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Killers of the Flower Moon - Recensione: omicidio, testimonianza, colpa

Killers of the Flower Moon è un film imponente e profondamente statunitense per come mostra il lato colonizzatore e vile dell'uomo, anti epico e per questo perfettamente adatto al tipo di narrazione che sceglie di affrontare

Vedendo Killers of the Flower Moon, l'ultimo e magnifico film di Martin Scorsese, la risposta alla domanda l’abbiamo subito: “Riesci a trovare i lupi in questa immagine?” legge Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) su un libro riguardante la storia del popolo degli Osage prestatogli dallo zio William “King” Hale (Robert De Niro).  

 

Non è difficile trovare il branco di lupi che caccia meschinamente i corpi dei nativi americani, dove scorrono copiosi i litri di oro nero: il petrolio.

Non è difficile perché a essere consapevoli di avere attorno a sé solo animali affamati di denaro sono gli stessi Osage, che all’uomo bianco guardano con diffidenza, preoccupati della sorte della loro cultura per via dei sempre più frequenti matrimoni misti. 

 

È in questo contesto che si inserisce il reduce di guerra Ernest Burkhart, un coyote disperato pronto a rispondere agli ululati tenebrosi di William Hale, allevatore di bestiame nonché vice sceriffo della contea.

 

[Il trailer di Killers of the Flower Moon]

 

 

La storia di Killers of the Flower Moon si dipana gradualmente, seguendo il ritmo di una caccia spietata ma mai frenetica - la colonna sonora blues e rock di Robbie Robertson è quanto mai decisiva - come se ci fossero nascoste fisicamente delle trappole pronte a falciare animali inermi.

 

Se in un primo momento si poteva pensare a Killers of the Flower Moon come un western, vedendo il film di Scorsese la sua collocazione sembrerebbe guardare al noir. 

D’altronde John Ford ha insegnato che nel West se la leggenda diventa realtà vince la leggenda, e con l’epica dei racconti delle Grandi Praterie il massacro del popolo degli Osage non ha nulla a che spartire. 

 

Non è un caso perciò che uno dei colori predominanti in Killers of the Flower Moon sia il nero, un colore che assorbe la luce, che dà respiro al buio favorendo il branco di lupi pronto a fagocitare la terra pregna di sangue, depistando poi i segni di morte e del massacro compiuto.

 

 

[Il sangue nero che sgorga dalla terra]

 

È un’opera silente sul Male quella di Martin Scorsese, visceralmente statunitense per come guarda alla bandiera a stelle e strisce con la consapevolezza della sua natura, vile e conquistatrice.

 

Perché questo film così imponente, ma di una grandezza assordante per quanto è distesa, mostra come la colonizzazione non giunge solo con la conquista fisica dei terreni, ma soprattutto tramite quella psicologica delle persone. 

In Killers of the Flower Moon la violenza avviene il più delle volte fuori campo, trovando spazio invece negli sguardi accoglienti ma mefistofelici di Ernest Burkhart e William Hale, due animali pronti a sbranare Mollie (Lily Gladstone), nativa Osage ricca di giacimenti di petrolio.

Un triangolo di personaggi che da un punto di vista della scrittura è la summa del Cinema di Scorsese, che guarda a The Departed - il rapporto De Niro, DiCaprio e Gladstone è simile a quello tra Jack NicholsonMatt Damon e Vera Farmiga - a Quei bravi ragazzi fino a raggiungere il senso di colpa e perdizione presente in Silence e The Irishman.

 

Un contrasto di luce e ombra che delinea il rapporto tra i tre, dando vita a un mondo rigato da un espressionismo non visivo ma astratto, presente concettualmente nella costruzione della narrazione.

 

Martin Scorsese con The Killers of the Flower Moon tira ancora una volta le fila del passato della propria nazione, trovando nel volto imbastardito di Leonardo DiCaprio una perfetta testimonianza.

 

 

[Leonardo DiCaprio è a tratti irriconoscibile in The Killers of the Flower Moon]

 

Sembra quasi che il regista newyorkese abbia lavorato per disintegrare lo statuto divistico del suo attore feticcio, trovando il lato corrotto degli Stati Uniti nel grugno à la Marlon Brando della prova di DiCaprio.

 

Se De Niro incarna il volto di un Faust moderno, Leonardo DiCaprio risponde alla figura dell’inetto, viscido come un serpente e pronto ad avvelenare il cuore pulsante e puro di una nazione. 

 

Una nazione che nella tragica persona di Mollie - una Lily Gladstone a mio avviso da Premio Oscar - vede una testimonianza reale della colpa di un intero popolo. Un personaggio che rappresenta il senso politico di Killers of the Flower Moon in quanto è IL testimone e perciò l’atto che implica una veridicità nelle immagini che vediamo.

Il legame tra immagini e testimonianza appartiene a una dimensione trascendente che viene attestata dal martirio del popolo Osage e di conseguenza dalla fisicità della carne.

 

Un concetto che richiama la fede cristiano cattolica di Martin Scorsese, come lui stesso dimostra in un finale che è un J’accuse lapidario nei confronti della società odierna.

 

 

[Mollie è tra i più grandi personaggi femminili del Cinema di Scorsese]

 

Killers of the Flower Moon è puro Cinema, che ribadisce come non ci siano film lunghi o film brevi, ma solo grandi film o opere minori.

 

Se al termine dei fluviali 206 minuti senza vorticose accelerazioni di ritmo il tempo sembra essersi fermato, allora significa che ogni immagine mostrata era necessaria. 

 

Un film quindi che indirettamente (forse) è anche una riflessione sul tempo, una battaglia sull’affabulazione contemporanea di immagini fast-food: una delle ultime albe sulle montagne imponenti del Cinema.

 

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4 commenti

Visto ora con vergognoso ritardo, adoro il modo in cui è invecchiato Scorsese: serio, critico e autocritico, coraggioso, libero.
Il film è lungo e lento, eppure non riuscirei a individuare parti superflue. Anzi, ho trovato potentissima la scena della testimonianza in tribunale di Ernest Burkhart, grazie soprattutto all'intensità di DiCaprio (che secondo me avrebbe meritato più considerazione dall'Academy), e avrei voluto durasse molto di più.
Il buon Martin ci consegna un film triste dalla primissima scena fino all'ultima, ci mostra i lupi e ci mostra i loro agnelli sacrificali. Tra inquadrature evocative (De Niro che si fa fare la barba mentre parla con l' FBI, chissà perché), bugie dolorose ("Insulina...") e una colonna sonora che è un gioiello ("Dark Was the Night, Cold Was the Ground" durante la più bella scena del film, basta questo), Scorsese prende coscienza con forza della storia del proprio Paese e ci mette letteralmente la faccia, invitando lo spettatore a fare lo stesso.
Killers of the Flower Moon è un film di cui, nel bene o nel male, ti viene voglia di parlare.

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Giacomo Camilli

1 anno fa

È meglio chi vuole vederlo per rifarsi gli occhi con Di Caprio come mia moglie o chi come me perché vuole rifarsi gli occhi per l'ennesima grande opera di Scorsese?

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Terry Miller

1 anno fa

Ieri sera sono andato a vedere Killers of the flower moon. Non ho niente da dire sul film, mi è piaciuto veramente TUTTO. Mi sembrava di essere davvero nel 1920 e penso che tutti gli interpreti siano stati bravissimi, per quanto ne so io di recitazione che non è un granché, soprattutto DiCaprio e De Niro, ma anche Lily Gladstone è stata bravissima e spero di vederla molto più spesso da qui in poi.
L'unica e dico unica cosa che non mi è piaciuta è stata la durata del film. Sarà che sono arrivato al cinema già stanco dopo una settimana di lavoro e il film è finito oltre mezzanotte, ma finita la proiezione ho avuto la sensazione che il film avrebbe funzionato uguale anche con un 45 minuti in meno.
Comunque quando esce su Apple Tv+ me lo riguardo in lingua originale

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Giacomo Roccaforte

1 anno fa

Film grandioso. La recensione la trovo però un po’ fuori fuoco. Non seguo cinefacts da molto, ma ho notato nelle recensioni di Antolini un solo punto di vista, molta ripetizione nei contenuti e poca vera analisi delle qualità di un film. Ho letto dei pezzi meravigliosi di Jacopo Gramegna, Mattia Gritti, Lorenza Guerra , pieni di idee e con un modo di vedere e pensare al cinema che personalmente amo. In questo caso ritrovo invece lo stesso punto di vista, le stesse parole, ma anche una supposta superiorità nei confronti del lettore. Una superiorità però non acquisita da anni di studio, ma piuttosto (sembra) dopo aver imparato a memoria dei libri e puntato forzatamente il proprio punto di vista in una sola direzione.
Tutto ciò ovviamente è una mia opinione oersonale, non parlo per tutti gli utenti (ovviamente). Amo leggere le recensioni e tendo a rileggerle due o tre volte prima di commentare.
Concludo col dire che ho iniziato a leggere cinefacts a partire dall’ultima Mostra di Venezia e sono molto contento di averlo
scoperto (anche se con colpevole ritardo). Negli ultimi dieci anni ho girato un’infinità di siti di cinema, alcuni veramente riprovevoli, e finalmente la ricerca del sito perfetto è giunta al termine. Prossima mossa il patreon!

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