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La fiamma del peccato - Recensione: il noir che ha fatto la Storia

Il primo capolavoro di Billy Wilder, un noir che ha fatto la Storia

''L'ho ucciso per denaro, e per una donna. E non ho preso il denaro, e non ho preso la donna. Bell'affare''.

Certo, definire il noir un genere risulta un po' inappropriato.

Si tratta di un particolare tipo di immaginario riferito ai thriller americani di primi anni 40. Un misto di espressionismo tedesco, soggetto hard-boiled e un generale sentimento di malinconia e morte.

 

Prendendo per buona questa definizione di noir La fiamma del peccato di Billy Wilder sarebbe senza dubbio uno dei tre migliori film del genere, insieme ad altri capolavori come Il mistero del falco di John Houston e Il grande sonno di Howard Hawks.

 

Proprio Il mistero del falco aveva, forse senza rendersene conto, codificato le regole del noir che avrebbero poi influenzato decine di film a seguire: un protagonista con cui empatizzare ma decadente, disilluso e inesorabilmente tendente all'autodistruzione; la femme fatale, ora seducente, affabile e complice, ora traditrice, bugiarda e manipolatrice; e in ultimo una grande città come palcoscenico degli eventi, e in questo caso abbiamo Los Angeles.

 

 

 

Durante i magnifici titoli di testa, accompagnati dalla imponente colonna sonora di Miklós Rózsa, una silouette si staglia sullo sfondo: un uomo con le stampelle si avvicina alla macchina, una minaccia incombente (cosa che un uomo con le stampelle non dovrebbe essere affatto) si sta avvicinando agli spettatori.

 

La prima scena presenta l'assicuratore Walter Neff (Fred MacMurray), ferito, che si reca nottetempo nel suo ufficio, anzi nell'ufficio del suo collega e amico Barton Keyes (il mai troppo compianto Edward G. Robinson, verso il quale Hollywood non si sentirà mai abbastanza in colpa) e lì registra il suo racconto, una storia di passioni viscerali, inganni e di omicidi.

 

Racconta di come abbia incontrato Phyllis Dietrichson (Barbara Stanwyck), moglie infelice di un marito violento, e di come con lei abbia organizzato il suo assassinio per intascare l'assicurazione e andare via insieme a lei.

 

Lo strumento utilizzato diventerà tipico del noir, ma la sua eridità proviene direttamente da Quarto Potere, che quattro anni prima mostrò a tutti come il flashback potesse essere un mezzo potentissimo al servizio della narrazione.

 

Il fatto che stavolta si abbia un flashback in prima persona (al contrario del continuo racconto di terzi personaggi che si ha in Quarto Potere, volto a dare uno sguardo esterno e critico alla figura di Charles Foster Kane) permette allo spettatore di identificarsi maggiormente con il personaggio principale e di viverne i conflitti interni tra il bene e il male: gli consente di assistere da vicino al suo lento declino e al suo progressivo avvicinamento alla morte.

Il film, come molti, potrebbe essere visto come il continuo e inarrestabile gioco di attrazione dell'uomo verso il bene e verso il male, e di come il male, essendo parte integrante della natura dell'uomo (anche nelle grandi città come Los Angeles appunto, quindi insito in chiunque nella quotidianità) porti l'uomo all'autodistruzione.

 

Da un punto di vista psicoanalitico è la divisione tra Ego, Super-Io e Es, e in questo caso i personaggi non potrebbero essere più adatti.

Il Super-Io è rappresentato da Barton Keyes, non un semplice amico, ma un padre spirituale per Neff, un esempio e un modello.

 

Keyes è l'investigatore della compagnia di assicurazioni, con il compito di verificare la buona fede delle richieste di pagamento delle polizze; rappresenta la legge, la giustizia, la verità, mostra una indefessa dedizione al lavoro nonostante questo non manchi mai di mostrargli la bassezza del genere umano, e l'affetto e la stima che sente per Neff sono la cosa più pura che offre la pellicola in un mare di malinconia.

 

Tanto pura che egli stesso non potrebbe mai pensare che il suo amico/figlio spirituale possa essere coinvolto in una storia di sesso e assassinio per i soldi

 

"Una storia pazza con un finale più pazzo. Non l'avresti indovinato"
"Non si può indovinare tutto, Walter"

 

Dall'altra parte l'Es non può che essere Phyllis, interpretata magnificamente da Barbara Stanwyck: passionale e seducente eppure assassina, manipolatrice, corrotta, "guasta dentro".

 

E lo stesso Neff, così attratto da quel fascino pericoloso e corrotto tipico della femme fatale (si presenta a Neff vestita di un solo asciugamano), si approccia alla donna - sposata, ricordiamo - con un sottile apprezzamento alla sua cavigliera/gamba e scambiando con lei un grandissimo dialogo permeato di stile Wilderiano, mordace, brioso e spregiudicato.

 

Phyllis viene rappresentata come un concentrato di malvagità latente, inarrestabile e autocompiaciuta, tanto che durante l'assassinio la macchina da presa non si concentra sul delitto, preferendo invece indugiare con una calma raggelante sull'espressione di Phyllis, morbosa, impassibile e contemporaneamente estasiata.

 

 

 

La parabola di Neff potrebbe essere vista come un progressivo avvicinamento al male dovuto all'influenza di Phyllis ma non sarebbe giusto.

 

Lo stesso Neff ammette di aver spesso pensato a diversi modi con cui aggirare le regole del sistema e organizzare la truffa perfetta: il male è già insito in lui, semplicemente Phyllis lo ha aiutato a liberarlo per poterlo sfruttare.

 

La parabola di Walter tocca il suo punto massimo nel momento in cui si consuma il delitto: il piano sembra perfetto, e tutto è andato alla perfezione, così come l'intesa con Phyllis non è mai stata così alta e non sono mai stati così vicini.

 

Eppure è questo anche il momento in cui le cose iniziano a vacillare, e se ne rende conto immediatamente anche Neff, giusto poche ore dopo

 

"Niente era stato dimenticato, niente poteva tradirci.
Eppure d'improvviso capii che tutto sarebbe andato storto [...] non sentivo più i miei passi: i miei erano i passi di un morto".

 

Qualcosa nel rapporto con la sua complice si spezza irreparabilmente: non riescono a coordinarsi e a collaborare, gli animi sono tesi e la paura di fare un passo falso diventa opprimente quando anche Keyes inizia a sospettare.

 

L'unica cosa che li tiene assieme è il delitto stesso

"Non possiamo separarci.

Abbiamo cominciato insieme e insieme finiremo, insieme fino in fondo".

 

La natura umana, così corrotta dal peccato, non sarà mai davvero libera dalle tentazioni (come il contadino che richiede il risarcimento per l'incendio del suo trattore), e questo Keyes arriverà a capirlo troppo tardi.

 

Fino alla "rivelazione" finale questi non arriverà mai a dubitare seriamente del suo amico, e anche quando sarà posto davanti all'evidenza dei fatti non avrà un atteggiamento punitivo nei suoi confronti (chiude la porta del suo ufficio come se volesse parlargli a quattr'occhi, gli accende la sigaretta quando sta per arrivare la polizia), sarà semplicemente l'ennesima conferma della debolezza umana.

 

 

 

Dal punto di vista fotografico la pellicola trasuda espressionismo da tutti i pori, con delle scelte fotografiche memorabili e destinate a fare scuola.

 

La prima sequenza ha luogo nel momento in cui Neff ha appena toccato il fondo, ed è ambientata nei vuoti e bui uffici della compagnia d'assicurazione, perennemente immersa nell'oscurità.

 

In generale, come nella tradizione ereditata dal Mistero del falco, si prediligono gli interni e i forti contrasti tra luci e ombre, e si da un grande peso al significato allegorico delle stesse: oltre alla già citata silouette dei titoli di testa sono memorabili le ombre proiettate sul volto di Phyllis, ma soprattutto quelle proiettate sul muro ogni volta che Neff varca la soglia di casa Dietrichson, probabilmente un segnale del nefasto destino che lo aspetta.

Un film perfetto in ogni sua parte, formalmente e contenutisticamente, un capolavoro della filmografia dell'enorme Billy Wilder e fonte di ispirazione per chiunque decidesse di confrontarsi col noir nel suo periodo d'oro e oltre.

 

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