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Il Joker di Todd Phillips sceglie di raccontarci una storia che si presta a molteplici chiavi di lettura, caratteristica questa posseduta solo dai grandi film.
Joker è indubbiamente un grande film, nonostante scelga di poggiarsi interamente sulle spalle del suo protagonista - un Joaquin Phoenix da mostrare in qualunque scuola di recitazione da qui in avanti - e nonostante le evidenti ispirazioni degli sceneggiatori arrivino a volte a mangiarsi la storia che stiamo vedendo.
La Gotham del Joker di Todd Phillips è una più che evidente New York scorsesiana, e non è l'unico omaggio che il film tributa al regista di Taxi Driver.
Arthur Fleck è un nuovo Travis Bickle, ne condivide il disagio e la ricerca di un posto nel mondo, entrambi faticano a rapportarsi con il prossimo e con l'universo femminile ed entrambi vivranno un momento decisivo che cambierà loro la testa grazie all'uso di un'arma.
Anche il finale è identico: l'antieroe assurge a modello, l'assassino diventa un simbolo, la reazione violenta non viene demonizzata dai più ma anzi è vissuta come atto liberatorio e dovuto.
Con tanto di gesto delle dita a forma di pistola contro la tempia, che se in Taxi Driver risulta agghiacciante nel finale, in Joker viene reiterato durante il film.
Re per una Notte è l'altro evidentissimo film di Martin Scorsese da cui Scott Silver e Todd Phillips hanno preso a piene mani, ma se Rupert Pupkin era comunque in grado di fare quello che desiderava fare - il suo show di stand-up comedy è a tutti gli effetti divertente - Arthur Fleck resta imprigionato nella sua malattia, che non gli permette di relazionarsi con il mondo esteriore e di vedere le cose da un punto di vista diverso dal proprio.
Joker è infatti interamente raccontato attraverso i suoi occhi, le lenti con cui guarda il mondo sono quelle che vengono messe davanti agli occhi degli spettatori, che spesso non si rendono conto che ciò a cui assistono è soltanto una gigantesca illusione partorita da una mente gravemente malata.
E questa presa di posizione da parte della regia dà modo a Joaquin Phoenix di cannibalizzare totalmente il film, con il risultato di essere presente praticamente in tutte le inquadrature e di far sì che qualunque altro personaggio presente in Joker risulti essere una figurina bidimensionale senza importanza.
Ma se il peso di Taxi Driver l'ho vissuto come un difetto del film, arrivo adesso ad esporre quelli che secondo me sono i suoi pregi più grandi.
Tecnicamente il film lo ritengo ineccepibile.
È una banalita, perché è talmente evidente che quasi non si dovrebbe neanche sottolineare, ma la fotografia del film aumenta la sensazione di malessere e illustra alla perfezione il momento che precede l'esplosione di una bomba civile.
Le tonalità spaziano dal gelido al tiepido, mantenendo sempre una patina in superficie come se anche ciò che vediamo fosse sudicio, impolverato e trascurato come l'anima di quel Joker che ancora deve diventare Joker; costumi e scenografie seguono la spirale inesorabile del personaggio, e se all'inizio del film Arthur indossa degli abiti anonimi e al limite dell'incolore, il suo trucco e quell'abito rosso e senape nel terzo atto colpiscono l'occhio.
Così come lo colpiscono il rosso vivo del sangue e le luci di una città che ancora non conosce i led e i neon e vive di bulbi a incandescenza che contribuiscono a collocare la storia nel 1981 (a scanso di equivoci a un certo punto si vede Blow Out in cartellone in un cinema: il film di Brian De Palma uscì negli USA a fine luglio 1981).
La composizione dei quadri è una gioia per gli occhi: il film inizia con Arthur allo specchio che si sta truccando da clown e il film dichiara così da subito il doppio e la maschera, il reale e la rappresentazione del reale, e staccando su un primissimo piano di Phoenix ne mette in risalto gli occhi e lo sguardo.
Tutti temi che saranno centrali in Joker, così come il suo tentativo forzato di sorridere, obbligando se stesso con le dita a piegare la bocca verso l'alto.
In tutto il primo atto di Joker Joaquin Phoenix risulta spesso impallato, semi-nascosto da un oggetto, non visibile totalmente, un po' come se egli stesso non volesse esporsi e allo stesso modo come se fotografia e regia volessero occultarlo alla nostra vista per non mostrarcelo intero.
Ma per tutto il film la macchina da presa è totalmente dipendente dalla sua figura: lo scruta, ne indaga i dettagli e ne mostra implacabile i difetti, con quella schiena curva e quella cassa toracica spigolosa, si soffema su primi e primissimi piani di Phoenix che danno modo all'attore di recitare nel dettaglio minimo, riuscendo a cambiare espressione muovendo a volte appena un paio di muscoli facciali.
E il lavoro che Phoenix ha fatto sul suo personaggio in Joker mi ha colpevolmente portato a stare con lui.
Probabilmente in Joker, più che in altri film hollywoodiani recenti, il lavoro di scavo dentro le sensazioni dello spettatore risente molto del vissuto di quest'ultimo.
Per vari motivi personali, che non starò qui a illustrare, sono da sempre portato a empatizzare tantissimo con le figure emarginate, i personaggi tristi, coloro che vengono ripetutamente presi a calci dalla vita e non hanno possibilità di riscatto, gli ultimi della società che non riescono e non possono in alcun modo risalire la scala sociale per poter dire di aver vissuto una vita gratificante.
Gli sconfitti, i malati, i perdenti.
Soffro sempre molto vedendoli perché istintivamente mi metto nei loro panni e mentre mi rendo conto di che fortuna io abbia a non trovarmi al loro posto, ne piango i destini infami che li hanno collocati lì.
In un posto da dove loro malgrado non riescono a uscire, nonostante abbiano una tremenda voglia di farlo.
Ogni film cambia a seconda di chi lo sta guardando e capita che arrivi in maniera totalmente diversa agli spettatori, in base a cosa quegli spettatori hanno affrontato nella loro vita.
Arthur Fleck in Joker mi ha fatto una pena immensa, e ammetto senza vergogna che la sceneggiatura - che pur non risplende per originalità - è riuscita a farmi stare dalla sua parte.
Anche se è un omicida.
Anche se è un pericolo per la società.
Comprendo il suo dolore e la sua fatica, visibile nei lividi sul corpo e percepibile nei lividi psicologici impressigli dentro dal suo passato.
Non ne condivido le reazioni, ovvio.
Ma capisco perché arrivi a fare ciò che fa e capisco il sentimento di rivalsa che prova alla fine.
Capisco anche come mai Joker negli USA stia facendo molto discutere, ed è un tema che in altri paesi può essere compreso fino a un certo punto.
In questo periodo storico le élite sono sempre più distanti dal mondo reale, il ricco è sempre più ricco e il povero sempre più povero, il ceto medio sta svanendo e il capitalismo ha ormai così tanto in pugno le nostre esistenze che qualunque decisione si debba prendere nell'ottica di un miglioramento collettivo delle condizioni di vita deve necessariamente scontrarsi con la realtà di un'industrializzazione selvaggia, di una società schiava del mercato azionario che essa stessa ha creato e totalmente dipendente dallo sfruttamento delle risorse naturali in esaurimento.
A tutto ciò aggiungiamo che negli USA il discorso sul controllo delle armi è ormai all'ordine del giorno, con le stragi nei supermercati e in mezzo alle strade che si fanno più frequenti e un Donald Trump che vuole rimanere saldamente attaccato alla NRA, ribadendo il diritto degli statunitensi a possedere un'arma da fuoco sancito dal II emendamento della loro Costituzione.
È evidente quindi che Joker appaia come una fortissima critica a quella società e alla mancanza di controllo, ed è chiaro altresì che l'establishment statunitense abbia il terrore che il film possa essere preso come simbolo e spinta per l'inizio di una rivoluzione armata che parte dal basso, da quella società civile sempre più abbandonata a se stessa, dove gli aiuti sono lasciati al buon cuore delle associazioni di volontariato perché istituzionalmente, quando c'è da tagliare qualche fondo, i primi a subirne le conseguenze sono loro... esattamente come succede nel film.
Kill the Rich, recitano i titoli di giornale in Joker.
Oltre alla già citata performance di un immenso Joaquin Phoenix - che ha lavorato fisicamente e psicologicamente sul personaggio dimagrendo una ventina di chili e studiando la patologia che costringe chi ne è affetto a incontrollabili esplosioni di risa o di pianto - Joker è a mio avviso costruito con grande classe per farsi beffe dello spettatore in maniera subdola e ingannevole.
Come detto, il racconto viaggia attraverso gli strumenti di decodificazione propri di Arthur, e ci viene detto da subito quanto questi strumenti siano registrati su codici non convenzionali: l'uomo è un derelitto, sconfitto dalla vita e dagli eventi, schiavo di una malattia mentale che gli impedisce addirittura di spiegare di cosa si tratti, costringendolo a comunicare la cosa tramite un biglietto.
Tornando al discorso dell'immedesimazione, quella scena in autobus all'inizio del film mi ha colpito in maniera impressionante, e non mi vergogno a dire che ho immediatamente empatizzato con lui al punto di trovarmi in lacrime mentre assistevo al profondo dramma di questo ometto frainteso, deriso e incompreso.
"La cosa peggiore della malattia mentale è che tutti si aspettano che tu ti comporti come se non l'avessi"
Questo recita una delle tante frasi scritte sul diario di Arthur/Joker, ed è una riflessione di una lucidità devastante che sottolinea quanto la società non sia disposta ad accettare, aiutare, coinvolgere il diverso e lo sfortunato.
Joker sceglie dunque di metterci alla prova e giocare con noi fin dal principio: penso sia palese l'intenzione di Todd Phillips e Scott Silver nel lasciare che l'interpretazione di tutto il film, e soprattutto del finale, resti aperta alle varie chiavi di lettura.
Scelta che ritengo sia molto più affascinante rispetto a un mero "è andata così" perché a ben vedere, e scostandosi per un momento della monumentale prova di Phoenix, lo script è in molti passaggi quasi banale.
Ma all'inizio vediamo Arthur ospite del talk show di Murray Franklin, sapendo perfettamente che ciò che stiamo vedendo non sia vero.
Illusione palesata dallo stacco improvviso che ci riporta al momento in cui guarda la tv, nella bettola dove vive con una madre bisognosa di affetto e attenzioni.
La seconda volta che Joker ci illude è invece più infida: da spettatori, pur sembrandoci strano, accettiamo il fatto che Sophie Dumond (Zazie Beetz) scelga di frequentare Arthur.
Crediamo al loro primo incontro in ascensore e a quello successivo sulla soglia della porta, crediamo allo spettacolo di stand-up comedy dove in seguito all'intoppo iniziale di Arthur la vediamo ridere, crediamo al loro appuntamento nel quale lei chiarisce il proprio punto di vista in merito all'omicidio dei tre yuppie in metropolitana e crediamo anche al rapporto consolidatosi al punto da accompagnarlo in ospedale per assistere la madre.
Ma tutto cio non è mai esistito.
Esiste solo nella testa di Arthur, in quella testa che lui sa perfettamente essere malata anche se ancora non sa fino a che punto lo sia.
Le allucinazioni di Arthur in Joker peggiorano con il passare del tempo.
E quando scopre la verità su se stesso e sulla madre, la malattia lo corrode sempre di più, facendolo svalvolare completamente perché come ammette lui stesso non ha più niente da perdere.
Allora quando alla fine del film lo vediamo trucidare Murray Franklin - interpretato da un Robert De Niro sornione, conscio di essere all'interno di un film che cita a piene mani due film dei quali fu protagonista con due performance straordinarie - e quando vediamo Arthur che a tutti gli effetti si tramuta in Joker, quando dopo il terribile incidente in strada si rialza e viene acclamato dalla folla…
Siamo davvero sicuri che ciò che vediamo sia reale e non sia invece l'ennesima illusione di una mente distrutta dalla malattia?
Quale sarebbe altrimenti la barzelletta che la psicologa della prigione "non riuscirebbe a comprendere"?
"Ho sempre pensato alla mia vita come a una tragedia, adesso vedo che è una commedia" racconta il Joker.
Per un uomo costretto a ridere anche quando non vuole, l'illusione di una vita da protagonista potrebbe essere l'unica vera scappatoia da un mondo reale che non accetta le rivoluzioni.
Che non vuole che il povero si ribelli, che tiene lontano il diverso e lo prende a calci mentre sta in terra e a pugni mentre in bagno chiede soltanto un abbraccio da parte di quello che crede essere suo padre.
Da un mondo che preferisce prendersi gioco di una figurina tragica come quella di Arthur Fleck, chiamando l'emittente televisiva per chiedere di poterlo rivedere e così riderne ancora.
Per ridere di lui e non con lui.
Per non accettare che un uomo simile possa essere "destinato a portare gioia e sorrisi nel mondo".
Perché la società si è dimenticata di indossare una faccia felice e preferisce affondare e nel frattempo accumulare il possibile finché può.
Allora forse è davvero meglio illudersi di essere riusciti a ucciderla, questa società.
Meglio convincersi che coloro che non ti hanno mai guardato al punto di farti dubitare della tua stessa esistenza adesso ti guardino e ti ammirino, meglio credere che il mondo intero prenda esempio da te e ti porti sulle spalle in trionfo.
E scappare come in un cartone animato in un finale al limite dell'onirico, illuminato da un bianco accecante e irreale dove Joker fugge per l'ennesima volta da chi lo insegue, in un ralenti che chiude un film non perfetto ma carico di cruda poesia, che ci regala un personaggio difficile da digerire e impossibile da dimenticare.
"In ogni strada di questo paese c'è un nessuno che sogna di diventare qualcuno.
È un uomo dimenticato e solitario che deve disperatamente provare di essere vivo".
La frase di lancio di Taxi Driver nel 1976 calza alla perfezione per il Joker del 2019.
E la cosa più pesante da accettare è rendersi conto che a oltre quarant'anni di distanza gli ultimi siano rimasti tali.
Ma non pensiamoci troppo, e mettiamoci addosso una faccia felice.
6 commenti
Giorgia Leonardi
5 anni fa
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Filman
5 anni fa
Lui ha dei piani ben precisi in mente, organizza le sommosse, non ci capita dentro a caso.
Insomma crea dei piani che richiedono enorme organizzazione, quindi il Joker di Pohenix non è sicuramente il genio del caos di Batman, ma una versione a parte e iper-realistica.
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Giorgia Leonardi
5 anni fa
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Filman
5 anni fa
Nei fumetti, un po' per l'aura di mistero che possiede, un po' per la bidimensionalità del personaggio cartaceo, Joker non è certo un emarginato dal subconscio compromesso da traumi passati ma uno a cui piace fare il folle, uno che si diverte sul serio, non uno che lo fa perché non prende le pillole. Joker è un personaggio lucido, e Nolan questo l'aveva capito benissimo.
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Giorgia Leonardi
5 anni fa
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Giorgia Leonardi
5 anni fa
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