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Girasoli - Recensione: l’amore è una follia meravigliosa

L'esordio alla regia di Catrinel Marlon è un dolente e appasionante viaggio nelle profondità di menti distorte, cuori spezzati e anime perse fra le desolanti mura di una delle tante Case dei Matti dove solo l'amore, così come un girasole, può sperare di sopravvivere

Girasoli è un film diretto da Catrinel Marlon e presentato nella sezione #FrameItalia di Sguardi Altrove Women's International Film Festival 2025.

 

Vi è un pizzico di follia in un film come Girasoli. Forse più di un pizzico.

Non tanto perché proprio di follia l’intenso esordio registico di Catrinel Marlon sembra in superficie volerci parlare, quanto piuttosto perché bisogna davvero essere discretamente folli a voler realizzare un film del genere.

 

Un film sui generis verrebbe da dire; un film che, per altro, di genere non lo è nemmeno un po’.

 

[Il trailer di Girasoli]

 

 

In un’epoca dominata da prodotti sempre più magniloquenti nelle loro aspirazioni – così come pure titanici nelle loro sempre più inconcepibili durate – un’opera piccola piccola come Girasoli riesce mirabilmente a condensare in appena 90 snelli ma densissimi minuti un crogiolo di spinose tematiche che ben pochi titoli, ancor meno sedicenti “autori”, possono vantare di saper maneggiare con la dovuta maestria e cautela.  

 

Un titolo importante, Girasoli.

Verrebbe da dire decisamente ingombrante, malgrado la natura estremamente minimale che lo caratterizza dentro ma soprattutto fuori. 

 

Un titolo che, non a caso, sembra richiamare alla mente cinefila quei ben altri e alti Girasoli grazie ai quali un crepuscolare seppur ancora ispiratissimo Vittorio De Sica ci aveva già fatto ben comprendere quanto la ricerca dell'altro, indipendentemente dalle distanze geografiche che ci separano, costituisce da sempre il motore stesso dell'esistenza umana.

 

 

[Gaia Girace è la timida e spaurita luce chiamata a rischiarare le folli tenebre di Girasoli] A

 

 

Così come nell'Odissea on the road in terra slava coraggiosamente intrapresa nel 1970 da un'intrepida Sophia Loren, anche per la giovane protagonista di questa egualmente avventurosa – e quasi omonima –  epopea negli altrettanto sperduti luoghi del cuore e della mente il processo di ricerca non potrà che finire per somigliare sempre di più a una vera e prorpio (ri)scoperta di ancor prima che del fantomatico altro.

 

Quell'altro che, in fin dei conti, nulla è se non lo specchio, a volte distorto ma comunque veritiero, di ciò che siamo, che forse saremo o che, al peggio, avremmo potuto essere.

 

Se dovessimo, dunque, pensare a un modo efficace per descrivere la natura profonda di un film come Girasoli, a dispetto del suo arboreo titolo il modo migliore di figurarselo sarebbe, forse, alla stregua di un buco nero: la massima densità di contenuto possibile racchiusa nel minimo volume necessario.

 

 

[Mariarosaria Mingione è uno dei tanti Girasoli appassati all'ombra di una temibile Casa dei Matti] A

 

 

Così come un qualunque fenomeno astronomico che esiste al di là dell’effettiva capacità di osservalo e documentarlo, l’opera prima di Marlon risulta vera ben al di là dell’eventuale cronaca alla quale indirettamente afferma di volersi ispirare.

 

Un racconto che vive piuttosto di amore, di resilienza nonché di quella pura e semplice (dis)umanità rinchiusa – più che racchiusa – fra le fredde e decadenti mura di una delle tante “Case dei Matti” che innumerevoli sogni e intere vite hanno precocemente spezzato prima all’entrata in vigore di quella - letteralmente - liberatoria Legge Basaglia del 1978.  

La delicata e al contempo spietata fabula di Girasoli nasce e si sviluppa, tuttavia, ben prima di questa fatidica data; trasportandoci piuttosto in quel limbico 1965 ancora per lo più dominato da un oscurantismo clinico attraverso il quale ogni forma di devianza dal rigido e dogmatico status quo veniva considerata indice di autentica “idiozia” e, pertanto, "curata" attraverso il contenimento e la segregazione.

 

È infatti nel decadente istituto psichiatrico partenopeo di Santa Teresa di Liseaux che la giovane orfana Lucia (Gaia Girace) verrà inviata, quale merce di scambio alla base di un non meglio specificato do ut des, con il compito di aiutare - o meglio: servire - un variegato entourage medico perennemente sul piede di guerra nel decidere quale sia il miglior approccio attraverso il quale tentare di “aggiustare” un nutrito manipolo di poveri e disgraziati bambini rotti.

Giovani anime abbandonate a loro stesse e alle proprie turbe mentali; alcune delle quali drammaticamente reali e altre, invece, inconsapevolmente indotte o, piuttosto, erroneamente diagnosticate. 

 

Gettata senza troppe premure né complimenti all’interno di questa disperata fossa dei leoni – che pure pare così inquietantemente simile alla dantesca Fossa dei serpenti mirabilmente filmata a suo tempo da Anatole Litvak – sotto il dispotico sguardo di un’arcigna suora senza nome (Dora Romano) e di un'altrettanto melliflua collega (Angela Ciaburri), la timida e spaurita co-protagonista di Girasoli si ritroverà tuttavia ben presto nel mezzo di un vero e proprio fuoco incrociato fra due differenti mentalità – ergo sensibilità – tramite le quali concepire e, di conseguenza, professare la complessa arte della psichiatria.  

 

 

[Monica Guerritore incarna il futuro del metodo clinico basato non più sulla costrizione ma sul dialogo] A

 

 

Da un lato della barricata troviamo infatti l'inflessibile e tradizionalista dottor Oreste Gentile (Pietro Ragusa) che, a dispetto del proprio ingannevole cognome, pare piuttosto un accanito sostenitore dell’inibizione dei disturbi cognitivi tramite massiccia terapia farmacologica.

 

Al confine opposto, a far sentire gagliardamente la propria anticonformistica voce, si colloca invece l’agguerrita dottoressa Marie D’Amico (Monica Guerritore): pioniera del metodo dialogico attraverso il quale considerare  il paziente non un più un mero irrecuperabile malato, quanto piuttosto un comune individuo da interrogare circa la propria sofferenza così da condurlo per mano verso una ben più che probabile guarigione. 

Umano (s)oggetto di questa clinica contesa pare essere la melanconica ma, a tratti, assai incontenibile Anna (Mariarosaria Mingione): vera e propria Ragazza interrotta dal misterioso quanto traumatico passato; prossima ad abbandonare un’adolescenza tutt’altro che felice – vissuta quasi interamente fra le deprimenti mura di questa prigione di anime ancor prima che di corpi – per entrare, suo malgrado, in una maturità il cui orizzonte non appare certo così roseo. 

 

Quella maturità che, così come ben chiarificato da quel simpatico “toccato da Dio” da tutti conosciuto come Aquila (Federico Citracca), non può che condurre a un fondamentale quanto imprescindibile bivio: da una parte il tanto favoleggiato Reparto 90, nel quale "o si diventa girasoli oppure si viene portati via", dall'altra, invece, il temibile Reparto 17, nel quale alberga solamente l'orrore puro e semplice. 

 

Vi è dunque un'unica certezza alla base della mitologia di Girasoli: ovvero che, comunque lo si consideri, "crescere vuol dire morore".

Morire dentro.

 

Morire nel proprio animo così come tra le sbarre di una prigione mascherata da ospedale; i cui innocenti e inconsapevoli occupanti sono per lo più "colpevoli" di essere venuti al mondo sì come Dio li ha fatti, ma non certo così come quello stesso mondo li avrebbe voluti.

 

 

[Pietro Ragusa, gelido e autoritario alfiere del metodo farmacologico, incarna la perturbante doppia natura di padre e terapeuta] A 

 

 

Se tuttavia giunti sin qui vi foste fatti l'erronea idea di un enneismo ruffiano svolazzo su quel nido del cuculo nel quale la diversità diviene intuitivo e, almeno in parte, stucchevole sinonimo di cristoloigco sacrificio, sappiate che Girasoli è un film capace di ben altre e alte cose. 

 

Un film che si fa forza nel mostrare - laddove invece il buon Miloš Forman si limitava saggiamente a suggerire, almeno sino al tragico finale del suo pluripremiato capolavoro – la gratuita e ottusa crudeltà perpetrata ai più deboli di mente, di corpo e soprattutto di spirito.

Quella crudelità che un maestro come Marco Bellocchio – certamente rimasto folgorato dalla straziante cronaca espressionisticamente neorealista dello scioccante Titicut Follies di Frederick Wiserman – aveva già saputo catturare con l'implacabile occhio documentario di Matti da slegare così come attraverso lo sguardo più propriamente cinematografico del "blasfemo" L'ora di religione.

 

Al di là tuttavia di questa impietosa cronaca dedicata alle brutture e storture delle pratiche cliniche all'ombra di istituti d'igiene mentale quanto mai simili a vere e proprie bolge infernali – o, per dirla alla maniera scorsesiana, ad autentiche Shutter Islands – Girasoli è in primis il racconto di un amore.

 

 

[Gaia Riace e Mariarosaria Mingione sono le due vere anime perse destinate a incontrarsi in questo desolante campo di Girasoli] A 

 

 

Un amore bellissimo nato in seno a un luogo decisamente brutto; dal quale solo cose altrettanto butte paiono poter fuoriuscire.

 

Così come ricorderà l'ingenua seppur istintiviamente saggia Lucia alla sua nuova compagna di sventure: "non bisogna mai dare troppo retta alle cose brutte, perché altrimenti si finisce per farle queste brutte cose". 

 

Amore, dicevamo.

L'amore di un'orfana per altri orfani; ciascuno di essi prigioniero di nevrosi, ossessioni, compulsioni o di un qualcosa di altrettanto invalidante come la pura e "semplice" depressione

Il paterno seppur distorto amore di un medico per la propria paziente; cresciuta alla stregua di una figlia ma pur tuttavia considerata qualecavia di un pericoloso e non del tutto disinteressato esperimento.

 

Oppure, a ben vedere, anche l'amore materno di una terapeuta per la propria protetta; considerara non quale semplice oggetto di studio ma bensì umano exeplum di come la follia, un po' come l'amore stesso, non sia altro che una questione di punti di vista.

 

 

[Tre donne, tre generazioni e tre diversi modi di affrontare la vita sono il cuore pulsante della bellissima fiaba di Girasoli] A 

 

 

Ciò che tuttavia rende Girasoli un film potente e coraggiosamente sfacciato – oltre che indubbiamente sfaccettato – risiede interamente in quell'amore profondo, spontaneo, gratuito e viscerale che finirà per unire i cuori e i destini di due anime perse come quelle di Anna e Lucia.

 

Un iniziale sentimento di complicità, amicizia e comunanza di vissuti – oltre che di patemi – che finirà tuttavia per trasformarsi gradulmente in qualcosa di ben più prezioso e, almeno ai ristretti occhi di una moralità ancora presantemente soffocata dal peso del dogma, decisamente proibito

Considerare Girasoli come un semplice ménage a deux sarebbe in verità assai riduttivo: è la coralità la vera spina dorsale di una narrazione che, seppur coagulata attorno al profondo legame fra due cuori a loro modo spezzati ma desiderosi di ripararsi vicendevolmente, trova il proprio ampio respiro in un mosaico di vite vissute che proprio dal tumultuoso fiume della vita paiono essere state travolte. 

 

Individualità ammaccate se non addirittura recise: piantate nel dissestato terreno dell'esistenza come, per l'appunto, Girasoli in un campo e come tali costretti a inseguire il sole di una seppur flebile speranza necessaria più che mai a (soprav)vivere. 

Psicologie e caratteri finemente – seppur solo superficialmente – tratteggiati, sui quali tuttavia la penna e l'obiettivo di Marlon non sembrano volersi troppo soffermare; allo scopo di conferire alla narrazione una portata universale  così come nella più pura tradizione dei racconti morali. 

 

Liquidare un'opera come Girasoli etichettandola come essenziale se non addirittura vuota sarebbe un imperdonabile errore, così come deprecabile sarebbe confondere la sua natura così fieramente  libera e indipendente con le più comuni limitazioni di una qualunque anonima produzione televisiva. 

Girasoli è infatti una piccola opera assai fiera di esserlo.

Un film secco, diretto e senza mezzi termini che non siano quelli atti a farci percepire l'intenso e appasionante pulsare del proprio limpido cuore.

Un cuore che batte si al tempo dei sentimenti ma senza retorica o facile patetismo; preferendo far parlare le immagini e, con esse, gli sfaccetatissimi personaggi che le abitano.

 

Personaggi che, grazie all'acutissima penna della stessa Marlon – condivisa con Francesca Nozzolino  Heidrun Schleef – riescono a infondere calore umano e, contemporaneamente, sufficiente freddezza filmica per farci comprendere come, se è vero che il Cinema stesso è una sorta di follia, allora bisognerebbe essere folli a non considerare un film come Girasoli allegorica rappresentazione di quanto l'amore, spesso e volentieri, sia per l'appunto nient'altro che una meravigliosa quanto corroborante follia.

 

[articolo a cura di Matteo Vergani]

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