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L'eccellente Chernobyl, miniserie HBO di cinque episodi da un'ora, inizia e finisce con la stessa frase, messa in bocca al personaggio dello scienziato Valery Legasov, interpretato magnificamente da Jared Harris:
"Qual è il prezzo delle bugie?"
Strutturato brillantemente e retto dalle mirabili performance di Jared Harris, Emily Watson e Stellan Skarsgård, Chernobyl è inesorabilmente cupo ma ha un incredibile potere tensivo ed è scritto in maniera superba.
Nonostante si conosca il fatto storico raccontato, ancora oggi definito come "il più grande disastro nucleare mai avvenuto", ogni ora è più impressionante di quella precedente poiché la complessa visione stratificata del regista Johan Renck e dello sceneggiatore Craig Mazin non narra semplicemente i fatti: entra nelle emozioni, nelle sensazioni, nei timori delle singole persone e di un'intera nazione.
Un'Unione Sovietica profondamente orgogliosa e gelosa delle proprie conoscenze, delle proprie scoperte, immortalata nel periodo più paranoico di quella Guerra Fredda che è alla base degli errori che hanno portato al disastro di Chernobyl.
Perché di errore umano si tratta, in fin dei conti.
Un test andato male, anzi, andato nel peggiore e nel più impensabile dei modi, arrivando a modificare le certezze degli scienziati coinvolti secondo i quali ciò che avvenne era semplicemente "impossibile".
Ed è proprio l'orgoglio e la granitica certezza nei propri mezzi ad aumentare il pericolo nelle ore successive all'incidente.
Chernobyl inizia mostrandoci vari personaggi che gravitano attorno alla centrale nucleare quel maledetto 26 aprile 1986: ci sono i lavoratori direttamente coinvolti nel test, molti dei quali inesperti e non adeguatamente informati su quello che stanno facendo e guidati da un supervisore borioso e supponente, ci sono i pompieri che corrono per fermare le fiamme ignari di andare incontro alla morte perché
"Non è niente di grave, è solo un incendio sul tetto".
E poi ci sono i funzionari governativi, che da subito scelgono di inventare delle coperture per mantenere dignitosa l'immagine dell'URSS nel mondo, sostenendo che non sia accaduto nulla di irreparabile.
Jared Harris (The Crown, Mad Men) interpreta Valery Legasov, un importante fisico nucleare sovietico che viene coinvolto nella gestione dell'incidente ed è il primo a capire realmente cosa sia successo e quale sia la portata del disastro.
Notando un pezzo di grafite fuori dall'edificio si rende conto che il nucleo è esploso, e solo dopo molte opposizioni da parte di funzionari che cercano di affermare che si tratti di un'inezia - inclusa una versione di Mikhail Gorbachev interpretata da David Dencik - viene dato il via libera per provare a contenere la catastrofe.
Tra i funzionari troviamo Boris Shcherbina, un immenso Stellan Skarsgård (Nymphomaniac, Will Hunting - Genio Ribelle) che fa un lavoro eccezionale sul personaggio: il timbro della voce, la postura, lo sguardo e quell'atteggiamento da uomo del partito che non accetta la fallibilità del partito stesso; l'attore in Chernobyl si trasforma e se lo conoscete grazie ai suoi lavori precedenti farete fatica a identificarlo.
Shcherbina è l'uomo del governo mandato sul posto, che deve innanzitutto fare i conti con l'irreparabile e poi mediare tra quanto chiesto da Legasov per far fronte al disastro e quanto concesso dallo Stato.
È colui che al primo incontro ufficiale con Gorbachev racconta che
"La situazione è stabile, mi hanno detto che il livello di radiazioni sul posto è equiparabile a quello di una radiografia al torace"
E sarà il primo a rendersi conto che la verità è un'altra: come dice Legasov, il livello di radiazioni alla Centrale di Chernobyl è in realtà quello di 4 milioni di radiografie al torace.
Inizialmente nessuno vuole accettare l'errore semplicemente perché il pensiero dominante è che l'Unione Sovietica non può sbagliare, quindi tutti gli indizi che portano in quella direzione devono necessariamente essere falsi, esagerati, allarmisti.
Nella gerarchia delle cose importanti Governo e KGB mettono al primo posto non tanto la sicurezza quanto l'inviolabilità delle informazioni interne: il maggiore pericolo percepito non è quello legato alle conseguenze di una catastrofe nucleare senza precedenti, ma il fatto che la catastrofe possa essere riconosciuta in quanto tale al di fuori dei confini nazionali.
Chernobyl racconta fondamentalmente due cose.
Da una parte gli eventi accaduti dopo l'incidente e tutto quello che è stato fatto per evitare un danno ancora più grande - compresa la probabilità di un'esplosione della centrale intera - racconta il contenimento delle radiazioni nucleari che attraversavano l'URSS e il fatto che la nube radioattiva si stesse rapidamente dirigendo verso l'approvvigionamento idrico più grande del paese, racconta come scelsero di gestire la situazione legata al fatto che quella stessa nube si sarebbe diretta verso il continente europeo.
Dall'altra parte racconta il dramma personale degli uomini che hanno avuto a che fare con Chernobyl.
Dagli abitanti di Pripyat, cittadina a pochi chilometri dalla centrale, che devono abbandonare le loro case sentendosi dire che sarebbe stata una situazione temporanea - ancora oggi la cittadina è esattamente come la lasciarono di corsa nel 1986: piatti sui tavoli e giocattoli nel parco compresi - ai funzionari governativi che devono affrontare il fallimento e il crollo delle loro convizioni.
La sceneggiatura di Craig Mazin è davvero abile a viaggiare su questo doppio binario, regalandoci momenti terribili e angoscianti sempre legati al pensiero che tutto ciò che stiamo vedendo è realmente accaduto.
Ai personaggi principali già citati si aggiunge anche l'unico personaggio fittizio della serie, creato come omaggio nei confronti di tutti gli scienziati che collaborarono nella realtà: Ulana Khomyuk, interpretata da Emily Watson, una scienziata dell'Istituto di Fisica Nucleare della cittadina di Minsk, a 400 chilometri da Chernobyl.
Si accorgerà che qualcosa non va grazie alla polvere radioattiva arrivata fino al suo Istituto, e indagherà a fondo assieme a Legasov una volta entrata nella squadra.
Ci sono poi Jessie Buckley (Beast, Taboo) nei panni della moglie di uno dei vigili del fuoco, personaggio importante per mostrare cosa successe ai primi intervenuti e come ciò si riflettesse sui loro cari, e Barry Keoghan (Dunkirk, Il Sacrificio del Cervo Sacro) che interpreta uno dei "liquidatori", ovvero quelle decine di migliaia di persone di ogni età mandate sul posto per bonificare, decontaminare, gestire la situazione.
Con dei risvolti legati alla fauna locale che non svelerò, ma che sono tra le scene più difficili da mandare giù di tutta Chernobyl e che vengono rappresentate sullo schermo dallo sguardo particolarissimo di Keoghan, giovane attore lanciatissimo verso una grande carriera.
Il sacrificio è forse il tema portante della serie.
Sacrificio umano, sacrificio dei propri valori, sacrificio degli ideali votati al partito.
Il dramma incredibile di Chernobyl - equiparato a due esplosioni atomiche di Hiroshima - è tutto negli occhi degli uomini e delle donne coinvolte: di quelli consapevoli e di quelli ignari, di coloro che sanno che restare vicino al reattore esploso per inventarsi una soluzione li porterà a breve a morte certa e di coloro che portano i bambini sul ponte di Pripyat per guardare le luci che si sprigionano dalla centrale, lasciandoli giocare in mezzo alla polvere radioattiva.
Non è per niente facile mantenere la tensione in merito a un fatto conosciuto, e lo è ancora meno farlo parlando di fisica nucleare e di fissione, di barre di controllo e reattori RBMK, di radiazioni e uranio.
Ma Chernobyl ci riesce, e ci riesce in maniera egregia.
Dipingendo alla perfezione non solo il fatto storico, ma anche il crollo inesorabile delle certezze dell'URSS, che da quel momento iniziò a disgregarsi del tutto sulla scia della glasnost' (trasparenza) e della perestrojka (ristrutturazione) volute proprio da Mikhail Gorbachev qualche mese prima dell'incidente.
Il pensiero di quante centinaia di morti sono attribuibili alla ferrea convinzione di essere nel giusto, con tecnici e funzionari che addirittura si rifiutano di controllare il reattore perché "è impossibile che esploda, quindi non è vero che è esploso", la consapevolezza di quanti milioni di morti sono ascrivibili alle scellerate decisioni nate proprio da quelle convinzioni, che hanno lasciato sì che il tempo passasse e che il popolo russo ed europeo rimanesse ignaro di tutto, rassicurato da comunicati che minimizzavano l'accaduto.
Questo pensiero non ti molla per un istante lungo tutti i 320 minuti di Chernobyl.
La splendida e glaciale fotografia di Jakob Ihre, le musiche ansiogene di Hildur Guðnadóttir e l'incredibile sound design che accompagna tutti gli episodi, con quei suoni e rumori lavorati dagli originali - registrati nei pressi di una vera centrale nucleare dismessa, quella di Ignalina in Lituania - le performance di tutto il cast: la miniserie HBO è quanto di più bello si possa vedere sul piccolo schermo oggi, e personalmente credo che Chernobyl sia tra le cose più belle che in assoluto abbia mai visto in televisione.
La sensazione di ineluttabilità permane senza alleggerirsi mai, la percezione del tempo che scorre inesorabile si sente addosso, e non serve augurarsi che le cose si accelerino e che vadano per il meglio perché sappiamo che così non fu, ma ciononostante sotto l'opprimente coperta di realismo resta sempre acceso un barlume di speranza, magari per sentirsi dire che le vittime non furono davvero così tante, che i danni all'ambiente e all'uomo non sono stati davvero così irreparabili, che le decisioni prese in quei giorni non furono così irresponsabili.
Perché da spettatori cerchiamo sempre di convincerci che esista un eroe che sistemerà le cose.
In Chernobyl ne esiste più di uno, ne esistono a centinaia: l'eroe conscio del suo destino e l'eroe ignavo, l'eroe burocratico e l'eroe sacrificabile, gli uomini andati a fermare le pompe dell'acqua e quelli che scavarono sotto il reattore, gli uomini che non si piegarono e quelli che sapevano che si sarebbero spezzati.
E sono tutte persone reali, esistite, alle quali dobbiamo qualcosa.
A loro è stata dedicata Chernobyl, a coloro che hanno sofferto e che si sono sacrificati.
Quando la fiction racconta la realtà capita che a volte diventi più vera della verità.
Soprattutto nel caso in cui ci si chieda dall'inizio alla fine quale sia
"Il prezzo delle bugie"