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I sette samurai è un film di eccezionale complessità e bellezza, un monumento della Storia del Cinema capace di riscrivere le regole della narrazione cinematografica e di influenzare profondamente registi e sceneggiatori fino ai nostri giorni.
La sua straordinaria estetica è la sintesi della maestria del regista Akira Kurosawa, che nel 1954 riuscì a dirigere una pellicola articolata ma al contempo immediata ed essenziale, diventata con il tempo un'eterna lezione di Cinema.
Il regista, intenzionato a raccontare con estremo realismo un certo tipo di storia, introdusse un nuovo modo di concepire la figura dell'eroe classico, arrivando ad adottare un punto di vista radicale e anticonvenzionale, in netto contrasto con la società giapponese dell'epoca.
[Il trailer ufficiale della versione integrale restaurata de I sette samurai]
Attraverso una sapiente allegoria Kurosawa guarda al suo tempo, all'occupazione statunitense del Giappone e al bombardamento atomico, offrendo una profonda riflessione sulla cultura e sulle tradizioni del Paese.
Non a caso I sette samurai ritrae un paese distrutto e affamato, dove la vita appare completamente priva di valore: si tratta del Giappone del Periodo Sengoku, più precisamente la fine del XVI secolo, un'epoca segnata dalla lotta per il potere tra signori feudali che seminavano morte e devastazione e in cui molti samurai senza padrone si improvvisavano mercenari o guardie del corpo.
Nonostante appartenga al genere Jidai-geki, il dramma storico giapponese, I sette samurai risente fortemente dell'influenza del Cinema occidentale. Lo stesso Akira Kurosawa dichiarò di ispirarsi a John Ford, considerandolo uno dei suoi modelli di riferimento.
La narrazione del film segue una struttura in tre atti e si apre con la vicenda di un villaggio di contadini tormentato dalle razzie di un gruppo di banditi: per difendersi dai futuri attacchi gli abitanti decidono di mettere insieme i pochi risparmi che possiedono e assoldare sette ronin per proteggere la comunità.
La prima parte segue il processo di reclutamento dei samurai, ognuno dei quali si distingue dagli altri per le proprie caratteristiche: il primo a essere ingaggiato è Kambei Shimada (Takashi Shimura), ronin anziano e astuto, assunto in cambio di qualche manciata di riso; altri cinque guerrieri si uniranno a lui: Shichiroji (Daisuke Katô), vecchio compagno d'armi di Kambei; Gorobei (Yoshio Inaba), abile arciere; il gentile e simpatico Heihachi (Minoru Chiaki); Kyuzo (Seiji Miyaguchi), bushi taciturno ma letale e infine il giovane e aspirante samurai Katsushiro (Isao Kimura).
Al gruppo si aggiungerà in seguito anche il rozzo Kikuchiyo, interpretato da Toshiro Mifune, un uomo di origini contadine che si finge un grande guerriero.
Al contrario di quanto si possa pensare, i sette samurai non sono eroi celebri e rispettati, bensì dei reietti, uomini sfiniti, emarginati dalla società. La visione di Kurosawa si distacca profondamente dalla tradizione giapponese dell'epoca, proponendo un'interpretazione radicalmente diversa del concetto di onore.
Questo tema emerge chiaramente nel personaggio di Kambei, che sfida le convenzioni culturali e dimostra fin da subito il suo grande valore sacrificando la sua capigliatura per salvare la vita di un bambino.
La capigliatura di un samurai era il segno distintivo della sua posizione sociale; rinunciare a essa voleva dire perdere il proprio status.
Tuttavia il vecchio ronin, in netto contrasto con il codice dei guerrieri, dimostra che l'onore del samurai non sta nell'apparenza, ma nel perseguire gli ideali di giustizia, mettendo la propria spada al servizio dei più deboli e della comunità: "Chi difende tutti difende sé stesso, chi pensa solo a sé stesso si distrugge".
Nella versione integrale de I sette samurai Kambei, da saggio guerriero qual è, spiega di essere giunto a questa conclusione dopo aver seguito per tutta la vita la via del bushido, consumando la propria esistenza dietro l'ambizione di diventare un grande signore, per poi ritrovarsi in vecchiaia solo e pieno di rimorsi.
[Una scena da I sette samurai: in primo piano Katsushiro, interpretato da Isao Kimura]
Per la prima volta sul grande schermo, dunque, i samurai non combattono per ottenere potere o vendetta, ma per riscattare sé stessi e l'onore della propria classe, lasciando che la disciplina marziale ceda il passo all'amicizia.
Nella seconda parte de I sette samurai si entra nel vivo della dimensione drammatica: sulla testa dei protagonisti grava il peso di un'incombente minaccia e viene gradualmente rivelata la sventura dei contadini, costretti a vivere in un contesto di paura e violenza. Gli abitanti del villaggio sono inoltre inspiegabilmente schivi, egoisti e si mostrano sospettosi nei confronti dei ronin che pure li stanno aiutando.
Non sono esattamente il classico esempio di umanità e innocenza.
Kurosawa esplora in profondità la complessa convivenza tra contadini e samurai, soffermandosi sulle tensioni e sui contrasti che li dividono.
Questo atteggiamento scostante acquista progressivamente senso quando Kikuchiyo rivela il motivo di tale timore: i contadini vivevano nella costante paura dei samurai che durante le battaglie assalivano i villaggi rubando i raccolti, abusando delle donne e riducendo gli uomini in schiavi.
È un momento intenso e significativo che svela il doloroso passato del personaggio interpretato da Toshiro Mifune, evidenziando al contempo la complessità e l'importanza del suo ruolo nell'economia narrativa del film; Kikuchiyo, infatti, oltre a rappresentare l'elemento comico all'interno del gruppo, unisce in sé quei due universi che nella pellicola possono apparire tanto distanti.
Nell'atto finale de I sette samurai si celebra l'epico scontro tra l'alleanza dei protagonisti e i banditi.
A mio avviso la fotografia di Asakazu Nakai e la regia di Kurosawa hanno reso questo clamoroso scontro sotto la pioggia uno dei momenti più memorabili della Storia del Cinema e fondamentale punto di riferimento per la narrativa cinematografica mondiale.
Alla resa dei conti i predoni vengono sconfitti, seppur a caro prezzo: la maggior parte dei guerrieri perde la vita tra il fango e il sangue della battaglia.
Kambei, riflettendo sull'esito, ammette con amarezza che gli unici vincitori sono i contadini, che hanno finalmente ritrovato pace e serenità nel loro villaggio.
I sette samurai si conclude con un messaggio di speranza, profondo e radicale, che celebra la solidarietà tra le diverse classi sociali e rende omaggio alla classe contadina, riconoscendola come il vero pilastro della società, pari in valore a quella dei samurai.
[Una scena da I sette samurai: in primo piano Kikuchiyo (Toshiro Mifune); dietro di lui Kambei (Takashi Shimura) e gli altri ronin]
Per I sette samurai Akira Kurosawa vinse il Leone d'Argento alla Mostra del Cinema di Venezia e il film, che riscosse un successo straordinario, si diffuse rapidamente trovando una grande accoglienza soprattutto negli Stati Uniti, dove finì per influenzare profondamente il Cinema hollywoodiano.
Tutto ciò avvenne nonostante le modifiche imposte dalla casa di produzione sul montaggio finale deciso da Kurosawa: la pellicola, della durata originale di 207 minuti, venne distribuita nel 1954 solo nelle grandi città del Giappone, mentre una versione ridotta di 160 minuti fu distribuita dalla casa di produzione nel resto del Paese.
All'estero il film subì ulteriori modifiche, come in Italia, dove I sette samurai venne distribuito in una versione di soli 130 minuti.
L'intento della casa produttrice era rilasciare una versione maggiormente fruibile che garantisse diverse proiezioni giornaliere, per poter così rientrare dei grandi investimenti.
La produzione de I sette samurai era stata in effetti un'impresa titanica: la pellicola costò 125 milioni di yen, quasi cinque volte tanto i costi di produzione di un film dell'epoca.
Questo fu possibile solo grazie all'enorme successo che Kurosawa aveva riscosso nel 1951 con il film Rashomon, che ebbe un impatto significativo sul pubblico internazionale dopo la vittoria del Leone d'oro a Venezia.
Il film segnò una svolta importante anche per la cinematografia giapponese, che fino agli anni '50 era poco conosciuta fuori dai confini nazionali.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, durante gli anni di occupazione statunitense del Giappone, le autorità colonialiste esercitavano un controllo significativo sull'opinione pubblica, arrivando a monitorare e censurare i media, tra cui il Cinema.
In particolare gli organi di controllo a stelle e strisce proibivano la produzione di film storici che esaltassero lo spirito feudale e l'ideologia militarista.
Nel 1951, tuttavia, Rashomon segnò un punto di rottura con questo periodo e la produzione di film sui samurai conobbe una nuova rinascita, iniziando anche a ottenere prestigio e riconoscimenti sui palcoscenici internazionali.
Sebbene distribuito in una versione tagliata, dunque, I sette samurai ebbe un enorme successo all'estero, lasciando un segno non solo per la sua storia originale ma anche per lo stile con cui era stato realizzato.
[Una scena da I sette samurai]
Nel 1960 John Sturges si ispirò a I sette samurai per la realizzazione de I magnifici sette, in cui vennero riproposti i temi affrontati da Kurosawa in chiave western.
Questo genere ha infatti molti punti in comune con i film sui samurai: in entrambi si celebra il coraggio di abili eroi solitari in lotta contro l'ingiustizia.
Il film di Sturges ebbe un successo persino superiore all'originale, anche grazie al potenziale commerciale dei film di Hollywood.
Oltre al film di Sturges I sette samurai ha ispirato numerosi remake, adattamenti e pellicole che ne hanno ripreso la trama e le tematiche principali, come ad esempio I magnifici sette nello spazio (diretto da Jimmy T. Murakami e Roger Corman nel 1980), adattamento del film di Kurosawa con un'ambientazione futuristica; o il più curioso A Bug's Life (di John Lasseter e Andrew Stanton), film di animazione Pixar che segue la storia di una colonia di formiche vessata dalle incursioni di uno sciame di cavallette.
Anche in produzioni più recenti è possibile scorgere alcuni elementi della struttura narrativa de I sette samurai: nel quarto episodio della prima stagione di The Mandalorian il protagonista addestra una comunità di contadini minacciata dai briganti, mentre nella saga di Rebel Moon (Zack Snyder, 2023) un gruppo di contadini riunisce una squadra di guerrieri galattici per difendere il proprio raccolto da un esercito invasore.
Ne I mercenari 2 - The Expendables (Simon West, 2012), il gruppo di mercenari guidato da Sylvester Stallone difende gli abitanti di un villaggio rurale dalle incursioni di un gruppo di terroristi.
Si potrebbe continuare all'infinito, analizzando storie di contadini, predoni ed eroi soccorritori.
Un altro topos narrativo ripreso da I sette samurai, divenuto uno standard nei film di avventura, è il reclutamento degli alleati, un segmento della trama che si basa sul processo in cui il protagonista compone una squadra di individui con abilità, caratteristiche e personalità funzionali al raggiungimento di un obiettivo.
Lo ritroviamo in Colpo grosso diretto da Lewis Milestone (1960), in Quella sporca dozzina di Robert Aldrich (1967) o nel più recente Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino (2009), fino ad arrivare ad anime, serie TV e cinecomic contemporanei.
La grande rivoluzione de I sette samurai è però sul piano formale: Kurosawa si impose affinché il villaggio dei contadini venisse ricostruito all'esterno e non in studio, per trasmettere allo spettatore una sensazione di realismo più autentica. Fu uno dei primi a utilizzare il teleobiettivo e a filmare le scene da più angolazioni simultaneamente, creando l'illusione di avere più personaggi in campo.
Anche l'espediente di mostrare le scene più concitate al rallentatore è stato ripreso in seguito da molti cineasti, alcuni dei quali hanno sviluppato questo concetto fino a farlo diventare un must dei film d'azione: basti pensare ai film di John Woo o al bullet time di Matrix.
Molte opere diventate icone della cultura pop hanno ripreso elementi visivi, inquadrature e scelte stilistiche da I sette samurai, come Guerre stellari (1977), Il Signore degli Anelli - Le due torri (2002), Matrix Revolutions (2003) e Mad Max: Fury Road (2015).
[I sette samurai: Kambei sotto la pioggia si prepara allo scontro con i predoni]
Come appare evidente I sette samurai è un'opera che da oltre settant'anni continua a dialogare con il presente.
Personalmente ritengo che grazie alla sua universale riflessione sui conflitti umani e al suo approccio innovativo, il racconto di Akira Kurosawa rappresenti un'esperienza imprescindibile: un'opportunità per conoscere la Storia del Cinema, immergersi nei suoi contenuti e lasciarsi conquistare dalla straordinaria bellezza della sua estetica.
Per questo la possibilità di calarsi nella visione della versione integrale in sala è un'occasione che non va affatto sprecata.
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