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Sergio Leone è senza ombra di dubbio uno dei registi italiani più famosi e influenti: non è un segreto che per Quentin Tarantino sia stato molto più di un'ispirazione, tanto da arrivare anche a citarlo direttamente nel titolo del suo nuovo film C'era una volta a... Hollywood.
Ma oltre a rendere omaggio a Leone nei suoi film, Tarantino ha ora scritto la prefazione di un nuovo libro su Sergio Leone, in cui specifica perché il Maestro sia
"Il più grande di tutti i cineasti italiani".
Ecco un estratto dalla prefazione di Once Upon a Time in the West: Shooting a Masterpiece, di Christopher Frayling (Reel Art Press), basato su una lunga conversazione tra Frayling e Tarantino risalente al gennaio 2018.
"Il film che mi ha fatto desiderare di fare del cinema, il film che mi ha mostrato come un regista faccia quello che fa, come un regista possa controllare un film attraverso la sua cinepresa, è C'era una volta il West.
Era quasi come fosse una scuola di cinema in un film.
Ha davvero mostrato come un regista possa avere un impatto forte.
Come dare una firma al tuo lavoro.
Mi sono trovato completamente affascinato, pensando: 'È così che si fa'
Mi ha davvero costruito una certa sensibilità.
Ci sono stati solo pochi cineasti che sono entrati in un genere vecchio e da lì hanno creato un nuovo universo.
Mi piace molto l'idea di creare qualcosa di nuovo partendo da un vecchio genere.
In una certa misura, Jean-Pierre Melville lo ha fatto con i film di gangster francesi.
Ma quei ragazzi italiani - Sergio Leone, Sergio Corbucci, Duccio Tessari e Franco Giraldi - hanno fatto meglio.
Iniziarono per la maggior parte come critici e sono poi diventati sceneggiatori.
Da lì sono diventati la seconda unità, i ragazzi che girano le scene di azione.
Devi tornare alla Nouvelle Vague per trovare un gruppo di uomini che amano il cinema tanto quanto hanno fatto loro - tranne che Sergio Leone e gli altri avevano una fiorente industria cinematografica in cui potevano lavorare.
I film di Leone non erano solo influenzati dallo stile.
C'era anche un certo realismo: quelle merdose città messicane, le piccole baracche - un po' più grandi per ospitare la macchina da presa - tutti i piatti su cui mettevano i fagioli, i grandi cucchiai di legno.
I film avevano quel realismo che sembrava sempre mancare nei western degli anni '30, '40 e '50, nella brutalità e nelle diverse sfumature di grigio e nero.
Sergio Leone ha trovato un nero ancora più scuro e un bianco sporco.
C'è del realismo nella sua presentazione della Guerra Civile ne Il Buono, il Brutto, il Cattivo, che mancava in tutti i film sulla Guerra Civile girati prima.
Selvaggio e grandioso com'era, non c'era mai una vena sentimentale.
Ogni tanto faceva qualcosa di sentimentale, come quando l'uomo senza nome fa fumare un soldato morente ne Il Buono, il Brutto, il Cattivo, ma è l'unica cosa più vicina al sentimentalismo che abbia mai fatto.
Alla fine degli anni '60 i western americani lasciarono il posto agli italiani perché i film italiani non erano consunti.
Sembravano una risposta ai western che avremmo visto per sempre.
La combinazione della surrealtà e della violenza.
Non sembrano così violenti visti oggi, ma sembravano molto violenti allora, perché non lo prendevano così sul serio: gli italiani ridevano della violenza, quel tipo speciale di humour nero.
E c'erano la gioventù e l'energia.
E, a proposito, negli Spaghetti Western non c'erano star vecchie e gonfie.
Molti degli eroi erano giovani attori delle serie televisive americane.
Ma si vestivano meglio, si comportavano meglio.
Erano la cosa perfetta per la rivoluzione degli anni '60 che stava accadendo in quel momento.
Il designer Carlo Simi è uno dei geni sconosciuti - l'arma segreta di Sergio Leone, tanto quanto Ennio Morricone.
Non c'era niente di speciale nei set e nei costumi dei film western americani della fine degli anni '60: i costumi venivano sempre dal reparto costumi di qualunque studio stessero girando.
Carlo Simi, invece, stava creando outfit che hanno quel brio che trovi nei fumetti, a volte letteralmente - come se guardando un fumetto qualcuno avesse detto:
"Ehi, dai loro un mantello come questo".
Questi costumi folli possono fare la metà del lavoro per i personaggi, che siano i cattivi o gli eroi o gli avventurieri.
Una volta Leone disse che erano come armature.
Hanno dentro di loro questo zeitgeist pop-culturale.
Gli spolverini di C'era una volta il West, come i trench nei film di Melville, sono senza tempo.
Con i western di Leone stai letteralmente parlando delle migliori scenografie, dei migliori costumi e dei film con i migliori oggetti di scena di tutti i tempi.
Non c'è un equivalente.
La gente a volte pensa che Sergio Leone sia stato il primo italiano a produrre spaghetti western.
Ma ovviamente non è così.
Sergio Corbucci stava facendo uno spaghetti western nel 1964, nello stesso periodo in cui Leone stava facendo Per un Pugno di Dollari.
Ma non stava cercando di fare qualcosa di diverso in quel momento - in realtà stava cercando di essere più simile ai western americani, e questo si riflette nella musica, che non è affatto operistica.
È stato Leone a mettere la musica al servizio del film trasformandola in opera.
So che ci sono esempi che saranno contrari a quello che sto dicendo, ma sembra che Leone sia stato davvero il primo a filmare la musica in quel modo.
Prima di lui è capitato per caso che qualcuno pensasse che sarebbe stato bello farlo per una piccola sequenza, ma non pensavano che avrebbero dovuto farlo per il resto del film.
Ma è il modo in cui ora usiamo la musica: scegli qualche canzone rock e tagli la tua scena a quella canzone.
Tutto è iniziato con Leone e Morricone, e in particolare con Il Buono, il Brutto, il Cattivo.
Ennio Morricone e Sergio Leone hanno influenzato i miei film in ogni modo, aspetto e forma.
Prima di tutto, la musica da surf: Dick Dale, 'Misirlou'.
Non ho mai capito cosa avesse a che fare la musica surf con il surf.
Per me, suonava sempre come del rock'n'roll negli spaghetti western: musica di Morricone con un ritmo dato dalla chitarra.
Ho sempre detto che Pulp Fiction era uno spaghetti western moderno.
Poi ho iniziato a usare pezzi di musica che Morricone aveva scritto per altri film.
Dopo ancora ho lavorato con lui come mio compositore, cosa che non avevo mai fatto prima con nessuno.
Abbiamo iniziato con lui che non capiva, poi con lui che l'ha capito - lui vedeva letteralmente il mio obiettivo - e poi con me che lavoravo con lui a The Hateful Eight.
Non c'era molto spazio per Sergio Leone per andare oltre C'era una volta il West, ed è per questo che ha fatto questa specie di strano atto di addio.
Ma quando si tratta di C'era una volta il West, è sia la fine di qualcosa che l'inizio di qualcosa.
È la fine degli spaghetti western come la conosciamo.
È la fine di questo magnifico genere a cui per la maggior parte non è stato dato alcun rispetto a suo tempo, anche in America e in particolare in Italia.
Guarda le recensioni di Roger Ebert e Pauline Kael de Il Buono, il Brutto, il Cattivo, e dimenticati di trovare qualcuno come Sergio Corbucci nel New York Times: sono così totalmente irrispettosi che non è nemmeno divertente.
Eppure questo fantastico genere ha impiegato tutti questi tecnici e tutti questi attori, realizzato oltre 300 film nel periodo di quattro o cinque anni, e C'era una volta il West l'ha concluso.
Quando parliamo dei cineasti degli anni '60 parliamo della formazione dei cineasti degli anni '90 e '2000, e credo che Leone abbia indicato la strada verso il cinema moderno.
C'è l'eccitazione e le scene d'azione che vedrai sviluppate più tardi in film come Terminator.
C'è uno sfrigolio nelle scene d'azione.
Se Elvis Mitchell [critico, studioso e giornalista, ndr] mostra un film ai suoi giovani studenti - un film degli anni '50, un film degli anni '60, un film degli anni '40 - è solo quando mostra loro un Sergio Leone, se non l'hanno mai visto prima, che riescono a capire.
Quando iniziano a riconoscere gli elementi.
In quel momento non pensano più solamente "Sto guardando un film vecchio".
È l'uso della musica, l'uso del set, l'ironico senso dell'umorismo.
Apprezzano il surrealismo, la follia e apprezzano il taglio della musica.
Quindi è il vero inizio di ciò in cui il Cinema si è evoluto negli anni '90.
Non vai oltre Sergio Leone, parti da Sergio Leone.
Penso che sia il più grande di tutti i cineasti italiani.
Arriverei persino a dire che è la più grande combinazione di uno stilista cinematografico completo, colui che crea il suo mondo, e il narratore.
Due ruoli che non si sono mai fusi insieme.
Essere un grande stilista quanto lui e creare questo mondo operistico, e farlo all'interno di un genere, e prestare attenzione alle regole del genere, mentre infrangi le regole in ogni momento - offrendoti un meraviglioso film western."