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Il programma della 36ª edizione del Trieste Film Festival si presenta come ogni anno sfaccettato, ricco di prodotti che si adattano a svariate fette di pubblico.
Oltre ai lungometraggi, cortometraggi e documentari in Concorso (con alcuni titoli disponibili online fino al 27 gennaio su MYmovies ONE), le sezioni collaterali del Trieste Film Festival permettono di approcciarsi ad un tipo di Cinema che altrimenti rimarrebbe chiuso nei propri paesi di origine.
Festival come quello di Trieste sono necessari, oltre che estremamente preziosi, nel tentare di mettere in contatto Occidente e Oriente, nel creare un connubio tra tipi di visioni che ci risuonano famigliari e approcci cinematografici più sperimentali.
La sezione Wild Roses del Trieste Film Festival è focalizzata sulle opere di cineaste dell’Europa centro-orientale: quest’anno è stata dedicata alla Serbia, paese artisticamente florido e ricco di giovani talenti.
La presentazione dei cortometraggi e dei lungometraggi da quest'area geografica si è rivelata l’occasione giusta per evidenziare la penuria generale di registe donne, ma in particolar modo nei paesi protagonisti del festival: la Serbia è sicuramente uno di questi.
La particolarità che accomuna le quattro opere è che tutte sono state realizzate nel periodo in cui le registe erano delle studentesse di Cinema.
Ancora fuori dai circuiti di produzione e distribuzione cinematografica quindi, ma per certi aspetti, tematiche e capacità tecniche estremamente inserite e attuali.
[Teodora Janković in Nikog Gema (2017) di Jelena Gavrilović, presentato nell sezione Wild Roses del Trieste Film Festival]
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Tra i cortometraggi della sezione Wild Roses troviamo Grad di Maša Šarović, Nikog Nema di Jelena Gavrilović, Roze di Tamara Todorović e U Ramenima di Tara Gajović.
Grad racconta una violenza di genere che arriva in modo sottile e si scatena prepotentemente.
Nel corto sembra che la grande città, restituita con toni freddi e sequenze volte a rappresentazioni disordinate e confuse della stessa, sia irrimediabilmente associata ad atti violenti. Come se l’individuo, in questo caso la donna, dovesse in primo luogo difendersi dal proprio paese, dalle istituzioni, da chi la gestisce e tutto il resto fosse un risultato culturale, sociale.
Nikog Nema riflette sulla difficoltà di integrazione che una giovane donna di elevata classe sociale si ritrova a vivere. Il cortometraggio è costellato di silenzi e di primi piani della protagonista, con lo scopo di restituire parte della sua interiorità. La regista non ci rivela quasi nulla del personaggio principale che ha disegnato, che invece conosciamo tramite i suoi sospiri, gli sguardi che riserva agli altri, le parole che non ha il coraggio di dire al suo ex fidanzato.
Anche la protagonista di Roza tende a reclamare tutta la scena per sé, e infatti la macchina da presa è costantemente incollata su di lei. L’opera di Tamara Todorović offre un racconto tutto al femminile sui riti di passaggio disseminati nell'adolescenza. La prima sigaretta fumata, la fase di sviluppo che sembra non arrivare mai, il timore e al tempo stesso la curiosità verso il sesso.
Noi spettatori assistiamo catturati alle vicende di una donna in stato di divenire che non vede l’ora di affrontare la crescita, pur essendone terribilmente spaventata.
In U Ramenima le donne che si contendono i riflettori sono ben due: madre e figlia. Il film, infatti, esplora il loro rapporto, restituendone luci e ombre, conflitti ed abbracci. La figlia si specchia negli occhi della madre, la madre cerca disperatamente nella sua unigenita qualcosa che le assomigli.
Tara Gajović si interroga qui sulla maternità, su cosa significhi essere madre prima che sentirsi donna.
[Ivana Mladenović, Anca Pop e Andrei Dinescu in Ivana Cea Groaznica di Ivana Mladenović, presentato nella sezione Wild Roses del Trieste Film Festival]
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Ivana Mladenović è la protagonista di Ivana Cea Groaznica, film di cui ha firmato anche la regia.
Secondo protagonista indiscusso è sicuramente il Danubio, punto di incontro di due culture: quella serba e quella rumena, le stesse che si incrociano nella vita di Ivana.
Attrice e regista, nata in Serbia e successivamente trasferitasi per studiare in Romania, in questo film torna nella sua città natale, Kladovo, per trascorrere del tempo con la propria famiglia.
Questo viaggio viene affrontato con tutte le complicazioni del caso, tra una casa che ormai le sta troppo stretta, ex fidanzati che ricompaiono, una sorprendente popolarità che non riesce a gestire e una cultura ritrovata a cui, seppur per il tempo di un’estate, fa difficoltà a riadattarsi.
Fin dall’inizio la protagonista ci viene presentata con tutte le sue inquietudini.
La donna sembra essere scossa da una forte forma di ipocondria: giramenti di testa, improvvisi svenimenti, respiro che sembra spezzarsi in gola. “È stress” le ripetono continuamente le persone intorno a lei, “è colpa dei film che fai”.
Il tono che viene mantenuto per tutto l’arco della narrazione alterna siparietti estremamente ironici in cui Ivana sembra completamente inabile ad affrontare la sua esistenza, a momenti più riflessivi. La protagonista ha difficoltà a definirsi, a trovare la propria dimensione, scissa tra quello che era, quello che è, quello che potrebbe essere. Ivana, tra una sequenza e l’altra ambientate sul Danubio, tenta di aggrapparsi alla cultura che le apparteneva o a quella che sente appartenerle, chiedendosi dove sia la parte di sé che si è persa tra le due.
Ivana Cea Groaznica offre una brillante indagine su due società sfaccettate, quella serba e quella rumena. La prima la vediamo diradarsi in tutta la storia, della seconda ne percepiamo la presenza oltre il Danubio. Attraverso le gesta della sua grottesca antieroina percepiamo, inoltre, quasi somaticamente, le difficoltà che derivano dal sentirsi immersi nel mondo dello spettacolo.
La peculiarità sicuramente più interessante del film è la stessa spettacolarizzazione di questo disagio.
[Dubravka Kovjanic e Milica Grujičić in Kelti di Milica Tomović, presentato nella sezione Wild Roses del Trieste Film Festival]
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In Kelti il mondo dei bambini e quello degli adulti si annusano costantemente, si osservano a distanza, ma non si incontrano mai.
La festa di compleanno della piccola protagonista diventa presto il pretesto per restituire il ritratto un’identità nazionale sfilacciata.
Il burro costa troppo quindi si propende per la margarina, la torta viene divisa in piccoli pezzi così che gli invitati possano fare il bis; lo spazio è poco, ma nell’accogliente e affollata casa che fa da sfondo al film c’è spazio per chiunque e soprattutto c'è spazio per l'individualità di ognuno dei personaggi, da quella delle due coppie queer che sembrano essere le più affiatate, a quella della moglie che non avverte più su di sé gli occhi e i desideri del marito, fino ad arrivare all’identità svolazzante dei più piccoli, che nella Belgrado degli anni '90 hanno gli occhi un po’ tristi e un’indistruttibile vitalità.
Kelti è un film che scorre leggero e che avrei voluto non finesse mai.
Volevo continuare a essere parte di quel flusso di persone, caos, rumore, di quella cultura del risparmio, di quella dignitosa semplicità che sa di autenticità.
Milica Tomović ci prende per mano accompagnandoci dentro una quotidianità così lontana dalla nostra, ma in qualche verso familiare, tangibile. Ci chiede di diventare parte di quella sgangherata famiglia allargata, di tendere insieme a lei e ai suoi personaggi verso qualcosa di indefinito, verso un’identità collettiva che è necessariamente da destrutturare e da ricostruire.
Le varie sottotrame si intersecano portando spesso in superficie accenni politici, tensioni anarchiche, frammenti palpabili di una resistenza quotidiana all'omologazione socioculturale.
La stessa resistenza che a Kelti, con la sua semplicità e vena comica, riesce molto bene.
[Tamara Gajević, Milica Gicić, Jelena Đokić, Goran Bogdan, Viktorija Vasiljevic in 78 Dana di Emilija Gašić, presentato nella sezione Wild Roses del Trieste Film Festival]
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78 Dana è girato interamente in formato Hi8, sistema di registrazione messo a punto da Sony negli anni '80 e destinato ai filmati amatoriali, i cosiddetti home movies.
Lo scopriamo immediatamente fin dalla prima scena, in cui vediamo una bambina che non vuole essere ripresa perché secondo lei troppo brutta per essere catturata dal dispositivo.
Seguiamo la stessa bimba insieme alla sua famiglia in vari sprazzi quotidiani, nei frastagliati stati d’animo che compongono 78 lunghi giorni, gli stessi che dividono tre sorelle da un padre arruolato nell’esercito durante il bombardamento effettuato dalla NATO nel 1999 in Serbia.
Gli stessi 78 giorni che cambieranno completamente le loro esistenze.
Risate, compleanni e giochi sono alternati e messi in dialogo con la continua, sottile minaccia di qualcosa di terribile che potrebbe arrivare da un momento all'altro.
Improvvisamente infatti ecco le urla, le bombe, gli allarmi antiaerei e, dopo tutto, una ritrovata felicità. Un ciclo che si espande in analogico.
Non sappiamo altro dei personaggi se non quello che la regista Emilija Gašić decide di restituirci con i filmati Hi8, eppure li sentiamo vicini tra loro, vicini a noi.
La particolarità di questo tipo di approccio visivo è che porta a interrogarsi sulla natura del mezzo cinematografico e sulle sue finalità: cosa è lecito far vedere e cosa non è giusto mostrare?
Qual è il confine tra intradiegetico ed extradiegetico che non deve essere superato?
Quando chiaramente ciò che fa da sfondo alla storia è una guerra - recente e controversa - rispondere a queste domande può diventare estremamente complesso.
La regista però ci prova, omettendoci occasionalmente uno sguardo, togliendoci la possibilità di osservare direttamente ciò che i suoni esplicitano fin troppo bene.
Così facendo fugge totalmente dalla retorica e dipinge un ritratto familiare atipico, dove la guerra è un elemento che risuona continuamente, ma non diventa quello predominante.
[Ivana Mladenović in Ivana Cea Groaznica di Ivana Mladenović, presentato nella sezione Wild Roses del Trieste Film Festival]
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I film presi in esame, oltre a portare tutti la firma di registe donne, presentano diversi temi ricorrenti: la ricerca della propria identità (individuale e collettiva), la presenza di una guerra che c'è stata o è tuttora in corso, ma soprattutto l'esplorazione del femminile, nelle sue varie sfumature e contraddizioni, all'interno di una società che tende spesso a soffocarlo.
La sezione Wild Roses del Trieste Film Festival di quest'anno ha rispettato le nostre aspettative e speriamo che il livello dei prossimi anni continui a mantenersi sempre così alto.
[a cura di Francesca Nobili, nostra inviata al Trieste Film Festival 36]
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