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Black Mirror è una serie particolare, che sta subendo un destino altrettanto particolare.
Nata dalla mente di Charlie Brooker e partita praticamente in sordina nel dicembre 2011 su Channel 4, la serie che ci mette di fronte al nostro malato rapporto con la tecnologia e illustra delle pessimistiche strade possibili per il nostro futuro, è stata acquistata da Netflix dalla terza stagione in poi.
L'ultima stagione finora trasmessa - la quarta - ha deluso molti fan, che lamentano il fatto che la serie si sia ammorbidita e che abbia perso quello sguardo cinico e disilluso per lasciare spazio a storie più family friendly e lontane dal tema principale: lo "specchio nero" del titolo non è altro che lo schermo spento di un computer, di uno smartphone, di un tablet e di una televisione a schermo piatto, ciò in cui ci riflettiamo fisicamente appena prima o appena dopo aver interagito con i nostri device e ciò in cui riflettiamo il nostro Io e il nostro Es sui social network, sulla rete, dandoci spontaneamente in pasto agli algoritmi col sorriso.
Black Mirror: Bandersnatch è stato promosso come film interattivo.
I meno giovani di voi ricorderanno una serie di libri usciti tra gli anni '80 e gli anni '90 chiamata LibroGame: una collana che toccava vari generi, fantascienza, thriller, horror, fantasy, in cui il lettore poteva scegliere diverse strade da far percorrere al protagonista.
Ogni strada, un racconto diverso.
Ogni scelta, un diverso finale.
Il film prodotto da Netflix vuole riportare in televisione questo concetto e ambienta la storia nel 1984, con protagonista un giovane programmatore di videogiochi che sviluppa un gioco interattivo preso da un libro che tanto assomiglia, appunto, ai LibroGame.
E la scelta registica di mostrare spesso delle soggettive del protagonista immedesima ancora di più lo spettatore.
Bandersnatch ci mette immediatamente davanti a delle scelte, da compiere cliccando sullo schermo una delle due opzioni proposte entro 10 secondi di tempo: le prime due, come si capirà in seguito, sono del tutto inutili ma servono a far entrare nell'ordine di idee chi sta guardando il film, a far capire come si svolgerà "l'esperienza interattiva".
Non cambia molto scegliendo di far mangiare al protagonista un tipo di cereali o un altro a colazione, così come non cambia molto fargli scegliere di ascoltare nel walkman una musicassetta o un'altra.
A parte la colonna sonora, ovviamente.
Il film, scritto come sempre da Charlie Brooker, sceglie subito di farci capire come tutta la storia sia autoreferenziale e i riferimenti alla scelta, al libero arbitrio o alla mancanza di essi si palesa dopo pochi minuti.
I riferimenti però continuano e diventano citazioni vere e proprie di altre puntate di Black Mirror: il nome di un famoso videogioco è METL HEDD e reca in copertina il cane robot di Metalhead (4x04), il videogioco a cui lavora il famoso programmatore Colin Ritman ha un titolo similissimo a Nosedive (Caduta Libera, 3x01) e il simbolo che campeggia lungo tutto il film è lo stesso simbolo che si vedeva in White Bear (Orso Bianco, 2x02).
Già Black Museum, l'ultima puntata della quarta stagione, era una puntata citazionista, ma lì la cosa era giustificata dal racconto.
Qui però si va oltre, e la citazione diventa onanismo.
Il poster di Ubik di Philip K. Dick, romanzo in cui la tecnologia regredisce, e i riferimenti a Pac Man, dove il protagonista è intrappolato in un labirinto dal quale non può uscire e quando riesce a uscire... rientra dall'altro lato, sono ulteriori rimandi alla storia di Bandersnatch.
Continui giochini con lo spettatore che a un certo punto danno l'idea di voler essere presenti per urlarti in faccia che le scelte che stai facendo durante il film non servono a nulla.
E così è.
Il libero arbitrio non esiste, e l'interattività del film è un pretesto per raccontare sempre la stessa storia.
I finali sono molteplici e sono tutti negativi: anche nel caso in cui si riesca a evitare la prigione per Stefan (un ottimo Fionn Whitehead) non si può evitare di farlo impazzire, dopo aver ucciso e fatto a pezzi il padre.
Ma è nel discorso del critico di videogiochi in TV la vera "soluzione" - se di soluzione si può parlare - perché l'autore Charlie Brooker era lui stesso un critico videoludico ed è così che parla con noi: se il critico del film giudica molto bene il videogioco Bandersnatch, allora sapremo di aver fatto delle buone scelte e di aver raggiunto il finale, se invece lo critica negativamente o se addirittura non compare per lasciare spazio a un approfondimento sul destino di Stefan, allora ci toccherà ricominciare.
Nel ricominicare ci si renderà conto che la stragrande maggioranza delle scelte che si compiono non inficiano il risultato, perché in un modo o nell'altro il racconto va dove gli autori vogliono che vada.
Di nuovo, nonostante esistano mille strade e mille vite e mille opzioni, il libero arbitrio non c'è.
Il discorso sarebbe anche interessante e foriero di riflessioni: la stessa esistenza del film Black Mirror: Bandersnatch può far scaturire un discorso sul futuro dell'intrattenimento e sul fatto che paradossalmente andando avanti stiamo tornando indietro.
Una sorta di viaggio nel tempo, come accade ai protagonisti del film.
Purtroppo però, l'occasione viene sfruttata da Netflix per fare della grande e spudorata masturbazione.
Una delle scelte da compiere nel film, infatti, pone a un certo punto lo spettatore davanti a due opzioni: il protagonista si rende conto che le sue azioni sono controllate da qualcun altro e, al limite della paranoia, chiede a voce alta di chi si tratti e che gli dia per favore un segno della sua presenza.
Le opzioni da scegliere sono il simbolo di White Bear e... Netflix.
Scegliendo la seconda opzione si legge sul computer presente nel film un messaggio, come se fossimo noi a scriverlo, che parla di Netflix al protagonista.
Ovviamente lui non ha idea di cosa sia, quindi ecco che il film ci pone subito davanti ad altre due opzioni: possiamo scegliere se "Dirgli di più" oppure se "Provare a spiegare".
La scelta ovviamente non c'è ed entrambe le opzioni portano allo stesso risultato, che è quello di spendere altre due parole in merito a cosa sia Netflix.
La cosa prosegue con il protagonista che davanti alla sua analista spiega che Netflix è "una cosa di intrattenimento del futuro", e scegliendo una delle opzioni successive - passando nel caso anche attraverso a una scelta del tutto fuori dal racconto, che sposta il genere del film verso l'azione e le scazzottate - ci si trova sul set del film stesso.
Sul set di Netflix.
Niente accade davvero, è tutta una finta, tutta un'illusione e tu non stai vivendo quello che credi di vivere, ma sei all'interno di una simulazione dove stai recitando una parte, senza saperlo, e qualcun altro ti fa credere di vivere quella vita.
Già sentito altrove, non vi pare?
Netflix aveva già provato con Il Gatto con gli Stivali, avventura interattiva per bambini, a giocare con il mezzo televisivo tentando di portarlo altrove.
Questa volta decide di rivolgersi agli adulti.
Ma il senso generale dell'operazione secondo me si avviluppa su se stesso al punto di non essere né coinvolgente né appassionante.
Scegliere che strada prendere alla lunga distrae e Bandersnatch resta davvero a metà tra un film vero e proprio e un'avventura videoludica vera e propria: ha degli elementi di entrambe le cose ma non è né l'una né l'altra.
L'interattività è fondamentalmente finta, in breve tempo si riescono a percorrere tutte le strade possibili e ci si rende conto che quelle fuori dal "percorso voluto" portano a conclusioni affrettate e banali.
Era davvero questa l'intenzione?
Farci rendere conto che anche se scegliamo cosa fare in fondo non scegliamo nulla?
Allora, forse sarò vecchio, ma preferisco non scegliere e guardare una storia cercando di carpirne il significato, senza distrarmi e senza pensare a cosa avrei potuto fare e non ho fatto, senza uscire dal racconto ogni 5 minuti, senza vedere un film di Black Mirror che in fin dei conti non è altro che una puntata egoriferita di Netflix che ha tanta voglia di sentirsi dire che sono bravi e originali, e che questo è il futuro dell'intrattenimento casalingo.
"Hanno l'illusione di avere il controllo, ma sono io che decido il finale"
Queste le parole di Stefan rivolte ai videogiocatori di Bandersnatch, ma sono evidentemente le parole di Charlie Brooker e Netflix rivolte a noi.
Perché darci l'illusione dell'interattività se poi dichiari spudoratamente che questa interattività non esiste?
Se lo spettatore deve essere messo al centro del racconto, se davvero si vuole cambiare l'intrattenimento coinvolgendo chi guarda e trasformandolo in sceneggiatore, la strada presa da Bandersnatch è quella opposta, è quella della presa in giro, del divertissement fine a se stesso.
Dichiarato anche dalla dottoressa del film, quando dice
"Vuoi farmi intendere che tutto quello che stiamo vivendo è creato per divertire qualcuno?"
La risposta, a questo ennesimo riferimento metatelevisivo, è ancora una volta "sì".
Ma il divertimento diventa stucchevole in fretta, il giochino è fin troppo palese e tutto il film non regala mai dei veri attimi di tensione o di angoscia o di raccapriccio, e quando finisce l'ultimo percorso disponibile, finisce tutto.
Non fa riflettere, perché è esso stesso una riflessione dichiarata.
Black Mirror perde un'altra occasione per essere quel Black Mirror che non ti mollava per giorni dopo aver visto un episodio.
Che ti faceva preoccupare per i tuoi comportamenti, che ti faceva rivalutare il tuo rapporto con il telefonino e che ti faceva riflettere su quanto fossimo distanti o terribilmente vicini a uno dei futuri raccontati, dove non ce n'era uno che fosse positivo.
Black Mirror: Bandersnatch non lavora in questo modo sullo spettatore e l'unica riflessione possibile è quella sul futuro dell'intrattenimento e su quale strada sia intenzionata a prendere Netflix, nell'anno che sta per arrivare dove probabilmente avrà un film candidato agli Oscar e dove dovrà affrontare la concorrenza di Disney come piattaforma streaming.
Al momento mi pare che la scelta sia esattamente quella lasciata a noi durante il film: una non-scelta.
Un divertimento che finisce subito, per poi pensare al resto senza guardarsi indietro.
Un esperimento fatto per far parlare di sé, una campagna marketing travestita da film interattivo/innovativo, un prodotto che magari farà la gioia dei giovanissimi e di chi preparerà meme e schemini riassuntivi, e che è pensato per essere appositamente acinematografico.
Ed è buffo che Bandersnatch esca il 28 dicembre, il giorno del compleanno del Cinema.
Adesso, però, scusate ma vado a vedermi un film.
Senza decidere niente.
E senza nessuno che, per finta, mi dica che invece potrei farlo.
8 commenti
Teo Youssoufian
5 anni fa
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fabbrii
5 anni fa
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Cristina Viscione
5 anni fa
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Davide Pontis
5 anni fa
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Terence Mambretti
5 anni fa
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Alex Lenoci
5 anni fa
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Space
5 anni fa
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Teo Youssoufian
5 anni fa
Tra l'altro non so tu quanti anni abbia, ma in Italia alla fine degli anni '80 "O Superman" fu colonna sonora di uno spot che sensibilizzava sull'HIV, dove si vedevano le persone infette circondate da un alone viola.
Impossibile dimenticarlo.
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