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Sono passati ormai venti anni dall’uscita nelle sale di Fight Club, film diretto da David Fincher e basato sul romanzo omonimo di Chuck Palahniuk, entrambi oggi considerati veri propri oggetti di culto.
Correva l’anno 1996 quando Palahniuk riuscì a pubblicare il suo romanzo d’esordio, Fight Club, dopo essersi visto rifiutare da vari editori quello che poi sarebbe diventato un’altra sua opera, Invisible Monsters (scartato, ironia della sorte, per la sua durezza e per i temi trattati).
Inizialmente il romanzo non ebbe gran successo, eppure a Hollywood si accorsero del suo potenziale e la Fox Searchlight si accaparrò i diritti per 10.000 dollari, una cifra a dir poco irrisoria.
[Il trailer di Fight Club]
Dopo questa mossa era tempo di assemblare troupe e cast: prima la sceneggiatura fu affidata a Jim Uhls (vero e proprio Carneade del cinema), poi i produttori ingaggiarono come regista David Fincher, reduce dai buoni thriller The Game (1997) e Seven (1995); soprattutto quest’ultima pellicola aveva imposto Fincher come uno dei più promettenti registi del panorama statunitense.
Il cineasta ebbe voce in capitolo sia per il budget - oltre 60 milioni di dollari - che per la scelta degli attori, coinvolgendo nel progetto Brad Pitt al quale fu affidata la parte di Tyler Durden e Helena Bonham Carter nei panni di Marla Singer (mentre la produzione avrebbe preteso un’attrice di maggior richiamo).
Per il ruolo del Narratore fu chiamato Edward Norton, che nel 1998 aveva convinto critica e pubblico in American History X.
Venti anni dopo l’uscita, è difficile trovare una persona che non conosca - almeno a grandi linee - la trama di Fight Club: il protagonista, il Narratore del quale non conosciamo il nome, è un anonimo impiegato, sofferente d’insonnia e depressione che cerca emozioni frequentando gruppi d’ascolto per malati incurabili.
A scombinare la sua vita ci penseranno Marla Singer, che come lui finge di essere gravemente malata, e il misterioso Tyler Durden, produttore di sapone.
Ciò porterà alla nascita del Fight Club, un circolo clandestino dove si mettono in piedi incontri di lotta all’ultimo sangue: e questo sarà solo l’inizio di una storia folle e violenta.
“Prima regola del Fight Club: non parlate mai del Fight Club”
[Brad Pitt, Edward Norton e David Fincher sul set del film]
Il Fight Club infatti non è soltanto un circolo in cui uomini di ogni tipo se le danno di santa ragione per sfogare i propri istinti e scaricare lo stress, in un’esaltazione della mascolinità che vede il proprio culmine nell’iconica immagine di Brad Pitt a torso nudo e sigaretta in bocca: l'obiettivo principale del Fight Club diventerà quello di emancipare l’uomo dalla prigione dorata che si è costruito intorno, fatta di inutili lussi e sprechi, riportandolo a focalizzare l’attenzione sui suoi veri bisogni.
Per farlo ci vuole una rivoluzione e sarà lo spettatore a decidere, alla fine della visione, se l’obiettivo è stato raggiunto e se i mezzi usati sono adeguati allo scopo.
Perno principale del film, come del libro, è dunque la critica al consumismo insito nella società odierna.
“Le cose che possiedi alla fine ti possiedono”, dice Tyler al Narratore durante una delle loro conversazioni, e questa frase al giorno d’oggi è più che mai attuale, se si pensa ad esempio a come la tecnologia sembra essere proprietaria delle nostre vite, e non il contrario.
E di chi è la colpa?
Della martellante pubblicità, che costringe le persone a comprare beni di massa che solo all’apparenza gli sono utili, ma anche dei mass media, che propongono modelli di vita irraggiungibili, promettendo facili carriere e soldi: ben presto, però, ci si rende conto che quelle sono solo bugie e illusioni.
Sembra tutto oro quel che luccica, e invece...
[Helena Bonham Carter in Fight Club]
Gli aneddoti sul film sono numerosi e col passare del tempo sono diventati leggendari.
Si va dalla - mancata - frase sull’aborto pronunciata da Marla (espunta dalla scenggiatura per volere della produzione e sostituita da Fincher con una battuta altrettanto caustica), alle tazze di Starbucks presenti in ogni scena; il numero di telefono di Marla è lo stesso di Teddy, uno dei protagonisti di Memento di Christopher Nolan, film con il quale Fight Club condivide la complessità del racconto.
All’uscita del film la critica fu tiepida: presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel settembre 1999, i pareri furono discordanti e non troppo positivi.
Roger Ebert scrisse che era
“Il film più francamente fascista dai tempi di Death Wish (Il giustiziere della notte), una celebrazione della violenza in cui gli eroi si arrogano il diritto di bere, fumare e picchiarsi a vicenda”.
All’uscita nelle sale in Italia il 29 ottobre 1999 anche il pubblicò non premio lo sforzo di Fincher e compagni, con un incasso di soli 100 milioni.
Una serie di fattori contribuirono al modesto risultato, fra i quali l’impossibilità di incasellare il film in un genere ben definito (una sorta di mindfuck un po’ thriller, un po’ film filosofico e non solo), cosa che - molto probabilmente - disorientò gli spettatori.
[Brad Pitt alla Mostra d'arte cinematografica di Venezia, 1999]
Se oggi Fight Club gode di un alone mitico lo deve alla vendita del DVD (oltre sei milioni di copie): in questo campo si registrò una grande innovazione perché la pellicola fu presentata con tanto di commento del regista e numerosi contenuti speciali e inediti, cosa non così comune per l’epoca.
Il paradosso è che nel giro di pochi anni Fight Club è giunto a una popolarità inaspettata, diventando a suo volta oggetto di merchandising: magliette, sapone e tanti altri gadget.
Nata per combattere il consumismo, quest'opera è diventata essa stessa consumismo.
Nel 2009, a dieci anni dall’uscita, il New York Times lo definì in un lungo articolo “il cult movie del nostro tempo”.
E dieci anni più tardi questa fama è più consolidata che mai.
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