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In the Mood for Love: la struggente sinfonia del mistero

A quasi 25 anni dalla sua prima proiezione, torna in sala In the Mood for Love: ecco i segreti dietro a un capolavoro che sembra tuttora avvolto da un velo di irripetibile magia

In the Mood for Love torna al cinema.

 

Il capolavoro di Wong Kar-wai è ormai avvolto nella leggenda, così come i personaggi interpretati da Tony Leung e Maggie Cheung su cui lo stesso si sorregge. 

 

Sono passati quasi 25 anni dalla sua prima proiezione al Festival di Cannes 2001, quando la giuria premiò il protagonista maschile per la sua interpretazione di Chow Mo-wan e il mondo scoprì l'impareggiabile eleganza di Su Li-zhen, lasciandosi cullare dal passo disorientante della musica di Shigeru Umebayashi e dolcemente raggelare da ognuna delle promesse disattese dall'opera. 

 

Eppure, a quasi un quarto di secolo dal suo disvelamento, l'imponente sforzo produttivo del regista di Hong Kong e di Block 2 Pictures, della cinese Jet Tone Production e delle francesi Orly Films e Paradis Films non ha perso un'oncia delle sue potenzialità sognanti e del suo mistero. 

 

 

[La leggenda di In the Mood for Love non esisterebbe senza Maggie Cheung e Tony Leung]

 

 

Che In the Mood for Love non fosse un film come gli altri, d'altronde, era stato subito chiaro a tutti. 

 

Stando alle parole di Alejandro González Iñárritu, che ebbe la fortuna di assistere al suo primo passaggio a Cannes, il film aveva avuto un effetto dirompente su di lui e su sua moglie Maria, che assistettero allo spettacolo insieme e ne furono travolti.  

 

"Abbiamo camminato per circa 10 minuti in completo silenzio. Ci siamo fermati in riva al mare.

Maria mi ha abbracciato e ha cominciato a piangere inconsolabilmente sulla mia spalla e io ho fatto lo stesso. In the Mood for Love ci aveva lasciati senza parole e profondamente commossi.

In quel momento mi sono ricordato del perché volessi diventare un regista."

 

Una dote immediatamente riconoscibile di In the Mood for Love è quella, sinistramente universale, di assurgere quasi a specchio deformante dei sentimenti degli spettatori.

Riflettendoci nei silenzi dei protagonisti, nei loro sguardi di sottecchi, nei loro gesti quotidiani amplificati dalla musica, sembriamo riacciuffare ricordi e sensazioni personali conservati nella profondità dell'animo e metterli alla mercé di chi ci passa di fianco, anche per un solo secondo. 

Quasi fino a esporci allo stesso gioco di non detti che coinvolge i protagonisti dell'opera.

 

D'altronde ci è successo di recente: quando nella primavera 2021, dopo le terribili strette derivanti dalla pandemia, In the Mood for Love è tornato al cinema per la prima volta in una stupenda versione restaurata, ci è sembrato di prendere parte a un rito collettivo. 

Le sale che proiettavano la pellicola diffondevano il suo tema principale prima dell'inizio dell'opera e noi, ammaliati come alla prima visione, eravamo disposti a rischiare la violazione del coprifuoco per parlarne con chi aveva condiviso con noi quell'esperienza. 

 

In the Mood for Love - il cui titolo originale traslitterato è Huāyàng niánhuá (lett. "L'età della fioritura") - è diventato negli anni il simbolo della nostra fioritura: manifesto inequivocabile di come l'arte possa scandire le stagioni della nostra vita, conservando il suo potere salvifico.  

 

Proprio alla luce del suo valore intramontabile, è il caso di tornare a parlare delle tante storie che si celano nel mistero In the Mood for Love, per scoprire cosa lo abbia reso uno dei film più importanti della Storia del Cinema.

 

 

[Gli incontri romantici di In the Mood for Love hanno un'origine produttiva piuttosto articolata]

 

 

Storie di politica, di cibo e di musica

 

La storia al centro di In the Mood for Love è arcinota: due vicini di casa nella Hong Kong dell'inizio degli anni '60 sospettano che i rispettivi coniugi possano avere una relazione tra loro. 

Mentre i due indagano e sconvano riscontri sui loro sospetti, tra loro nasce un amore lacerante; Wong Kar-wai ha risolto il tutto definendo l'opera come "due persone che danzano lentamente insieme".

 

Sullo sfondo ci sono la rivoluzione culturale cinese e il ribollire dei rapporti geopolitici tra oriente e occidente che hanno popolato gli anni '60. Una contestualizzazione storica quasi fantasmatica, non realmente connessa alle vicende dei suoi personaggi quanto al volto di un'Asia che non tornerà mai più: i moti interiori e fisici di In the Mood for Love sembrano seguire un'inquietudine immanente, ben superiore all'apparente placidità della routine dei protagonisti e dei luoghi che frequentano.

 

Eppure, in origine, non c'era alcun In the Mood for Love. 

 

[Il trailer di In the Mood for Love restaurato in 4K, nelle nostre sale grazie a Lucky Red solo il 17, 18 e 19 febbraio 2025]

 

 

Dopo lo straordinario successo di Happy Together, premiato al Festival di Cannes 1997 per la miglior regia, Wong Kar-wai aveva in mente un dittico, simile a quello che aveva composto con Hong Kong Express e Fallen Angels.

 

Non è noto se il dittico avrebbe dovuto includere Happy Together o iniziare con il suo film successivo, che certamente era intitolato Estate a Pechino. Quest'ultimo film avrebbe dovuto tracciare tanto idealmente quanto produttivamente un percorso di avvicinamento alla Cina continentale. 

Si trattò però di un progetto per il quale ebbe non pochi problemi a trovare un punto di incontro con le autorità cinesi: queste ultime volevano leggere una sceneggiatura ma, com'è noto, Wong Kar-wai tende a fornire solo un canovaccio ai suoi attori e a servirsi dell'improvvisazione per costruire l'equilibrio magico dei suoi film.

In più, la crisi economica che travolse l'Asia nel 1997 rese necessaria la ricerca di nuovi finanziatori.

 

Tra i programmi iniziali di Wong c'era quello di chiudere il progetto entro il 1° luglio 1997, data in cui Hong Kong sarebbe passata dal controllo britannico a quello cinese, ma ogni deadline fu disattesa praticamente da subito.

Il cast avrebbe dovuto prevedere la presenza dei due protagonisti che conosciamo oggi e di Takeshi Kaneshiro, che in realtà non avrebbe mai più collaborato con l'autore.

 

Secondo lo scrittore hongkonghese Stephen Teo, le idee alla base del progetto sono poi evolute in chiave futuristica, gettando le basi per quello che è a tutti gli effetti il sequel di In the Mood for Love: 2046.

 

 

[Tre poster promozionali pensati per Estate a Pechino, il progenitore di quello che sarebbe diventato In the Mood for Love]

 

Il progetto venne integralmente ripensato, anche complice una cena parigina tra la protagonista e il regista del film: i due non collaboravano dai tempi di Ashes of Time e Maggie Cheung era assente dalla scena domestica da qualche anno, l'attrice aveva inoltre manifestato il desiderio di tornare a lavorare con Tony Leung, suo partner di recitazione al debutto sul piccolo schermo. 

 

Le idee originarie vennero inglobate in un'opera in tre episodi che coniugassero amore e cibo, dal titolo provvisorio Tre storie sul cibo.

La lavorazione si spostò a Macao, lontana dall'influenza della Cina continentale.

La storia dei signori Chan e Chow era, dunque, in origine il segmento centrale del trittico: Wong trovò ispirazione nella lettura de La fisiologia del gusto, libro scritto dal gastronomo francese Jean Anthelme Brillat-Savarin, lo stesso che ha recentemente ispirato Il gusto delle cose.

 

La prima storia avrebbe dovuto parlare del rapporto tra un rapitore, la sua vittima e il cibo di cui si nutrivano, mentre la terza avrebbe dovuto rappresentare il microcosmo di un fast food, con i suoi avventori: quest'ultima doveva essere "il dessert" del film, una chiusura felice per gli spettatori. 

Tony Leung e Maggie Cheung avrebbero, in ogni caso, dovuto interpretare ciascuno degli episodi. 

 

L'ultimo episodio fu girato per primo.

Tony Leung interpretava il proprietario di un locale, che a Wong ricordava quello dipinto da Edward Hopper ne I nottambuli: il suo hobby era quello di collezionare le chiavi dimenticate dai clienti, simbolo delle promesse infrante; Maggie Cheung, invece, interpretava una cliente che dimenticava le chiavi nel locale.

Le riprese furono rapidissime e Wong decise di passare alla portata principale, ovvero il secondo episodio. 

 

L'ispirazione per quello che sarebbe diventato poi In the Mood for Love era una breve e tragica storia su un uomo e una donna che si incrociano ogni giorno sulle scale dello stesso stabile, senza mai rivolgersi la parola; la connessione con il cibo derivava dal modo in cui lo stesso scandiva le loro uscite: come si vede effettivamente in In the Mood for Love, l'acquisto del cibo è uno dei motori per alcuni degli incroci tra i due protagonisti. 

 

L'idea originale era, dunque, quella di rappresentare l'evoluzione di un paese attraverso le scoperte che ne hanno - di fatto - inaridito il rapporto con il cibo e con gli esseri umani: in un'intervista con Gilles Clement lo stesso Wong ha dichiarato che la cultura asiatica è stata assolutamente sconvolta da invenzioni culinarie come il cuociriso o i noodles istantanei, che hanno contribuito a recidere alcune delle usanze sociali in uso nella sua infanzia.

Per nostra fortuna l'episodio è poi cresciuto a dismisura, relegando le invenzioni e il cibo a un ruolo quasi invisibile se rapportato alla portata lirica dell'opera. 

 

La lavorazione di quello che ormai stava per diventare In the Mood for Love fu estenuante e durò 15 mesi, a causa dell'assoluto perfezionismo e della sensibilità jazzistica di Wong: l'improvvisazione è incoraggiata, ma deve incastonarsi in un perfetto quadro artistico. 

 

"Doveva essere un pranzo veloce, ma è diventato un grande banchetto", ironizzò il regista.

 

 

[Malgrado non fosse più il tema centrale del film come avrebbe dovuto, In the Mood for Love è inequivocabilmente legato all'importanza del cibo e dei ristoranti nell'evoluzione del rapporto tra i due protagonisti] 

 

 

Il difficile equilibrio della produzione doveva comprendere anche la maniacale preparazione riservata a Maggie Cheung: oltre quattro ore al giorno di trucco e parrucco.

 

Furono ben 46 i differenti cheongsam, gli abiti tradizionali cinesi indossati dalla signora Chan e realizzati appositamente per intarsiarsi al meglio nella scenografia del film realizzata da William Chang Suk-ping, l'uomo che ha tenuto in mano le redini dell'opera sul piano estetico. 

 

La lavorazione fu infatti così lunga che persino Christopher Doyle, storico direttore della fotografia delle opere di Wong, dovette abbandonare il set venendo sostituito da un collega altrettanto straordinario: Mark Lee Ping-bing, già padrone di luci e ombre nelle opere di Hou Hsiao-hsien.

Quest'ultimo portò con sé il gusto per i quadri nei quadri e la dilatazione poetica della durata dell'inquadratura: amalgamare i loro stili in maniera coerente era compito del montatore, lo stesso William Chang Suk-ping, che fu in grado di produrre un autentico miracolo. 

 

Ciascuno dei tre Maestri contribuì a far vincere a In the Mood for Love anche il Grand Prix tecnico al Festival di Cannes.

 

 

[Tra le scene mai inserite nel montaggio finale di In the Mood for Love c'è una scena di ballo che avrebbe forse cambiato la nostra percezione del rapporto tra i protagonisti]

 

 

Cominciando a scavare nei 130 minuti di durata originaria nell'opera, In the Mood for Love fu spogliato di eventi e personaggi. 

 

Roy Cheung e Pauline Sun, interpreti dei coniugi dei protagonisti, scomparvero integralmente dal film: del primo è rimasta solo la voce, della seconda appena un paio di scene in cui è del tutto impossibile discernerne il volto.

Anche alcuni dei meravigliosi cheongsam di Maggie Cheung vennero completamente esclusi dal montaggio finale, che risultò di ben 32 minuti più breve.  

 

Attraverso la sottrazione In the Mood for Love ha assunto la sua conturbante forma ellittica e il suo alone di mistero e malinconia: a poco più di una settimana dall'anteprima mondiale del film fu girato il finale che tutti conosciamo ed eliminata la prima versione dello stesso, che avrebbe dovuto prevedere un ultimo casuale incontro tra i protagonisti nel 1972, in Cambogia. 

 

Se vi steste chiedendo cosa ne sia stato del girato al fast food non temete: Wong Kar-wai ne ha tratto un cortometraggio, presentato a Cannes in una masterclass nel 2003, il cui titolo era un laconico In the Mood for Love 2001

La stessa idea venne poi utilizzata come base per l'unico film in lingua inglese dell'autore: My Blueberry Nights.

 

A quel punto mancava solo il titolo internazionale dell'opera: il titolo originale era arrivato da una canzone di Zhou Xuan - presente anche nella colonna sonora - mentre il titolo programmato per l'estero era semplicemente Secrets.

Finché Wong non si imbatté in nella versione di Bryan Ferry di I'm in the Mood for Love, una canzone del 1935 scritta da Jimmy McHugh e Dorothy Fields, originariamente intonata da Frances Langford. La canzone venne anche inserita nei primi trailer domestici e statunitensi dell'opera, malgrado non fosse inclusa nella sountrack del film.

 

Una colonna sonora, peraltro, a cui è strettamente legato il successo del film e su cui è stato svolto un articolato lavoro di tessitura poetica con il tessuto narrativo del film, che potete riscoprire attraverso questo splendido articolo della musicista e compositrice Maria Socci.

 

 

[Dopo aver scoperto la storia all'origine di In the Mood for Love questa scena assume un'infinità di nuovi significati]

 

 

Con tutti i tasselli a posto In the Mood for Love era pronto a cominciare la propria scalata verso l'Olimpo della Storia del Cinema.

 

Nel 2001 venne posizionato al 5° posto tra i film dell'anno dai Cahiers du cinéma, ma fallì la candidatura ai Premi Oscar dell'anno successivo. 

Poco male: nel 2016 BBC lo mise al 2° posto tra i film più belli del XXI secolo e nel 2022 un sondaggio di British Film Institute lo ha eletto al 5° posto tra i film più belli della Storia del Cinema, portandolo a guadagnare ben 20 posizioni rispetto al risultato dello stesso sondaggio del 2015 e rendendolo l'opera più recente tra quelle nella Top 5. 

 

Persino la piattaforma di streaming MUBI è nata grazie al film: il suo fondatore Efe Cakarel cercava di guardare online In the Mood for Love mentre era in Giappone, ma non trovandolo ha deciso di dare una casa al Cinema d'autore fondando appunto una nuova piattaforma.

 

L'influenza del film è, dunque, in perenne crescita: avete mai provato a chiedervi "perché?"  

 

 

[Il trailer promozionale per il precedente passaggio cinematografico di In the Mood for Love e degli altri film di Wong riassume perfettamente la fascinazione che il suo Cinema produce negli spettatori]

 

 

Una questione di stile

 

Quando nel 2021 Tucker Film ha riportato in sala i film restaurati di Wong Kar-wai, la casa di distribuzione cinematografica ha chiamato la rassegna "Una questione di stile".

 

Un titolo, secondo la mia opinione, assolutamente perfetto, perché in fondo quando si parla del Cinema di Wong Kar-wai è sempre una questione di stile. 

In the Mood for Love si nutre della sua stessa estetica, un'estetica che si fonda su un paradosso: un film ambientato negli anni '60 ha saputo condensare tutta la nostalgia di fine millennio, mescolando la promessa della fine di un'epoca che non tornerà più con lo stile impeccabile del suo autore.  

 

La pioggia scrosciante, le luci al neon delle insegne mista a quella dei lampioni, le lente corse in taxi che speriamo non finiscano mai, il condensarsi del fumo di innumerevoli sigarette, l'impeccabile taglio di costumi iconici, la plasticità dei corpi al servizio dell'immagine, la musica sognante e il romanticismo insoddisfatto: tutto ciò ha trasceso il film. 

Si tratta di una commistione benedetta tra il fascino della Golden Age hollywoodiana, la verve innovativa della Nouvelle Vague e la frenetica rincorsa stilistica ostinatamente attuata da Wong Kar-wai per tutti gli anni '90.

Un prodotto composito, in cui trovano spazio anche il Cinema di Michelangelo Antonioni e gli epigoni cinesi e hongkonghesi del regista; un film che usa la tradizione per catturare lo zeitgeist e ci riesce senza neanche preoccuparsi di trattarlo.  

 

Una fonte d'acqua cristallina a cui si sono abbeverati in molti nell'ultimo quarto di secolo: da Lost in Translation a Everything Everywhere All at Once, sono stati innumerevoli i film e gli autori travolti dal fascino di uno stile che, ai giorni nostri, viene replicato infinite volte anche negli spot pubblicitari e sui social network. 

 

In the Mood for Love è una sinfonia perfetta, in cui ogni elemento si pone in dialogo con gli altri: le risonanze delle figure e degli spazi, del tempo e del suono, del movimento e della stasi si alternano su uno spartito che intrappola i corpi dei personaggi in corridoi stretti, uffici vuoti e strade umide, che li costringe a chiamate che amplificano l'incomunicabilità, che nasconde i volti dei personaggi celandone la vera natura.

 

Quando all'interno del tessuto narrativo si innesta il graduale gioco di finzione tra i due protagonisti - che si ritrovano costretti a ottundere reciprocamente i propri sentimenti, nascondendoli nelle dichiarazioni che loro immaginano tra i loro coniugi - la sinfonia evolve, si fa più cupa, i suoi acuti più rarefatti e i gesti più calibrati. 

 

 

[Gli sguardi dei protagonisti di In the Mood for Love si fanno sempre più bassi con il progredire dell'opera: discernere le loro intenzioni diventa un rebus impossibile per lo spettatore]

 

 

In quelle che appaiono scelte immacolate - della regia e dei personaggi - si celano l'oscurità e il mistero di In the Mood for Love

 

Per esempio, sul personaggio del signor Chow, è lo stesso Wong Kar-wai a fornire una chiave di lettura piuttosto sconvolgente: 

"Mi ricorda Jimmy Stewart in Vertigo. Ha un lato oscuro. 

Penso sia molto interessante che la maggior parte del pubblico preferisca pensare che si tratti di una relazione innocente. I protagonisti sono brave persone perché sono i loro compagni a essere infedeli in prima battuta. 

Nessuno vede alcuna traccia di oscurità in loro, malgrado si stiano vedendo in segreto per interpretare scenari immaginari che riguardano il confrontarsi con i loro partner e avere una relazione segreta. 

 

Penso che dipenda dal fatto che Tony Leung ha un volto così empatico... provate solo a immaginare John Malkovich in quel ruolo: pensereste che quel tipo sia davvero strano. 

Lo stesso accade in Vertigo: tutti pensano che Stewart sia una brava persona, così nessuno si accorge di quanto sia realmente malato" 

 

William Chang Suk-ping ha invece dichiarato di essersi fortemente ispirato a Les Parapluies de Cherbourg per lo stile visivo della scenografia e il suo dialogo con la natura stessa dell'opera: 

"I colori che uso sono molto vividi, in contrasto con le emozioni controllate dei personaggi. 

Queste contraddizioni emergono anche dalle loro battute. Tutto ciò che Maggie e Tony si dicono può anche rappresentare il suo opposto.  

 

Stanno facendo le prove sul loro amore o è tutto reale?" 

 

 

[Uno degli aspetti più apprezzabili nel riguardare In the mood for Love consiste nell'apprezzare l'evoluzione cromatica del film]

 

 

Con l'incedere della storia il verde predominante nelle battute iniziali dell'opera lascia il passo a un rosso vieppiù acceso: alla fioritura del sentimento tra i due protagonisti fa da contraltare l'intensificarsi di tutti i suoi segreti.

 

Gli stessi segreti che il signor Chow consegna all'eternità, dando circolarità all'incipit dell'opera. 

Un andamento che sembra riflettere il destino di In the Mood for Love, che sin dalla sua uscita è riuscito a far bruciare negli spettatori una passione sempre più ardente, alimentandosi dapprima del suo stile, poi della nostalgia e del romanticismo e infine dei suoi misteri indiscernibili. 

 

Un'eterna stagione della fioritura, nella quale siamo al contempo vittime e complici. 

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