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Robert Eggers è un autore, e la sua poetica risulta chiara ed evidente: The Lighthouse è il suo secondo lungometraggio, presentato in anteprima mondiale al Festival del Cinema di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs.
Il regista americano prosegue con questo nuovo film un discorso iniziato con The VVitch: dove c'erano i boschi del New England nel 1600, in The Lighthouse c'è la dura roccia e gli scogli di un'isola della Nuova Scozia nel 1890.
The Lighthouse è girato in un coraggiosissimo formato 1.19:1 che rende il fotogramma praticamente quadrato, con un bianco e nero contrastato e cattivo ottenuto grazie a delle lenti di quasi un secolo fa - e a dei filtri speciali fatti costruire apposta - che ricreano l'immagine catturata dalle pellicole ortocromatiche all'inizio del secolo scorso: il film di Eggers è originale nella forma e nel contenuto in un genere, l'horror, che ultimamente sembra sfornare solo delle sbiadite fotocopie.
[L'incontro con la stampa dopo l'anteprima mondiale di The Lighthouse alla Quinzaine des Réalisateurs]
Willem Dafoe e Robert Pattinson sono i guardiani di un faro nel Maine di fine XIX secolo, in preda alle intemperie reali e alle tempeste personali che infuriano lungo tutta la durata dell'opera.
Durante le quattro settimane in cui saranno costretti a rimanere sull'isola verranno a galla il passato di uno e l'identità dell'altro, tra la paranoia dovuta all'isolamento e le allucinazioni - visioni? incubi? - causate dalle sbronze, tra gli incontri con esseri mitologici e i dialoghi sprezzanti e inaciditi.
Herman Melville, Ernest Hemingway, Edgar Allan Poe sono i riferimenti classici più evidenti in The Lighthouse, ma ci si trova anche un po' di Shining e un po' del cinema di Andreij Tarkovsky e Ingmar Bergman.
Nomi altisonanti con i quali Eggers non ha intenzione di mettersi a confronto, quanto piuttosto di mostrare cosa ha imparato e assorbito per poi reinterpretarlo seguendo il proprio personalissimo discorso.
Come in The VVitch anche qui c'è un animale che crea un particolare rapporto con uno dei protagonisti, e in The Lighthouse ritroviamo il tema della incompatibilità con ciò che di sinistro ci circonda e l'accettazione - mediante sacrificio - di quello che siamo e che in fondo siamo sempre stati, anche se abbiamo tentato di negarlo persino a noi stessi.
La ricostruzione storica è mirabile, sia nella resa fotografica e nella composizione - all'inizio, non fosse per il frame rate, si ha davvero l'impressione di guardare un film di un secolo fa - sia nella ricerca del linguaggio dei due protagonisti: Robert Pattinson parla un inglese antico con accento contadino, Willem Dafoe sembra invece uscito direttamente dalle pagine di Moby Dick, con una pronuncia e un lessico irresistibili e marinai.
Nell'incontro che si è svolto in sala alla fine della proiezione con il regista e gli attori, Robert Eggers ha tenuto a precisare che il faro di The Lighthouse è stato interamente costruito da zero: la produzione non è riuscita a trovare un faro di quell'epoca funzionante e agibile e ha deciso quindi di ricostruirlo secondo i dettami della sceneggiatura.
Un vero e proprio faro in pietra a grandezza naturale, con gli edifici accanto che fungono da casa e da capanno degli attrezzi.
Il faro - la "the lighthouse" del titolo - e le costruzioni ad esso collegate, sono a tutti gli effetti gli altri protagonisti del film: custodi di misteri e di apparizioni, di oggetti lasciati in eredità dai lavoratori precedenti e di sinistre e soprannaturali presenze.
La "casa della luce" è claustrofobica e costringe i due protagonisti a vivere i momenti che passano insieme quando i turni di notte e di giorno si incrociano al mattino e alla sera a strettissimo contatto: al tavolo, nella stanza da letto.
Gli spazi in The Lighthouse sono ridotti e si riducono pian piano anche le distanze tra i due, con lampi improvvisi di violenza verbale e fisica e riappacificazioni alcoliche, canterine e danzerecce.
[Regista e protagonisti di The Lighthouse sul palco dopo l'anteprima mondiale a Cannes]
Per Eggers e per il suo direttore della fotografia Jarin Blaschke - coppia già presente nel film precedente del regista - gli spazi angusti di The Lighthouse non diventano una limitazione, ma anzi si trasformano in un'occasione per comporre il quadro con le ombre e con i cambi di luce, creando solchi nei volti degli uomini già provati dalla fatica, inventando zone nascoste e buie e mettendo gli attori spesso al limite di questo particolare "quadrato" cinematografico, spingendoli sul bordo e rivelando così visivamente ciò che lo script sta raccontando.
Ephraim Winslow (Pattinson) e Thomas Wake (Dafoe) sono due figure esili e potenti insieme: scavati in viso e con gli occhi guizzanti, il confronto tra loro due è immediato e al centro del racconto dall'inizio alla fine.
C'è spazio anche per la risata, in The Lighthouse: gli scambi tra i protagonisti a volte diventano così esagerati da risultare comici, la loro fisicità e i loro movimenti danno a volte luogo a momenti di vero e proprio slapstick e spesso il montaggio gioca con gli stacchi passando di colpo da una situazione al suo opposto, scatenando nello spettatore una reazione divertita.
Ma generalmente nel film c'è ben poco da ridere.
La mitologia degli oceani si incrocia con la merda - letteralmente - e i due personaggi sono intensi, spinti al massimo e teatrali nelle intenzioni e nella resa.
Il gioco degli opposti guida il film: il nero e il bianco, il bene e il male, la pece nera e la pietra bianca, in un crescendo tensivo che arriverà al suo culmine con un'esplosione di brutalità impressionante.
In The Lighthouse Pattinson e Dafoe si sfidano a colpi di bravura, e laddove il "vecchio" si trova perfettamente a suo agio nei panni di un despotico emulo del Capitano Achab con tanto di pipa e di tradizioni marinaie da rispettare, il "giovane" può dare sfogo a una gamma di espressioni e reazioni che, molto probabilmente, nella propria filmografia non aveva ancora avuto modo di dare.
Il suo Winslow è più che tormentato, come Wake ha qualcosa da nascondere legata al suo passato, un qualcosa che lo angoscia e che lo ha reso ciò che è: un uomo che lavora duramente - Eggers e il fratello hanno scritto una sceneggiatura che pone gli attori in condizioni fisiche a volte davvero proibitive - e che non ama socializzare nemmeno per un brindisi, che si procura piacere masturbandosi furiosamente, anche se con quel gesto non sembra volersi dare gioia quanto invece sembra volersi punire.
La fermezza di Wake nel proibirgli l'accesso al punto più alto del faro è qualcosa che lo ossessiona e che lo cambierà, giungere alla sorgente di quella luce intensa che ammalia e affascina e che, forse, è qualcosa di più di ciò che sembra, diventerà per lui una missione.
The Lighthouse ci regala visioni orrifiche mescolate con suggestioni hentai, la follia che si insinua lenta e che continua a gonfiarsi, il vento e la pioggia che diventano personaggi anch'essi e che travolgono con la loro impetuosità questo racconto gotico, affascinante e magnetico.
Lasciandoci infine con più domande che risposte, con una sensazione di smarrimento e di sconfitta davanti ai titoli di coda che scorrono mentre ci troviamo a pensare se tutto ciò che abbiamo visto sia stato reale o immaginato e se l'alienazione e la pazzia hanno avuto ragione dei protagonisti oppure di noi.
Ma con una certezza, granitica: la convinzione di aver visto con The Lighthouse l'opera di un nuovo autore che ha tantissimo da dire e sa dirlo con personalità e passione, con un gusto e un amore per il Cinema che raramente si ritrovano altrove e con un'indubbia maestria nel dirigere i propri attori, riuscendo a ottenere esattamente ciò che vuole da loro, pur sottoponendoli a performance difficili e faticose.
Robert Eggers è a mio avviso un cineasta da seguire, uno che lavora sul genere horror come andrebbe fatto e come si faceva una volta, cesellando storie che agiscono sul nostro inconscio e su ciò che non vediamo, che parlano e bisbigliano nelle nostre teste con voci e linguaggi antichi e capaci di trasmettere malvagità, inventando immagini che difficilmente si possono dimenticare e che colpiscono i sensi più della pancia, che incantano e inorridiscono insieme; storie dove non c'è speranza, non c'è redenzione, non c'è perdono.
Nella speranza che la sua audacia possa essere fonte di ispirazione per altri, perché con The VVitch e The Lighthouse il suo Cinema si dimostra essere qualcosa di cui molto probabilmente, oggi, abbiamo un bisogno terribile.
"God who hear'st the surges roll,
Deign to save the suppliant soul"
1 commento
Dav 9000
4 anni fa
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