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Quali risposte vorrebbe dare The Apprentice?
Come sia stato possibile che Donald Trump sia diventato il Presidente degli Stati Uniti (per ora) nel 2017?
Qual è stato il germe sociale che ha creato allo stesso tempo la figura del magnate senza scrupoli e del personaggio pop della cultura a "stelle e strisce"?
[Il trailer di The Apprentice]
È fondamentale porsi queste domande in riferimento al film di Ali Abbasi, perché altrimenti un'operazione politica di questo genere - ricordiamo che The Apprentice esce nelle sale a ridosso delle elezioni presidenziali statunitensi - rischierebbe di finire nel mare magnum di biopic senza arte né parte e perciò innocui da un punto di vista sociale e cinematografico.
Un film sulle origini di Donald Trump (come recita il sottotitolo della distribuzione italiana) è anche un film sul periodo storico che ne ha caratterizzato l’ascesa, ovvero i reaganiani anni ‘80.
Per questo motivo la sceneggiatura di The Apprentice sceglie di partire dalla New York degli anni ‘70, che a quell’epoca era stata soprannominata The Fear City: una metropoli dove la criminalità dilagava e dialogava con condizioni socio-economiche pessime.
In questa cornice il giovane Trump (Sebastian Stan) è un rampollo dell’alta società newyorkese, desideroso di farsi spazio tra i nomi che contano tramite agganci e conoscenze di vario tipo ed è in un club esclusivo che Trump fa la conoscenza di Roy Cohn (Jeremy Strong), un avvocato spietato nel giro della mafia - lo vediamo a cena con Tony Salerno - e delle super star.
Ali Abbasi filma l’incontro tra i due come un gioco di seduzione in cui Cohn fiuta e riconosce nel giovane Trump un se stesso più giovane e, di conseguenza, senza scrupoli.
Potremmo dire che Virgilio incontra Dante nell’inferno degli affari statunitensi, dove il demiurgo Cohn spiega e insegna all’artista Trump - così ama definirsi - come vincere sempre.
[Jeremy Strong e Sebastian Stan in The Apprentice sono straordinari nelle loro interpretazioni]
Enrico Berlinguer disse che "Il capitalismo si basa sulla competizione, il socialismo sulla collaborazione"; Roy Cohn invece sostiene che "Per trionfare bisogna attaccare e negare sempre la sconfitta".
Se però The Apprentice si limitasse solo a una raffigurazione di un’ascesa di questo tipo finirebbe nel raccontare ciò che bene o male era già noto.
Il registro adottato da Abbasi non è così incendiario da creare un caso attorno al suo film - purtroppo molti personaggi vengono introdotti solo per dovere di cronaca risultando, in conclusione, superflui - ma la scelta di porre al centro dell’intera narrazione la fragilità maschile eleva il film al di là di una semplice cronistoria degli eventi.
In particolare il sesso come sinonimo di potere è per Trump un'ossessione: riqualificare la 56ª strada di New York costruendo la Trump Tower (un simbolo fallico) significa anche fecondare con il proprio seme una zona, una città, una nazione.
Una scelta, dunque, volta ad affermare sia l’ambizione sia la sessualità del magnate, che in certi casi pare essere messa in dubbio da Ali Abbasi soprattutto all'inizio del film: osservate come Trump risponde alla domanda di Cohn riguardo all’essere un ragazzo che "scopa tanto" o lo sguardo apatico di Trump durante il primo rapporto con Ivana Zelníčková.
[Maria Bakalova interpreta Ivana Zelníčková in The Apprentice]
Più passa il tempo, infatti, più l’erezione del membro per l’ex presidente degli Stati Uniti è data solo dal simbolo della propria torre, con la conseguenza di una crescente ferocia nel settore degli affari: ecco dunque che dopo l’apprendistato (The Apprentice) è il turno del parricidio.
Come in un gangster movie l’ascesa verso il potere implica dei conti da pagare, o meglio, delle teste da mozzare, perciò trasformandosi in un novello Michael Corleone - con la stessa freddezza ma di certo non la medesima astuzia - Trump elimina in modo figurativo chi gli è stato vicino, chi lo ha portato a essere ciò che nel 2017 metà popolo statunitense ha eletto come presidente.
Siamo però sicuri che le cose siano cambiate?
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