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The Dead Don't Hurt - Recensione: western a regola d'arte - Roma 2024

Dopo l'esordio alla regia del 2021 con Falling - Storia di un padre, Viggo Mortensen torna dietro la macchina da presa per dirigere un film di cui firma anche la sceneggiatura e la colonna sonora

The Dead Don't Hurt è un raffinato western carico di tensione, con protagonisti Viggo Mortensen e Vicky Krieps nei panni di due immigrati che cercano di costruirsi una vita in una cittadina corrotta del Nevada. 

 

[Il trailer di The Dead Don't Hurt]

 

 

Un cavaliere in armatura passeggia in una foresta, il viso febbricitante di una donna che esala l'ultimo respiro; un massacro, una tomba scavata vicino un cespuglio di rose.

 

La morte in ogni sua forma occupa i concitati minuti iniziali del film, prima che una scritta rosso sangue rassicuri il pubblico, ricordandogli che i morti non soffrono.

 

Con una struttura narrativa che alterna passato e presente, tra paesaggi mozzafiato della frontiera americana e interpretazioni a mio avviso notevoli, in The Dead Don't Hurt Mortensen si serve del genere western per delineare il ritratto appassionato di un'umanità succube di un mondo di violenza.

 

 

[Una scena di The Dead Don't Hurt con Vicky Krieps e Viggo Mortensen]

 

Vivienne è una bambina che vuole combattere come fanno gli uomini, sognando di indossare un'armatura come è stato per la sua eroina Giovanna D'Arco.

 

La sua famiglia è di origini franco-canadesi e suo padre muore quando decide di impegnarsi in una guerra che non gli appartiene.

Il paese libero in cui Vivienne ha trovato una nuova casa, è traboccante di prepotenza e l'omertà dilagante frena il progresso. 

 

La legge iniqua che si fa portavoce del nome di Dio è dalla parte dei corrotti e l'essenza multiculturale della società è vittima di continui soprusi e intolleranza.

Mortensen crea per The Dead Don't Hurt una cornice composta dai topoi classici che hanno caratterizzato il genere western tradizionale, da cui decide di prendere le distanze dal punto di vista formale, decostruendo i racconti convenzionali e esplorarando nuove strutture narrative.

 

Alcuni hanno considerato questa scelta frutto dell'immaturità del regista, criticando soprattutto l'abuso dei flashback; io ritengo che la decisione di procedere su diverse linee temporali conferisca all'intreccio una dinamicità coinvolgente e un'incantevole profondità di significati.

 

 

[Una scena di The Dead Don't Hurt]

 

Mentre gli uomini non fanno che parlare di conflitti, affari e immigrazione, Vivienne resta in silenzio; non per sottomissione, ma per noia. 

 

È completamente insofferente a quel mondo vuoto che le ruota intorno, ostentato e caotico eppure, nella folla trova gli occhi di Olsen, anch'egli immigrato.

I due sono loquaci, si ritagliano da subito una realtà tutta per loro: quando sono insieme hanno parole l'uno per l'altra e il resto sembra non importare. 

 

Durante la conferenza stampa di presentazione alla Festa del Cinema di Roma Viggo Mortensen ha dichiarato che per lui era fondamentale che i personaggi fossero in grado di esprimere emozioni e pensieri in silenzio.

Per questo, ai grandi centri abitati, i protagonisti di The Dead Don't Hurt preferiscono la frontiera; all'anarchia delle città polverose contrappongono la loro intima società isolata, in mezzo alla natura arida che Vivienne e Olsen saranno in grado di piegare ai loro bisogni.

 

L'ombra della violenza incombe però sulla vita di entrambi: in piena guerra civile, Olsen decide di arruolarsi nell'esercito dell'Unione, obbedendo a un ideale di lealtà che Vivienne fatica a accettare e che porta a incrinare irrimediabilmente il loro rapporto.

Olsen se ne va e con lui anche la guerra rimane fuori campo, lasciando al centro della vicenda Vivienne. 

In questo modo il regista cerca di riscrivere le priorità del film, sbilanciando la storia verso la protagonista femminile che, rimasta sola, viene coinvolta in un turbine di indicibile violenza.

 

In una comunità reticente Weston Jeffries (Solly McLeod), il figlio dello spietato imprenditore locale, inizia a rivolgere le sue attenzioni alla risoluta Vivienne che non riuscirà a sottrarglisi.

È qui che si entra nel vivo della dimensione drammatica: ogni volta che il personaggio di Weston è in scena, si innesca un inesorabile crescendo di tensione.

Sono scene emotive che lasciano lo spettatore col fiato sospeso; intense, interminabili, crudeli. Quando Olsen torna dalla guerra trova una realtà immobile e pure profondamente diversa. 

Se il protagonista maschile in The Dead Don't Hurt cerca di combattere gli abusi in nome della giustizia, prima servendo in guerra e poi attraverso una scoraggiante esperienza da sceriffo, Vivienne è completamente disillusa rispetto a una società fondata esclusivamente sulla prevaricazione.  

 

La donna dovrà fare i conti con le conseguenze di quella cieca violenza, che la accompagneranno per il resto della sua esistenza, come un'infezione che quieta e inesorabile le consuma la vita.

 

 

[The Dead Don't Hurt: Vicky Krieps nei panni della risoluta protagonista Vivienne]

 

 

La stampa ha da subito definito The Dead Don't Hurt un western femminista, per la scelta dell'autore di spostare il focus della narrazione sul personaggio interpretato da Vicky Krieps. 

 

Non mi trovo pienamente d'accordo con questa definizione, positiva ma semplicistica, e neanche con la ricorrente e fastidiosa necessità di sottolineare quanto lo spettatore si trovi davanti a una donna forte, rimarcando la natura apparentemente ossimorica di tale definizione.

Lo stesso Mortensen ha dichiarato che nella fase di scrittura non era intenzionato a rendere Vivienne un'icona politica, ma che inevitabilmente il pubblico proietta le proprie aspettative nelle opere di finzione, riconoscendo nei personaggi i suoi modelli ideali. A proposito di questo ci sarebbe da chiedersi, a mio avviso, quanto senso ha definire femminista un film scritto, diretto e prodotto quasi interamente da uomini?

 

Che Vivienne sia il personaggio attraverso cui The Dead Don't Hurt si sottrae a certe sovrastrutture narrative troppo radicate nella tradizione è, in mia opinione, innegabile.

Per affermare se stessa, infatti, la protagonista non ha bisogno di sostituirsi alla figura maschile, non impara a sparare, ma rimane in piedi, fiera e orgogliosa davanti al suo aguzzino.

 

In una scena in cui i due protagonisti sono a cavallo, dopo il ritorno di Olsen dalla guerra, Vivienne attraversa per prima una pozza d'acqua e quando sta per risalire lascia cadere il braccio all'indietro verso il suo compagno che le afferra la mano, lasciandosi guidare fuori da lei.

È un passaggio molto forte e significativo.

Attraverso un gesto tanto tenero e delicato, Vivienne permette a Olsen di rinsaldare quel rapporto danneggiato dalla guerra e la violenza. La donna sa cavalcare e l'uomo non ha bisogno di aiuto, ma i due si trovano, senza neanche bisogno di guardarsi negli occhi.

 

The Dead Don't Hurt non è una storia di vendetta e neanche di redenzione, come ci si potrebbe aspettare: è la storia di una donna che non vuole essere salvata, ma che desidera tenerezza in un mondo di uomini che fanno la guerra. 

L'archetipo del cowboy che cavalca il suo purosangue con la colt nel cinturone è inaccettabile in questa dimensione, anche se ancora profondamente radicato nell'immaginario collettivo.

 

Forse proprio per questo nel finale Olsen avanza verso il mare, lasciandosi alle spalle quella società di frontiera, virile e ormai superata, inconciliabile con quello che lo aspetta. 

 

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