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L'albero è un film intimo, carico di tenerezza, sulla crisi dei vent'anni.
Un viaggio, forse una crescita, viscerale e drammatico, ambientato al Pigneto, un quartiere di Roma che con le sue strade restituisce il ritratto di una città invasa da una primavera fredda, di luci e colori.
Un racconto sincero e privo di qualsiasi forma di giudizio, attraverso cui la regista porta in scena una gioventù disillusa, fondata sulle dipendenze, sui rapporti e sulle sostanze.
Una vita da consumare con avidità, prima che sia lei a divorare ogni momento, perché alle protagoniste sembra già troppo tardi.
Al centro della vicenda de L'albero si trovano due personaggi femminili, interpretati dalle giovani attrici Tecla Insolia (L'arte della gioia) e Carlotta Gamba (Dostoevskij, Vermiglio), che sullo schermo riescono a raggiungere una complicità, a mio avviso, molto coinvolgente.
La stessa Carlotta Gamba, durante la conferenza stampa di presentazione del film, ha dichiarato: "Tra me, Tecla e Sara è subito scattata una strana magia, equilibrio e amore che sicuramente ha sorretto la mia interpretazione".
Gli altri personaggi, sebbene inneschino conflitti e influenzino profondamente la vita delle protagoniste, vengono relegati per lo più a ruoli marginali, contribuendo a porre in risalto questa complicata relazione tra le due: a emergene è l'unione di due esistenze segnata da una profonda infelicità.
[L'albero: da sinistra Angelica (Carlotta Gamba) e Bianca (Tecla Insolia)]
Bianca (Tecla Insolia) ha poco più di vent'anni, dovrebbe frequentare l'università, ma preferisce fare altro.
Le piace essere triste e scrive i suoi pensieri su un diario, con l'intenzione di realizzare un romanzo, anzi tre: uno sulla cocaina, uno sull'amicizia e uno sull'amore; ama soprattutto stare insieme ad Angelica (Carlotta Gamba), sopravvissuta al terremoto de L'Aquila, nichilista e leggermente ipocondriaca, sua coetanea, amica e amata.
Le due si trasferiscono in un appartamento del Pigneto a Roma: dalla finestra del salotto si vede un albero, oltre la ferrovia.
Leggono Il tramonto della luna sotto un poster di Giacomo Leopardi e trascorrono le giornate con gli amici a chiedersi il perché di tanta tristezza.
Di notte si abbandonano agli eccessi, trasgrediscono tra locali notturni e cocaina; si danno delle regole che non possono rispettare, si disperano alla ricerca di una luce in fondo all'esistenza che non vogliono raggiungere.
In una realtà di smarrimento e letargia che fa da sfondo a tutta la pellicola, le protagoniste de L'albero si nutrono della loro tristezza, compiacendosene.
Questa malinconia endemica è resa attraverso uno stratagemma estetico a mio avviso semplice e al contempo brilante: Bianca e Angelica, così come i loro amici, sono sempre vestite di nero: due macchie scure su una spiaggia colorata, che si impediscono a vicenda di essere felici.
"Una tristezza vitale", come l'ha definita Petraglia, che ha sottolineato come sia inevitabile, in un mondo come quello di oggi, ritrovarsi spesso infelici.
Eppure dall'altro lato, fa notare la regista, appare evidente come le protagoniste de L'albero siano privilegiate rispetto a molte persone, perché avere così tanto tempo per lamentarsi non è cosa da tutti.
A proposito di questo, credo sia molto eloquente un veloce e impercettibile scambio di battute tra il proprietario di casa e Bianca; quest'ultima, alla richiesta dell'affitto si lamenta del prezzo, sapendo comunque di essere completamente mantenuta dai genitori.
A vent'anni, del resto, niente ci sta bene.
[Una scena de L'albero]
Si apprende dalle parole di Sara Petraglia, come L'albero abbia avuto una gestazione complicata.
Da tempo, infatti, la regista e sceneggiatrice figlia di Sandro Petraglia (L'ombra di Caravaggio), cercava una storia da scrivere.
"Pensavo di non essere in grado di inventarla, quindi avevo quasi lasciato perdere", ha detto in conferenza stampa, "finché ho riletto tutti i miei appunti [...] e ho scoperto che tornava sempre quest'albero, che io avevo effettivamente visto dalla finestra di una casa dove avevo vissuto al Pigneto e ho capito che la storia ce l'avevo già perché l'avevo vissuta".
L'elemento autobiografico e il desiderio di rielaborare un evento passato, trasformando il personale in universale, è uno dei punti di forza de L'albero, anche se, a mio avviso, la scrittura di Petraglia appare a tratti pretenziosa, protesa verso un linguaggio poetico che si rivela spesso irreale e innaturale.
Quando l'amicizia fra Bianca e Angelica è sul punto di diventare qualcosa di più la seconda sparisce, lasciando la coinquilina da sola, in una casa piena di ricordi.
Nonostante questo fosse uno dei più grandi timori di Bianca, l'episodio risulta meno drammatico e più gestibile del previsto: Angelica era diventata per la ragazza una forma di dipendenza emotiva e venuta meno quella spirale di affetto e ossessione, Bianca può abbandonare le sue incertezze e intraprendere un percorso di guarigione.
Quanto fosse intensa la fascinazione di Bianca per Angelica lo rivela un'episodio de L'albero altamente evocativo: durante una giornata di abusi, tra sostanze stupefacenti e allucinazioni da astinenza, Bianca ha una visione di Angelica, con le ali di un angelo, posata su una panchina a osservarla.
È una scena che ho trovato squisitamente pasoliniana, da cui si intuisce l'intensa devozione di Bianca per l'amica.
[L'albero: dalla finestra dell'appartamento al Pigneto, Bianca osserva un albero oltre la ferrovia]
Sul finale de L'albero Bianca riesce a raggiungere finalmente quel pino dall'altra parte della ferrovia.
In questo senso l'albero diventa metafora non solo di nuova vita, ma anche di quei legami che Bianca e Angelica sono riuscite a rinsaldare e che ora appaiono indissolubili, finalmente a colori, anche se purtroppo, mancanti di qualcosa.
Seppur imperfetto nella sua prospettiva lievemente borghese e nonostante alcuni anacronismi narrativi, L'albero è un film che, nell'opinione di chi scrive, merita di essere visto per la sua splendida capacità di suscitare emozioni profonde attraverso immagini delicate e altamente evocative.
Un esordio alla regia sincero quello di Sara Petraglia, contemporaneo e graffiante, in grado di coinvolgere lo spettatore nella storia universale di due ventenni alla ricerca di utopie e speranze mancate, della loro voglia di vivere e amare nonostante la grande infelicità.
La Pie Voleuse
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