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Presentato allo Sguardi Altrove Women's International Film Festival 2025 dopo un primo passaggio alla Festa del Cinema di Roma, Ogni pensiero vola dirige il suo occhio documentario verso il Centro diurno di un'ASL romana.
Nel Centro convergono tanti e tante giovani, tante storie di sofferenza e di fluttuazioni identitarie; e dalla sofferenza, di quando in quando, spuntano nuove relazioni.
Una di queste vede impegnata l'ultima arrivata: d'un tratto, tra i e le giovani compare infatti una quasi coetanea che si aggira dentro e fuori dal Centro, che non si presenta mai (allo spettatore), della quale non vediamo il volto ma di cui sentiamo occasionalmente la voce.
Il suo nome è Alice Ambrogi, e fa la regista; è – anzi – la regista del documentario che stiamo guardando e che si manifesta come banco di prova per la relazione instauratasi. La relazione il cui polo è occupato da Ambrogi è propriamente una prospettiva, un sguardo esercitato sul Centro, su chi vi gravita attorno e sui perché che scandiscono quest'orizzonte.
Questo sguardo è, soprattutto, uno sguardo di vicinanza.
[Un frame da Ogni pensiero vola]
Inserito nella sezione #FrameItalia, Ogni pensiero vola si colloca tra gli attori sociali e tenta di gettare luce su un contesto come quello del Centro, che davvero appare come un centro nevralgico e non come un confine arbitrario.
L'incontro di Ambrogi coi protagonisti dipende dal Centro – che ha commissionato il lavoro – ma da questo non si fa schiacciare; i ragazzi e le ragazze con cui interagisce non sono pazienti, le loro esperienze possono eccedere la dimensione patologica e patologizzante.
In concreto, ciò significa – a mo' di esempio – che il set oltrepassa l'ASL, talora approdando alle abitazioni private, e che i binari (di discussione, di visione) non sono troppo stretti, il che – va detto – non è affatto poco.
In questa direzione il nostro incontro coi protagonisti consta prevalentemente di interviste, perlopiù individuali: Ambrogi ricorre di frequente alla macchina a mano, alla sua (presunta?) vicinanza fremente, raramente interviene e spesso insiste su primi e primissimi piani.
Gli attori sociali raccontano così le proprie storie, si aprono e aprono il retroterra delle proprie esperienze, anzitutto identitarie.
Il campo è – ma bisognerà intendersi – quello (auto)biografico.
In parallelo, con una camera che si fa fissa e che continua a prediligere le sessioni individuali, Ambrogi si interessa anche al personale del Centro e agli esperti, a un punto di vista esperto che effettua descrizioni con ovvio distacco analitico.
Ma Ogni pensiero vola non si esaurisce nelle due serie di interviste, che pure svettano: non sono pochi i frangenti che mostrano riunioni e attività di gruppo, oppure – più di rado – che si appoggiano a riprese amatoriali realizzate dagli stessi giovani.
Dei momenti flirtano direttamente con la fiction, con la messa in scena smaccata, e permettono, come in chiusura, di esplorare soluzioni tecniche più audaci (e liriche).
Tolti degli inserti che provano a dinamizzare in modo spesso gratuito, questa terza serie (certo eterogenea, e unificata solo per opposizione) insiste principalmente su uno spazio comunitario che rimane associato al Centro, luogo di aggregazione più che – in questi termini, e prendendo il concetto nel suo significato più forte – istituzione.
Ma cosa ha dunque il compito di proiettare fuori dal Centro, considerato come Ambrogi non abbia in vista un'indagine strutturale, istituzionale?
Certo i racconti dei ragazzi e delle ragazze, che illuminano un mondo fatto di trame inter-generazionali e intra-generazionali, tra la casa e la scuola, e che cercano di andare oltre il piano dell'autobiografismo più sterile – questione assai delicata.
Al contempo, tuttavia, alcuni di loro e, soprattutto, gli esperti puntano verso una lettura sistemica, parlando di classismo come di identità di genere, di salute mentale come delle condizioni del SSN.
[Un frame da Ogni pensiero vola]
Ogni pensiero vola si regge sull'articolazione di queste tre serie e sulle differenti strategie estetiche che le animano.
Ambrogi sembra voler circoscrivere uno sguardo che sappia evocare tanto una compartecipazione quanto un allargamento, anzitutto al di là dell'ombra in cui un contesto come quello del Centro, assieme ai suoi abitanti più o meno temporanei, si trova abitualmente relegato.
Questo scopo primario, che oltrepassa una logica di vittime e pazienti, può dirsi raggiunto, almeno per la maggiore e con un poco di fatica, dacché l'accompagnamento musicale e numerosi inserti – specie quelli finzionali – propongono una strutturazione emotiva sin troppo tradizionale, che forse si vorrebbe naïf ma che corre il rischio di depotenziare la vicinanza autentica.
In questo senso, menzionati i residui deleteri, va ribadito che Ambrogi si lancia sì anche in direzione di una rottura formale, e che però questa risulta poco efficace; soprattutto, tradisce – come nel montaggio del finale – la mancanza di un disegno organico, ossia di un ripensamento esteticamente radicale delle condizioni di visione di chi è invisibile.
Tale ripensamento estetico però, se si intende radicalmente l'estetica, non riguarda la sola forma.
Riguarda anche il suo interfacciarsi coi discorsi che il film intreccia; infine, riguarda i problemi nell'articolazione delle tre serie, a causa di cui il livello sistemico – prendendo ora il sistema come qualcosa di più profondo del contesto storico-storiografico – rimane poco approfondito, più giustapposto che messo davvero in relazione.
In più di un'occasione, un simile livello pare soccombere sia alla volontà di Ambrogi di scartare soltanto nei margini sia, quando il confronto è con la marginalità – quella sì – pressante, al pur fondamentale raccoglimento di testimonianze.
Lo sguardo di Ogni pensiero vola si rivolge effettivamente altrove, e quelle testimonianze sono preziose, ma la loro discorsivizzazione (che è poi lo sguardo radicalmente est-etico) non lo rivela come una prospettiva nuova, nemmeno nel (come del) suo collocarsi tra i e le giovani.
Rivela semmai le intenzioni apprezzabili e il coraggio di una giovane regista a cui non rimane, dall'impegno relazionale, che affinare e radicalizzare la propria ricerca di vicinanza.
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