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Un milione di granelli di sabbia - Recensione: la speranza nella rena

L'ultimo documentario di Andrea Deaglio mostra il lavoro di Eva Pattis Zoja e dell'expressive sandwork

Un milione di granelli di sabbia è un film documentario di Andrea Deaglio, scritto da Andrea Deaglio e Stefano Zoja.

 

Eva Pattis Zoja, psicoanalista junghiana, è una terapeuta della sabbia.

 

Dopo anni di studi, ha fondato il metodo Expressive sandwork basandosi sulla psicologia analitica e sulla Sandplay therapy di Dora Kalff

 

[Il trailer di Un milione di granelli di sabbia]

 

 

L’Expressive sandwork che consiste nel dare, laddove la psicoterapia non è praticabile, degli strumenti e della sabbia con i quali i pazienti elaborano delle immagini.

 

Questo metodo è applicato in moltissimi paesi tra cui Ucraina, Germania, Palestina e Cina, con bambini che hanno perso i loro cari a causa di violenze e calamità naturali oppure per bisogni educativi mirati, disturbi da stress post-traumatico. 

Il documentario Un milione di granelli di sabbia si concentra sulla figura di Eva Pattis Zoja e sull’Expressive sandwork, in particolar modo osservando tre principali situazioni di crisi ovvero il conflitto in Ucraina, la persecuzione dell’Isis contro gli Yazidi e un terribile terremoto in Cina.

 

Oltre a mostrare il contributo di Eva Pattis Zoja per i pazienti in difficoltà, Un milione di granelli di sabbia racconta in parallelo una storia personale della psicanalista, risalente alla Seconda Guerra Mondiale: quella della sua famiglia facendo focus sulla figura materna.

 

 

[Una scena da Un milione di granelli di sabbia]

 

 

“Durante una guerra, o una calamità naturale, si fanno i conteggi di morti, feriti, e ricoverati in ospedale. I "feriti dentro", i traumatizzati, non vengono considerati, eppure i disturbi possono essere di estrema gravità: impossibilità di nutrirsi, dormire, provare sentimenti.” 

 

Un milione di granelli di sabbia indaga, attraverso occhi attenti, sui pazienti a cui sono stati tolti affetti e case, persone che vogliono tornare ad avere una vita dopo la tragedia.

Il tutto avviene in modo non invasivo e piuttosto delicato, facendo risaltare immagini decontestualizzate di lavoro attraverso l’Expressive sandwork per far in modo che il metodo sia sì comprensibile ma lasciando, poi, la parola all’esperta Eva Pattis Zoja.

 

In parallelo vi è la storia della madre di Eva Pattis Zoja e di un uomo che è dovuto partire per la Russia a causa della Guerra, che viene rivissuta attraverso delicatissime lettere scambiate tra i due amanti.

Questo momento, all’apparenza disconnesso, guida lo spettatore nell’accogliere il significato più complesso di trauma e di come esso possa protrarsi per generazioni a causa della sua devastante ma spesso impercettibile presenza.

 

A mano a mano che ne si capisce il meccanismo, le scatole di sabbia e i loro vari elementi (che possono essere soldatini, dinosauri, alberelli, unicorni e tanti altri piccoli giochi) iniziano ad assumere significati sempre più più forti, divenendo un tramite corporeo per le emozioni.

 

Nei ricordi, dove il trauma si nasconde silente, la sabbia è lo strumento di speranza per esprimersi; per riscoprire se stessi oltre il dolore. 

 

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