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Tratto da Granai incendiati di Haruki Murakami, un racconto di una manciata di pagine, Burning - L'amore brucia del regista coreano Lee Chang Dong dipinge un affresco impietoso della Corea del Sud dove dei giovani adulti si muovono come mosche impazzite alla ricerca di un senso e di un posto a cui appartenere.
Il film è stato presentato all'edizione 2018 del Festival del Cinema di Cannes, in seguito a otto anni di silenzi del regista dopo Poetry, ed è stato selezionato per rappresentare la Corea del Sud ai Premi Oscar 2019.
Nonostante le atmosfere fumose e misteriose, in cui a volte si fa fatica a trovare il limite tra realtà e finzione, Lee Chang-Dong si emancipa dal realismo magico di Murakami e in Burning fornisce agli elementi più criptici della trama una dimensione più concreta.
[Trailer internazionale di Burning]
I tòpoi della letteratura di Murakami, come la ragazza che svanisce nel nulla, i gatti e i pozzi in cui perdersi in se stessi, non sono più portali a un mondo parallelo con la luna doppia nel cielo e alla stanza segreta dell'uomo-pecora.
Lee Chang-Dong manipola in Burning la materia di partenza per restituirci una storia fortemente ancorata alla realtá.
È la societá a bruciare, innanzitutto. Ecco il primo degli incendi.
La Corea del Sud, in particolare Paju dove sono nati e cresciuti due dei protagonisti, è stretta a tenaglia dalla Corea del Nord e dagli Stati Uniti.
A pochi chilometri dalla casa di Jong-su (Yoo Ah-In) risuona ogni giorno la voce austera della propaganda nord-coreana, mentre sul suo televisore vediamo il volto paonazzo di Donald Trump.
Sulla stessa televisione veniamo a conoscenza del crescente problema disoccupazione.
La societá sud-coreana non è a misura di poveri.
Jong-su è costretto a dividersi tra lavori part-time poco appaganti e la campagna di famiglia, non trovando spiraglio per una crescita personale e, di conseguenza, nemmeno l'ispirazione per la scrittura.
[Ah-in Yoo è Lee Jong-su in Burning]
Hae-mi (Jeon Jong-Seo) vive in una stanza minuscola, la famiglia l'ha ripudiata per i suoi debiti, è ricorsa alla chirurgia estetica e fa la ragazza immagine su chiamata.
Non è abbastanza ammiccante, non è abbastanza bella, non è abbastanza spigliata.
L'unica cosa di cui Hae-mi abbonda è una fragilità inquieta e feroce.
La ragazza non ha bisogno di soddisfare i suoi bisogni primari, lei è una Grande Affamata; è il desiderio di conoscere il senso della vita che le dá nausea.
Balla una danza africana che rappresenta il passaggio dal piccolo al grande affamato, con il seno nudo, sulle note di Miles Davis.
È andata in Africa per cercare risposte, ma è tornata in patria con un punto interrogativo in carne e ossa: Ben.
Ricco e di successo, Ben (Steven Yeun, famoso per il ruolo di Glenn in The Walking Dead) è il connubbio tra il Gatsby di Francis Scott Fitzgerald e il Patrick Bateman di Bret Easton Ellis.
Non sappiamo che lavoro faccia, sappiamo solo che è incapace di piangere.
In Burning a bruciare sono i giovani adulti.
Quando si parla delle incombenze dell'età adulta inoltrata e delle paturnie adolescenziali spesso si dimentica dei ragazzi che, appena affacciatisi alla vita adulta, ne vengono irrimediabilmente soffocati.
Jong-su e Hae-mi sono due fantasmi, pedine sacrificabili nel gioco nella società.
Jong-su, che si masturba più di quanto scriva o parli come per porre un velo sui propri pensieri, si specchia negli occhi di un vitello indifeso pronto al macello, sguardo che non può che rimandare a quello dell'asino Balthasar in Au Hasard Balthazar di Robert Bresson.
Hae-mi non vuole morire, vuole letteralmente scomparire, come se non fosse mai esistita, confluire nel nulla come il tramonto confluisce nel buio della notte.
È un desiderio indotto dall'inadeguatezza in un mondo iper-competitivo.
Ben rappresenta per entrambi un mito con cui è difficile competere e a cui è difficile piacere.
L'uomo a cui ambire, l'uomo da imitare.
Di lui non conosciamo i retroscena: sappiamo solo che obbedisce alla legge di natura, per cui è il più forte a dominare sul più debole.
La lucida freddezza con cui agisce lo rende l'ombra di un essere umano.
La noia brucia ogni germoglio di emozione.
Ogni suo rapporto è corrotto dall'incendio del suo delirio di onnipotenza.
Jong-su, Hae-mi e Ben sono in Burning tre solitudini che orbitano intorno allo stesso pianeta.
A bruciare inoltre è, come dice anche il sottotitolo in italiano, l'amore.
È un fuoco appiccato col sesso, che si alimenta di lunghe assenze e di risposte intuite ma mai esplicitate.
Alla fine le fiamme saranno il mezzo essenziale per la catarsi.
Una purificazione in cui la societá non fa da intermediario; non esiste uma tutela giuridica per i fantasmi, gli eterni secondi, gli zeri. Da questo punto di vista è lecito paragonare Burning a Dogman, il film di Matteo Garrone. In entrambi i film i fantasmi della società decideranno di farsi giustizia da soli.
Il fuoco rituale sancisce la rinascita di Jong-su nella sua nudità.
Ed è un piccolo incendio quello che Burning appicca nella mente dello spettatore: la combustione avviene lentamente, si esce dalla sala storditi dalla lunga durata della pellicola, ben 148 minuti.
Eppure pian piano le riflessioni bruciano una dopo l'altra.
Le ceneri si sedimentano lasciando Burning di Lee Chang-Dong ben impresso nella memoria.