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The Last Showgirl - Recensione: il corpo politico di Pamela Anderson

Gia Coppola dirige un film di rivalutazioni e rivelazioni sul successo e sulla ricerca di sé 

The Last Showgirl è il nuovo film di Gia Coppola con Pamela Anderson, Jamie Lee Curtis e Dave Bautista, distribuito nelle sale italiane da Be Water e Medusa Film. 

 

Dopo Palo Alto e Nessuno di speciale, la regista torna sullo schermo con un film estremamente interessante che rielabora la tematica dell’ossessione per il successo e, al tempo stesso, riflette in senso politico sul corpo della donna.

 

[Il trailer ufficiale di The Last Showgirl] 

 

 

Da trent’anni Shelley (Pamela Anderson) lavora per le Razzle Dazzle di Las Vegas, un gruppo di showgirl impegnate in grandi spettacoli scenografici culminanti in esibizioni di spogliarello.

 

La notizia dello scioglimento della compagnia coincide con la fine del suo sogno: Shelley ha ormai 57 anni e, privata di un ruolo che ha ricoperto per tutta la vita, si trova costretta a riflettere sulla fragilità economica del suo futuro, scontrandosi con le esigenze attuali dello show business e elaborando il senso di colpa per aver lasciato sua figlia (Billie Lourd) crescere con genitori adottivi. 

Intorno a lei gravitano come meteore alcune giovani colleghe (Brenda Song e Kiernan Shipka) e un’amica di vecchia data (Jamie Lee Curtis) che, molto prima di lei, ha deciso di porre fine alla sua carriera nel mondo dello spettacolo diventando una casino waitress. 

C’è poi un uomo (Dave Bautista) che dirige da anni lo spettacolo delle Razzle Dazzle e che è dunque vicino alla crescita di Shelley fin dagli albori.

 

L’intera esistenza della protagonista dipende dalle scelte lavorative che ha compiuto: sposatasi in giovane età, avrebbe potuto seguire il marito a New York entrando in promettenti compagnie di danza e intraprendendo un percorso di studi fondamentale per la sua carriera da ballerina. 

 

Eppure, affascinata dalle piume, dai lustrini dei costumi e dai set di uno spettacolo in cui continuava a essere in prima fila, non è mai riuscita a abbandonare quell’idea di futuro.

 

 

[Una scena di The Last Showgirl]

 

 

Proprio l’illusione del successo è uno dei temi centrali di The Last Showgirl: un concetto che è stato approfondito enormemente nel Cinema e che, tuttavia, Gia Coppola riesce a rimaneggiare con originalità e intuizione. 

 

Nel film infatti l’idealizzazione del futuro è strettamente collegata all’attesa di un riconoscimento poiché Shelley passa la sua vita aspettando di essere premiata.

È un riscatto che desidera profondamente soprattutto dal momento che, per diventare veterana delle Razzle Dazzle, ha rinunciato al suo futuro di madre, scegliendo lo show come sua unica ragione di vita. 

Al tema dell'utopia si lega quello del sogno infranto e dunque la delusione scaturita dalla spietatezza di un mondo che inghiotte e rigetta in base ai cambiamenti del pubblico e della società più in generale.

 

Allo stesso tempo, la protagonista di The Last Showgirl non riesce a guardare al passato con riluttanza. Nonostante lo sfruttamento, l’oggettificazione del suo corpo, la condizione di solitudine e alienazione sociale in cui si è ritrovata senza rendersi conto, Shelley non può abbandonare la bella e sensuale ventenne che era stata negli anni del suo debutto. 

Lo spettacolo delle Razzle Dazzle - ormai ridotto più che altro alla rilevanza locale, visto il suo anacronismo - è per lei una figura genitoriale. 

 

Per questo, con gli occhi luccicanti di una figlia piena di ammirazione e orgoglio, rimane affascinata da un ricordo che sembra rivivere ogni volta che si prepara freneticamente per salire sul palco.

 

 

[Jamie Lee Curtis in The Last Showgirl]

 

 

La fine di questa illusione dà modo a Coppola di mettere in luce uno degli aspetti più interessanti di The Last Showgirl, cioè il processo di consapevolezza della protagonista e la ricerca della sua identità.

 

Quella di Shelley di fronte alla dissoluzione della sua carriera nel mondo dello spettacolo è una rivelazione a 360 gradi.

La protagonista di The Last Showgirl sfiora la rivalutazione completa del mondo che ha sempre ammirato: critica aspramente la superficialità dell’industria dello spettacolo moderna, e tuttavia si rende gradualmente conto di essere stata parte dello stesso sistema e, anzi, di dovere i suoi trent'anni di carriera proprio all'apparente frivolezza femminile di cui è sempre stata simbolo, ma la rivelazione scatta a mio avviso anche da un punto di vista politico. 

 

Come accennato, Shelley è legata a due giovani ballerine che, in barba alle aspettative dei propri genitori, sono fuggite a Las Vegas con la prospettiva di diventare famose. 

Shelley, che non è mai stata madre, si trova con avversione a dover ricoprire per loro un ruolo materno. Osserva il loro isolamento, che è il suo medesimo, con una grande diffidenza, accettando con fatica l’abbandono sociale a cui tutte quante, lei compresa, sono destinate per sempre. 

Ciò emerge con ancora più forza attraverso il personaggio di Annette, l’ex ballerina amica di Shelley. 

 

Abbandonata ai piaceri dell'alcol e del gioco d'azzardo, per sopperire alla sofferenza causata dai suoi desideri andati in fumo, Annette - come Shelley - è una donna di fine anni ‘60 cresciuta in epoca reaganiana, ormai annegata nelle speranze di una vita di lusso, libertà e indipendenza.  

In The Last Showgirl Shelley e Annette non sono mai state protette, piuttosto lo Stato e l’industria le hanno sfruttate e prosciugate, distraendole con il luccichio dei costumi e il calore della platea e abbandonandole al loro destino vuoto.

Così le due ballerine non sono solo rimaste senza lavoro, ma sono sempre state senza alcuna speranza di una stabilità economica. Hanno cioè perso, fin dal principio, un diritto fondamentale e imprescindibile: la dignità umana.

 

Allo stesso modo anche Eddie si rende conto di dover pensare al lavoro in termini di pensione e assistenza sanitaria, sperando di poter concludere il suo percorso professionale senza finire sul lastrico.

 

 

 [Dave Bautista in The Last Showgirl]

 

 

The Last Showgirl è dunque un film profondamente ricco di tematiche approfondite con sensibilità e accortezza. 

 

Soprattutto è un film in cui nessuna scelta è casuale, a partire dal cast che proviene interamente da quella categoria di interpreti male impiegati e relegati spesso alla copertura dei soliti ruoli nel Cinema hollywoodiano. 

Jamie Lee Curtis, scream queen per eccellenza, ha subito una profonda rivalutazione solo di recente, così come Dave Bautista che, accantonata la sua esperienza in WWE, si è dedicato al Cinema ottenendo risultati di critica e di pubblico piuttosto positivi. 

 

Marianne e Jodie, le due giovani ballerine del Razzle Dazzle, sono interpretate da Brenda Song e Kiernan Shipka: la prima un’ex-star di Disney Channel (London Tipton in Zack e Cody al Grand Hotel) e la seconda divenuta estremamente nota al grande pubblico per la sua interpretazione nel 2018 nella serie TV Netflix Le terrificanti avventure di Sabrina.  

 

Dunque è chiara l’intenzione di Gia Coppola di porre al centro dell’attenzione un preciso gruppo di professionisti per rimarcare un messaggio il cui simbolo è, senza alcun dubbio, la scelta di Pamela Anderson come protagonista, l’attrice-stereotipo di Baywatch.

 

 

[La splendida Pamela Anderson in The Last Showgirl]

 

 

The Last Showgirl infatti è in fondo anche un’operazione metacinematografica che costruisce una narrazione intorno al retroscena favorendo la simbiosi tra attore/persona e personaggio.

 

Un po’ come Mickey Rourke in The Wrestler o Brendan Fraser in The Whale, Anderson è il fulcro centrale dell’attenzione dello spettatore: la sua sorprendente bravura, unita all’insolito protagonismo scenico, porta il pubblico a un vero e proprio godimento durante la visione, perché il riscatto - nel Cinema e nella vita reale - è sempre un elemento di grande attrattiva. 

Privata finalmente dell’etichetta di sex-symbol degli anni '90, Pamela Anderson fiorisce grazie alla sua straordinaria interpretazione, mettendo in mostra il suo volto bergmaniano, asciutto e struccato. 

Imposta la recitazione su un tono squisitamente naïf, aiutata dalla sua caratteristica voce che dà al personaggio di Shelley un aspetto ancora più trasognato. 

 

Con The Last Showgirl il corpo di Pamela Anderson diventa politico, capace di raccontare una storia di illusione, successo e redenzione. Una storia che è anche la sua storia di attrice, il cui corpo ha invece da sempre rappresentato unicamente la carnalità femminile. 

Forse per questo motivo Coppola decide di lasciare da parte lo spettacolo in sé, evitando di mostrare danze di corpi femminili sensuali e provocanti. 

Al contrario, per esempio, di The Substance - simile a The Last Showgirl per tematica - in cui invece Margaret Qualley è volutamente enfatizzata da un punto di vista sessuale. 

 

La regista preferisce proteggere l’apparenza di Anderson e del resto del cast femminile, ma più che altro predilige l’aspetto più intimo e sociale delle loro esistenze senza contribuire ulteriormente allo sfruttamento della loro immagine stereotipata.

 

 

[Una scena di The Last Showgirl]

 

 

L’atmosfera di The Last Showgirl è ben bilanciata dalle scelte stilistiche compiute: una regia sporca e minimalista e tuttavia lievemente illuminata con l’enfasi sui colori dell’azzurro, del rosa, dell’oro e dell’argento.

 

Significativo anche il gioco continuo con la profondità di campo e l’utilizzo di lenti anamorfiche e della pellicola 16mm che rendono l’intero ambiente come frutto di un sogno; infine la massiccia presenza di specchi, elementi notoriamente legati alla rappresentazione del dualismo del personaggio sullo schermo. 

Nel suo film Gia Coppola inserisce dunque una narrazione piuttosto canonica all’interno di una struttura visiva elegante che trasuda una struggente malinconia: punta i riflettori sull’anima della protagonista, illuminando le sue capacità attoriali e allontanando la sua immagine da superflue classificazioni. 

 

Con The Last Showgirl la figura di Pamela Anderson diventa l'emblema di una generazione vittima di un abbaglio, aggrappata all’inganno di una promessa impossibile: l’idea che esista una vita eterna al di là del sipario.

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