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Niente da perdere - Recensione: una madre contro il sistema

L'esordio alla regia di Delphine Deloget è un dramma familiare impreziosito da una grande interpretazione di Virginie Efira: nelle sale dal 16 maggio grazie a Wanted Cinema

Niente da perdere (Rien à perdre), esordio alla regia di Delphine Deloget, è un dramma sociale di chiara ispirazione loachiana che aggiunge un nuovo tassello alla collezione di grandi interpretazioni di Virginie Efira (I figli degli altri, Benedetta), tra le attrici francesi più attive e ricercate del momento.

 

Distribuito in sala da Wanted Cinema, etichetta che continua a puntare con determinazione sul Cinema al femminile, a ormai un anno di distanza dall'anteprima nella sezione Un Certain Regard della scorsa edizione del Festival di Cannes, l'opera prima di Deloget è un'opera di denuncia su una burocrazia miope e spietata nel suo porre le leggi di fronte agli individui che garantisce di scuotere la coscienza dello spettatore.

 

[Il trailer originale di Niente da Perdere, al cinema dal 16 maggio con Wanted Cinema]

 

 

In Niente da perdere, un banale incidente domestico sconvolge gli equilibri della famiglia Paugam, composta da Sylvie (Virginie Efira), madre single e lavoratrice, e i due figli: l'adolescente Jean-Jacques, detto JJ (Félix Lefebvre), adolescente e promettente musicista appassionato di cucina, e il più giovane Sofiane (Alexis Tonetti), ragazzo dolce ma emotivamente instabile.

 

I tre vivono in un appartamento sgangherato a Brest, che Sylvia mantiene lavorando come barista in un nightclub; proprio mentre la madre è di turno, Sofiane si brucia il petto cercando di cucinare delle patatine fritte.

 

JJ accompagna Sofiane al pronto soccorso e la vicenda sembra chiudersi con un grande spavento e qualche ustione trattabile in poco tempo ma presto i servizi sociali si presentano a casa Paugam: l'assenza di Sylvie durante l'incidente convince il tribunale dei minori ad affidare Sofiane a una casa famiglia.

 

Per la donna inizia un lungo calvario burocratico e personale, affrontato con determinazione con un solo obiettivo: riportare a casa il figlio a tutti i costi.

 

 

[La quiete prima della tempesta: l'armonia della famiglia Paugam sta per essere sconvolta dai meccanismi disumani della burocrazia in Niente da perdere]

 

 

Niente da perdere è un dramma realista e senza fronzoli; Deloget viene dal documentario e lo dimostra, ritraendo con precisione e accuratezza il sistema amministrativo alle spalle dell'assistenza per l'infanzia ma lasciando la scena a Sylvie e al suo mondo fatto di orari sfiancanti, amici disillusi e forse mai troppo cresciuti e figli bisognosi d'amore.

 

Sin dalle prime battute il rapporto della donna con i figli ci viene presentato come amorevole e rispettoso; JJ e Sofiane crescono in un ambiente progressista, circondato dagli amici della madre, ognuno alle prese con le proprie aspettative tradite e le difficile sfide della vita.

 

La routine della famiglia Paugam, così familiare e comune per lo spettatore che vi si può identificare con facilità, viene sconvolta dall'incidente di Soufiane, che ci colpisce per la sua banalità e che per questo risulta tanto più assurdo quando la situazione si imbroglia nella maglie della burocrazia.

L'ingiustizia del sistema legale francese irrompe sullo schermo in tutta la sua assurdità kafkiana e presto Sylvie viene inghiottita in un dedalo di appelli, permessi di lavoro, sedute di terapia di gruppo e visite a scadenza settimanale a quel figlio che fino a poco prima era una presenza costante e rassicurante nel nucleo familiare, con Deloget che sembra guardare lo spettatore negli occhi per chiedergli: "e se accadesse a te?".

 

Niente da perdere è retto da un'interpretazione di Virginie Efira in particolare stato di grazia, con l'attrice che traspone il trauma di una vicenda così drammatica sul suo sguardo stanco, sulla sua bellezza minata dalla fatica e sul suo volto indurito dalla determinazione.

 

È inevitabile che il film si concentri su di lei, su una donna che, contrariamente al titolo, sembra avere tutto da perdere quando il mondo le crolla addosso; ma Deloget è brava a dare il giusto peso a un cast di comprimari di livello, con ciascun personaggio che rappresenta un tassello importante del modo in cui Sylvie vive il mondo e lo tramanda ai figli.

 

 

[Niente da perdere regala l'ennesima grande interpretazione di Virginie Efira, qui in una prova particolarmente difficile nel ruolo di una madre alla quale viene strappato il mondo da sotto ai piedi]

 

 

La regista rinuncia a mettere in scena una controparte romantica maschile, dipingendo la stessa Sylvie sia come donna indipendente che come parte di una famiglia, rappresentata dai due fratelli Alain (Mathieu Demy), diligente e lavoratore, e Hervé (Arieh Worthalter), slacker festaiolo ed eterno Peter Pan.

 

In Niente da perdere i fratelli di Sylvie rappresentano uno spaccato del mondo dei quarantenni in una città di provincia: cresciuti senza accorgersene, costretti a scegliere un lavoro che odiano, con la magra consolazione delle sbornie del venerdì sera.

 

Se Alain accetta la situazione scegliendo di integrarsi, Hervé la rifiuta completamente, optando per il gioco d'azzardo, la bottiglia e la vita frugale in un casolare dismesso.

Sylvie sta nel mezzo, costretta a crescere con determinazione ma senza mai tagliare veramente il filo con gli amici più spensierati; Efira ne dipinge un ritratto complesso, in cui vediamo nella donna sia la convinzione di chi è pronta a dare tutto per i figli che la fragilità, il dubbio di chi pensa di non dare abbastanza.

 

Se il sequestro legalizzato di Sofiane sta al centro della vicenda, è il fratello adolescente JJ il cuore di Niente da perdere: il sorprendente Félix Lefebvre interpreta il ragazzo con sensibilità e intelligente, rendendo credibile il ritratto di un giovane costretto a crescere troppo in fretta, a pensare da adulto quando i più grandi sembrano più immaturi di lui, mentre egli stesso è nel processo di capire cosa vuole diventare.

 

È un peccato che un film con così tante cose da dire come Niente da perdere scivoli in alcuni stratagemmi narrativi mirati a rafforzare l'empatia dello spettatore, soprattutto quando la drammaticità della vicenda ha da sola il giusto potere di coinvolgimento: mi riferisco in particolare al ritratto spietato degli assistenti sociali, che appaiono a tratti come veri e propri mostri senza alcuna traccia di empatia.

 

In particolare Louise (India Hair), l'assistente sociale che segue il caso di Sofiane, sembra spiccare per sadismo, riportando alla mente il personaggio di Louise Fletcher in Qualcuno volò sul nido del cuculo; Hair riesce a rendere il personaggio talmente odioso che sembra portare lo spettatore a giustificare, se non gioire, per un particolare atto di violenza nei suoi confronti.

 

 

[Il giovane Alexis Tonetti interpreta un bambino che viene strappato alla custodia della madre in Niente da perdere. La regista Delphine Deloget ha condotto ricerche diligenti sul sistema dell'assistenza all'infanzia francese, intervistando avvocati, giudici e operatori sociali impegnati in casi reali]

 

Questo insistente manicheismo tra l'amore della famiglia e l'insensibilità del sistema porta purtroppo a trascurare l'altra parte della medaglia, ovvero l'esperienza di Soufiane: una volta che il bambino viene strappato alla madre sembra scomparire di scena e gli effetti traumatici della separazione sul giovane ci vengono spesso riportati in maniera indiretta.

 

Il finale di Niente da perdere, che non anticipo, non sembra dare una soluzione chiara e definitiva e può sembrare un po' troppo indulgente, se non addirittura incongruente; ma ha comunque il coraggio di sollevare ulteriori questioni importanti, in particolare sulla possibilità di condurre una vita al di fuori del sistema.

 

Niente da perdere è un film che garantisce ore di angoscia per gli spettatori con figli a carico: un dramma piccolo ma potente che si interroga sugli affetti familiari e sulle zone di resistenza a cui fare appello nella terribile (e possibile) evenienza di eventi traumatici e inaspettati.

 

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