maturo e determinato.
La sua è una riflessione profonda e originale, che non risulta mai didattica, e tende a rigettare ogni tipo di retorica facile.
Tutto il suo lavoro è forse il più fulgido e splendente manifesto di un femminismo autentico, potente, coinvolgente e soprattutto “costitutivo” dei nostri tempi – il che contribuisce a renderla la grande scrittrice che è.
[Il dissacrante poster della seconda stagione di Fleabag]
L’altra serie che bisogna analizzare per capire Phoebe Waller-Bridge è Killing Eve.
In questo caso, differentemente da Fleabag, non interpreta alcun ruolo e svolge “solo” la funzione di sceneggiatrice e co-autrice.
La storia è quella di una detective e di un’assassina psicopatica, e della caccia dell’una all’altra, alternativamente e vicendevolmente.
Il rapporto tra le due protagoniste è l’elemento fondante dell’opera, e quel che avviene poi diegeticamente – le indagini, i colpi di scena, il ruolo degli altri personaggi – è essenzialmente secondario, e sostanzialmente fornisce una cornice ed uno sfondo utili alla distribuzione del prodotto e poco altro.
Ma poco importa... anzi.
Le due donne sono mosse da reciproca attrazione, che si muove su due piani paralleli.
Se per Eve, la detective, è interessante comprendere la psicologia della serial killer fino ad esserne ossessionata, bramando forse l’eccitazione adrenalinica che la sua vita non riesce a darle e che ottiene soltanto dando la caccia all’altra, per Villanelle, l’assassina, le motivazioni sono diverse.
C’è per lei una sorta di diseducazione affettiva, di perpetua solitudine, che la spinge a legarsi all’unica persona che pare interessata a lei.
La loro relazione si fonda, come spesso accade, su mutue debolezze, ed è per questo che è così solida, così potente... e anche così “malata”, chiaramente.
Il personaggio di Villanelle - che, ricordiamolo, è comunque un’assassina psicopatica - è nonostante tutto tra i più affascinanti della storia della televisione recente, e probabilmente il motivo di maggior successo della serie.
Va per questo dato merito anche alla talentuosissima Jodie Comer, già vincitrice di BAFTA ed Emmy per questo ruolo, autentica stella nascente del panorama attoriale, e vera e propria musa della nostra Phoebe Waller-Bridge, che ha dichiarato di avere “osato ogni giorno di più” nello scrivere il personaggio perché impressionata dalla bravura e dal carisma della Comer, aggiungendo che vorrà scrivere per lei “per sempre”.
E noi non possiamo che esserne felici.
In generale, non vediamo l’ora di vedere cos’altro ha in cantiere Phoebe Waller-Bridge, a partire dal già citato prossimo Bond Movie, perché non c’è dubbio che sia davvero in questo momento tra le autrici e sceneggiatrici più interessanti del panorama televisivo - e presto cinematografico - contemporaneo.