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Siamo fatti della stessa stoffa di cui sono fatti i Parker - Ovvero: Come Stan Lee ha costruito l’eroe moderno.
Gli eroi non sono invenzione del fumetto ma l’umanità tutta, tessendo una linea che parte dalla drammaturgia greca e dalle loro epopee eroiche fino ad agganciarsi al supereroe in calzamaglia, ha sempre cercato in queste figure delle morali, dei simboli, delle metafore atte a sottolineare i lati migliori della specie.
Gli eroi, per definizione, non sono infallibili.
Sono uomini con dei pregi straordinari e vittime di avversità e mancanze, proprie o improprie, tipiche dell’essere umano.
Gli eroi possono essere sconfitti, feriti, imprigionati, diventare arroganti e avere un punto debole o, perchè no, divenire naufraghi alla deriva in un mondo ostile e pericoloso, mossi dall’unico obiettivo di tornare a casa per proteggere quelli che amano.
Con il tempo, sfortunatamente, questa definizione è stata reinterpretata, accantonando la catarsi dell’eroe in favore di un ben più prosaico scopo propagandistico.
L’eroe moderno, quello coltivato principalmente dalla società vincente per eccellenza, è divenuto quello americano, che con la saggezza di un popolo come quello greco ha davvero poco a che spartire.
Il paladino americano è un vincente.
Un adone dalla mascella quadrata, dal capello biondo impomatato, desiderato dalle donne, venerato dalle masse e letteralmente infallibile.
Un uomo, nel senso più macho e testosteronico del termine, lontano dalla definizione latina che vede l’etimologia della parola ricondurre direttamente alla terra.
La morale, disumana e superficiale, di questi personaggi era che per essere un eroe, per essere un vero americano, dovevi essere ricco, pieno di donne, incapace di sbagliare e, sostanzialmente, perfetto.
Quando Stan Lee cominciò a bussare alle porte delle case editrici con il suo Spider-Man, si sentì ridere dietro.
Il suo Peter Parker era un ragazzino rachitico, un secchione fissato con le scienze, un nerd, un freak per nulla interessato al football americano, tremendamente impacciato e timido con le ragazze, un fallito la cui famiglia non era stata in grado di seguire l’American Way.
Peter Parker era un ragazzo comune, l’outsider bullizzato dal capitano della squadra di football poiché specchio di una debolezza inaccettabile.
Stan Lee stava parlando a quello tra la folla che guardava alla reginetta e al re del liceo.
Noi tutti siamo Peter Parker.
Siamo il ragazzino, anche dotato, che a scuola cerca di tenere un basso profilo per evitare problemi.
Siamo il tipo che non parla di macchine veloci e completi doppiopetto italiani, perché il suo sogno è essere qualcosa che non è in vetrina.
Siamo l’impacciato che nutre dubbi su se stesso, mettendo costantemente in discussione le proprie capacità, nato con carte discutibili e perennemente costretto a lottare pur di guadagnare ogni centimetro, quasi costretto a fallire per poi tentare ancora.
Siamo quello che manca a qualche festa perché deve trovare un lavoretto per far quadrare i conti di casa, siamo l’impopolare.
Siamo quello con la bicicletta scassata che guarda il fico del liceo andare via con la ragazza che tanto vorremmo saper corteggiare.
Peter Parker era il lato della società americana che gli americani stessi non volevano vedere, quella che avevano nascosto nei sobborghi del Queens o di Brooklyn, sotto il tappeto di una megalopoli come New York, la città più cool del pianeta.
Peter Parker, il pavido Parker, diventando Spider-Man, intraprendeva il cammino dell’eroe.
Un percorso difficile, epico, il cui principio era un dramma la cui morale voleva far comprendere al lettore quanto l’obiettivo non era essere un eroe perfetto ma, altresì, un paladino guasto, capace di stupefacenti prodezze, eppure così legato alla gente, all’idea di mettere se stesso non sopra gli altri ma davanti, a fare da scudo e monito.
Stan Lee, creando Spider-Man, aveva inventato l’archetipo dell’eroe moderno.
Un super-eroe i cui problemi erano gli stessi del lettore, le cui idiosincrasie del quotidiano entravano negli scontri con Doctor Octopus, Green Goblin, Kingpin, Scorpion o Mysterio, definendo la mitologia di un personaggio unico e che, da lì in poi, avrebbe fatto da base per la ri-scrittura e la scrittura di qualsiasi altro paladino in calzamaglia.
Un personaggio di rottura, contro ogni costume della società e della sua idea di successo e, non per niente, nella finzione viveva un rapporto contrastante con la polizia tanto quanto con il famigerato Daily Bugle, una sorta di istituzione a rappresentare una generazione in decadenza e che le nuove generazioni avrebbero voluto abbattere.
L’amichevole Spider-Man di quartiere è diventato in breve tempo l’eroe di tutti, senza distinzione di razza, credo, colore della pelle o ceto sociale, un simbolo dei lati migliori dell’uomo, ri-scrivendo l’epica dell’eroe classico.
La catarsi di Spidey è racchiusa nella sua capacità di rialzarsi sempre e comunque, nel suo saper essere solare nonostante le avversità, nella capacità di ergersi, straordinariamente, contro ogni nemico, sconfitta, perdita, facendo la cosa giusta anche a suo discapito, abbattendo il distacco che si era creato tra l’eroe patinato e un simbolo della gente.
Spider-Man riderà, farà una battuta su quanto male gli ha fatto quel colpo, guarderà al suo avversario da un frammento della maschera stracciata e lancerà un’altra ragnatela per combattere ancora.
Fino a quando non riuscirà a vincere.
Cos’è Spider-Man: Un Nuovo Universo?
Spider-Man: Un Nuovo Universo è tutto quello che Spider-Man non è riuscito a essere nella Storia del Cinema, fino ad oggi.
I film di Sam Raimi - meravigliosi, sia chiaro - erano intrisi della magia, del romanticismo e della spensieratezza del fumetto creato da Steve Ditko e Stan Lee nei primi anni '60, arricchendosi di una serie di citazioni ai momenti e ai totem rappresentativi della storia del personaggio.
Il dramma, amato da Stan Lee, delle scelte di Peter e dell’idea di responsabilità, mai così potente in nessun’altra incarnazione, e la potenza epica della maschera.
Spider-Man 2 è forse IL capolavoro del cinecomic e manifesto principe - wait for it - dell’iconografia del personaggio, dove Spidey è potente, forte, umano e fragile.
Impossibile da dimenticare il duplice rapporto tra il Dottor Octavius/Doctor Octopus e Peter/Spidey, la genesi del villain e la caduta e risalita di Spidey, e quel susseguirsi di parallelismi e frasi che ormai sono storia del cinema.
Il modo in cui Raimi rende umano il cattivo, trascinandolo fuori dal guscio cartoonistico e stereotipato, è potente tanto quanto quello dell’eroe.
Eppure, la trilogia di Raimi, per quanto pregno di una poetica ben bilanciata, soffre di un carattere poco fumettistico, nelle accezioni positive dell’aggettivo.
Qualcosa che avrebbero fatto, qualche anno più tardi, e non sempre come si deve, i Marvel Studios.
I successivi capitoli diretti da Marc Webb soffrono invece di una voglia di riscrivere il personaggio che dimentica, totalmente, il cuore dell’iconografia di Spider-Man, mettendo in scena uno sforzo ammirevole, ma già oggi invecchiato talmente male da risultare quasi parodico.
In quei The Amazing, di Spider-Man, manca quasi tutto.
Spider-Man: Homecoming fa quanto non aveva fatto il cinecomic di Raimi, ma lo compromette con l'ingombrante presenza di un Tony Stark, che fa a pezzi la potenza di Peter Parker e quella sua peculiarità, discussa nell’introduzione, che ha fatto del personaggio “L’Amichevole Spider-Man di Quartiere”; Peter Parker è grandioso, lo ribadiamo, proprio perché non ha bisogno né di Tony Stark, ne degli Avangers, ma solo di se stesso.
Quel film, per quanto interessante, non parla al suo pubblico, se non in una veste puramente formale destinata a invecchiare molto velocemente, e lascia in cantina la costruzione del carattere e del suo mito, ridicolizzando anche una delle citazioni più importanti.
Spider-Man: Un Nuovo Universo, invece, è il film che il pubblico stava aspettando da anni e che finalmente è arrivato.
Il film sviluppato dai Sony Animation Studios in collaborazione con i Marvel Studios è, scusate se uso un’espressione forse banale, una lettera d’amore per il personaggio, un atto d’affetto verso il pubblico e portale verso il lascito del personaggio più potente creato da Stan Lee - e forse del panorama fumettistico.
Un Nuovo Universo mette al centro Miles Morales, che è un nuovo Peter, la nuova maschera che Spider-Man può e deve indossare per parlare al tempo presente, configurandosi nel nuovo POP, nelle dinamiche di una contemporaneità le cui sfide sono di una generazione che desidera ardentemente urlare, ma si sente affranta e spaventata, resa insicura e scoraggiata da un mondo vecchio che s'impone sul presente senza comprenderlo davvero.
Miles è quello che si può configurare oggi come un freak e un outsider della società americana.
Un ragazzo dal retaggio culturale arricchito dalla commistione di culture e paesi che rappresenta la sua famiglia, un ragazzo di Brooklyn che si rilassa ascoltando Post Malone e sognando di portare avanti la sua voglia di vivere la città tentacolare fatta di un caotico e stimolante melting pot, di avere una voce attraverso la street art e simboli che gli appartengano, piuttosto che la soffitta polverosa di roba anni '80 della quale spero ci libereremo presto.
Il presente è ora, si chiama Miles Morales e viene da Brooklyn, le sue avventure sono scritte da Michael Bendis e disegnate da Sara Pichelli (non posso comprendere la sua emozione nell’andare al cinema a vedere il suo Spidey).
Dopo un tempo che è sembrato infinito, il pubblico ritrova il suo beniamino, quello che, senza prendersi troppo sul serio, e sfottendo alcune pagine della sua storia al cinema, salva la giornata arrivando giusto in tempo, ritornando a essere l’eroe di tutti.
Improvvisamente siamo il ragazzino che da bambino si sentiva rispondere che "essere Spider-Man" non è una risposta accettabile al tema "cosa vuoi essere da grande".
Quando invece questo film ci insegna che dovremmo perseguire quell'ambizione ogni giorno, portandola con noi sempre, fino alla fine, ricordandoci di tornare sulle gambe ogni volta che cadiamo, dopo ogni passo falso, dopo ogni cosa andata non come ci aspettavamo.
Dobbiamo ergerci sopra le avversità ogni volta che qualcuno ci fa sentire sbagliati e accettarci, cucendo il nostro costume partendo da un simbolo e non cercando di ricalcare, ad ogni costo, quello altrui, quello che non siamo, quello che gli altri vorrebbero che noi fossimo.
Spider-Man, e oggi Miles Morales, vuole rinnovare quel sentimento, quel messaggio di auto accettazione, andando contro la corrente del nuovo pensiero che ci vorrebbe sempre vincenti, perfetti in ogni post e fotografia, riflettendo un'immagine costruita di un personaggio che vorremmo essere per un gruppo di maschere omogenee, ugualmente senza identità.
Miles Morales, invece, è Spider-Man, un eroe diverso e comune, un paladino umano e fragile, che sente il bisogno di un padre, di una figura di riferimento che è un po' un fratello riflesso distorto di quello che sente, esattamente come ciò che sente crescere dentro, e di una madre che sia il suo rifugio.
Gwen, Spider-Woman e Peter B. Parker, diventano invece altre forme di imperfezione, altre versioni di noi stessi, altri freaks e guerrieri contro le cose pesanti e opprimenti che ci buttano a terra e che, mai e poi mai, getteranno la maschera in un cassetto per dichiararsi sconfitti.
Peter B. Parker, poi, è anche il filo conduttore ultimo di un film multi-generazionale che viaggia attraverso il tempo, parlando a tutto il pubblico, comunicando con il popolo di Stan Lee, il Sorridente, raccoltosi sotto un unico tetto per celebrare, ancora una volta, l'amore verso un simbolo senza età, spazio e dimensione.
Tutti figli di un unico, geniale creatore il cui lascito più grande è questo, stupefacente, carattere.
Simbolo e paladino, metafora e mito, ideale e poesia della bellezza complicata di un'umanità che deve imparare a convivere con le sue fragilità, le sue responsabilità e i suoi doni.
Spider-Man: Un Nuovo Universo è divertente, caldo, commovente, infantile, epico, possente nella caratterizzazione anche dei cattivi - Kingpin e Prowler protagonisti enormi - elegante nella sua tecnica d’animazione che vuole dare una forma pop alla scrittura di una storia davvero nei tempi - dimostrazione lo è l’improbabile e strambo cameo di Seth Rogen.
Un film destinato a diventare una pietra miliare del cinecomic e dell’animazione, una sorta di meraviglioso manuale su “Come si legge Spider-Man”, capace di portare, in una storia perfettamente bilanciata, ogni elemento marchio del personaggio.
In Italia il film uscirà il 25 dicembre: andate al cinema.
Andate con i vostri figli, nipoti, amici, compagni o compagne di vita e con loro travestitevi, mettete la maschera e lasciatevi raccontare un storia immortale e la metafora più grandiosa e avvincente del mondo moderno e del panorama pop.
We are Spider-Man!
Post Credit:
Sono seduto nella mia poltroncina, completamente immerso nel film.
La sala buia è popolata da ragazzi che hanno prenotato in anticipo una visione in anteprima del film.
Una ragazza tailandese, seduta nella poltrona accanto, indossa un cappello di lana di Spider-Man, un plaid di Spider-Man e i pantaloni della tuta di Spider-Man.
Altri ragazzi hanno magliette e cappelli.
Il cameo di Stan Lee appare a schermo, scandito dalla voce inconfondibile del Sorridente.
Il pubblico si lascia andare a un sospiro che è un misto di tristezza e tenerezza.
Alcuni iniziano a singhiozzare.
Nel silenzio più totale la commozione ha la meglio su tutti i presenti.
Alla fine c’è spazio per un sorriso, ma nel cuore di tutti è ben chiaro che quello che abbiamo appena visto è il cameo più bello, accorato e significativo di tutta la carriera di Stan Lee.
No spoiler.
Excelsior!
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2 commenti
Solo Gary
5 anni fa
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Alessandro Dioguardi
5 anni fa
La tua risposta e' una risposta comune e che mi ha sempre affascinato.
Ho ereditato i fumetti de L'Uomo Ragno - Spider-Man a livello internazionale per direttiva Marvel solo nel recente passato -, da mio padre.
Il film di Raimi e' praticamente ritratto di quei fumetti e Raimi stesso e' un grande fan del personaggio e questo traspare dalle molteplici citazioni, anche visive - come lo Spider-Man No More del secondo film che cita una tavola di John Romita Senior -.
A quello Spider-Man, manca solo la parlantina durante le scazzottate, ma quello non fa il personaggio.
Quello di Amazin l'ho sempre visto sbagliato.
Non e' un eroe, non ha la moralita' di Spidey, non ne ha i messaggi, e' quasi diseducativo e se nel secondo film aggiustano il tiro su questi piani, pur rimanendo una commedia romantica con Spider-Man, nel primo proprio non ci siamo.
Spidey viene messo a tappeto da una pallottola di striscio e da un taser e che nel secondo combatta contro Electro ... beh, fa ridere.
Homecoming, come in recensione, soffre proprio di una mancanza di carattere che i Marvel Studios hanno scelto consciamente.
Non erano obbligati da niente, il personaggio e' loro ed avrebbero potuto decidere, come mi sarei aspettato, d'introdurre un ragazzino irriverente e geniale, seppure immaturo, che riusciva a mettere un po' in ombra questi eroi, per il pubblico del cinema, ormai mitici.
Un canovaccio classico che avrebbe funzionato per introdurre un carattere potente e dare via al nuovo corso Marvel - vedrai cosa intendo guardando il film d'animazione.
Invece, gli studios hanno scelto, di continuare a fare di Tony Stark il fulcro della loro narrativa.
Questo nuovo film, come anticipato, si cura invece di rendere il mito di Spider-Man come dovrebbe essere letto e, come anticipato, guardandolo, capirai.
Quanto trovo difficile nalla messa in scena, live action, di Spidey, e' la potenza cinetica.
Raimi ci ha provato, splendidamente, inventando anche nuove tecniche di ripresa e scene come la scena del treno, la Marvel, non le ha ancora replicate, nonostante la tecnologia sia cresciuta.
E' difficile, pero' un personaggio come Spidey ha bisogno di grandi voci, per essere raccontato e fallire e' MOLTO facile.
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