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Atlas - Recensione: crudo e pesante - Torino Film Festival 2018

Un film solido, crudo e pesante come un macigno grazie ai suoi silenzi e alla sua violenza

Atlas, film tedesco di David Nawrath in concorso al 36° Torino Film Festival, racconta alcuni giorni della vita di Walter (interpretato da Rainer Bock, il Werner Ziegler di Better Call Saul), un traslocatore silenzioso, ex culturista e con qualche anno di troppo rispetto ai suoi colleghi che lavora per un'azienda che esegue sfratti e pignoramenti.

 

Non ama il suo lavoro - come nessuno dei suoi compagni di lavoro - ed è un uomo solo, con un grosso peso sulla coscienza: ha abbandonato suo figlio.

Un giorno arriva un nuovo traslocatore, Moussa, mandato direttamente dai malavitosi con cui è in affari Roland, il titolare dell'azienda. 

 

Il nuovo arrivato è completamente l'opposto di Walter: impulsivo, irascibile e violento.

 

 

 


Una mattina devono eseguire lo sfratto di una giovane famiglia, Walter è particolarmente scosso senza un apparente motivo. Inaspettatamente, gli inquilini esibiscono dei documenti che posticipano lo sfratto.


Alfred, il responsabile della squadra e l'esecutore giudiziario se ne vanno senza fare nulla, ma Moussa perde le staffe e aggredisce il giovane davanti a lui.

Scopriremo in seguito che Walter è in realtà il padre del ragazzo e che lo ha abbandonato anni prima privandosi della possibilità di essere genitore e di crescere il figlio.

 

Qualche sera dopo, Walter sembra pronto a presentarsi a Jan (questo è il nome del ragazzo) che viene aggredito proprio sotto gli occhi del padre dagli scagnozzi della famiglia Afsari, di cui Moussa fa parte: Jan ha sporto denuncia per l'aggressione subita il giorno del mancato sfratto e loro vogliono fargliela pagare. 

 

Walter mette in fuga i due teppisti e per riconoscenza viene invitato a cena a casa di Jan dove conosce la nuora e il nipote. 

Nei giorni successivi cerca di calmare Moussa e Roland, ma questi non ne vogliono sapere e dopo un'accesa discussione - durante la quale Moussa gli spacca un bicchiere in testa - scopriamo perché Walter ha abbandonato Jan: dopo la separazione con la moglie, l'uomo non volle lasciare il figlio. Così, nonostante il divieto del giudice, un giorno lo prese e lo portò con sè in giro per la città. 

Il sequestro gli costò la visita a domicilio di un paio di poliziotti venuti per recuperare il bambino. Dopo averli selvaggiamente picchiati, Walter fu costretto a cambiare identità e a darsi alla latitanza, abbandonando quindi il piccolo Jan.

Dopo questo momento di apertura - con il racconto del dramma familiare - Moussa dimostra comunque di non voler lasciare in pace il "figlio ritrovato" del collega e così Walter lo uccide.

 

Walter, che non ha ancora detto nulla del suo segreto a Jan, decide di prendere in ostaggio il nipote di quattro anni per convincerlo ad abbandonare l'appartamento.

Trascorre con lui una giornata - come quella passata con il figlio anni prima - e, dopo averlo riportato a casa, degli scagnozzi della famiglia Afsari gli sparano svariati colpi.

 

Il film si chiude su Jan che va a trovare il padre in carcere definendosi "un parente".

 

 

 

 

Atlas è un film dalla narrazione molto classica: una storia di vendetta con di mezzo la malavita.


Tuttavia, se la tendenza attuale del revenge movie sta puntando sempre più a un'estetizzazione fotografica e coreografica (basti pensare a John Wick o Run All Night), in questo caso la scelta di David Nawrath è diametralmente opposta. Il regista tedesco, infatti, costruisce un film cupo, grigio, fatto di azione limitatissima e quasi sempre ridotta a pochissimi secondi, rapidi e visivamente freddi. 

 

L'atmosfera urbana è dominante e i personaggi, sempre vestiti di scuro, si muovono lentamente attraverso situazioni che, eticamente, non sono suddivisibili fra bianco o nero, ma collocabili solo tra le tante gradazioni del grigio.

Questo non significa che il film sia poco curato o visivamente non interessante, anzi, nell'ultimo lavoro di Nawrath - sin dal primo momento - l'estetica si concilia perfettamente con un personaggio protagonista fondamentalmente apatico e con il sottotesto sociale che propone la storia.

Uomini che perdono tutto, lavoratori tenuti sotto scacco dalla malavita, persone che hanno commesso errori e che cercano di superarne l'onta sono gli elementi dominanti di Atlas. 
Il tutto ambientato in una grigia periferia degradata e abbandonata al proprio destino. 

 

In questo senso è emblematica la completa assenza della polizia o di personaggi chiaramente positivi: l'unico personaggio che cercherà di fare qualcosa, Yilmaz, troverà davanti a sè solo un granitico muro di omertà.

 

 


Nawrath è stato molto bravo e astuto nell'uso dei silenzi: spesso interi discorsi e spiegazioni vengono sostituiti da attese, piccoli dettagli messi in scena sempre bene e nel momento giusto.

 

L'esempio più lampante è l'Atlante sul braccio di Walter: il tatuaggio - mostratoci ripetutamente nella foto che ritrae Jan da bambino insieme a una figura di cui si vede solo l'arto - si ripresenta nella sequenza in cui l'uomo si lava le mani dal sangue dopo aver scacciato i teppisti sotto casa del figlio.

 

Il personaggio di Walter è il vero centro della sceneggiatura di Atlas: un uomo che, all'inizio della vicenda, è apatico e assiste passivamente a violenze e soprusi, ma che poco alla volta prende coraggio e agisce arrivando a rischiare la vita e la libertà solo per convincere il figlio a cambiare casa.

Proprio Walter - silenzioso e ieratico per tutto il film - a un certo punto della storia dirà che ognuno deve trasportare il proprio peso: come un novello Atlante, il protagonista conosce bene gli errori commessi ed è pronto a subirne la gravità e la sofferenza senza lamentarsene.

 

Alla fine Walter sopravvive, lasciandosi andare a un senso di apertura verso la possibilità di superare le proprie colpe. Soluzione narrativa che non convince troppo, sia per la troppa semplicità mostrata nel rapporto con Jan sia perché, in un film in cui viene raccontato un senso di colpa decennale, forse, una nota malinconica sarebbe stata più interessante e appropriata riaspetto a un happy ending senza ombre.

Pur non scovolgendo, Atlas resta un ottimo film, che funziona e riesce - salvo i cinque minuti finali - a essere coerente con s stesso e con il peso che vuole mostrare: le sofferenze di Walter diventano il nostro fardello, ci fanno sentire partecipi alle sue vicessitudini, senza però annoiarci mai.

 

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2 commenti

Drugo

5 anni fa

grazie👍

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Fabrizio Cassandro

5 anni fa

Bella domanda, purtroppo non ho potuto seguire la conferenza stampa e quindi non so se è già programmata un'uscita italiana come per The Guilty ed altri titoli, cercherò notizie ;)

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