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La caduta della casa degli Usher - Recensione: il fascino del macabro

Uno sguardo all'ultima miniserie di Mike Flanagan targata Netflix 

I racconti e i poemi di Edgar Allan Poe sono stati adattati sin dall’alba del Cinema - basti pensare a Ragnatela di David W. Griffith - sono poi divenuti poi popolari negli anni ’60 grazie alla vasta produzione di Roger Corman e, tutt’ora, si fanno strada tra registi appassionati “del grottesco e dell’arabesco” che li riadattano in chiave attuale. 

 

È il caso della miniserie televisiva La caduta della casa degli Usher di Mike Flanagan.

 

[Il trailer de La caduta della casa degli Usher]

 

 

Roderick Usher (Bruce Greenwood) assiste al funerale di tre dei suoi figli.

 

È il secondo funerale in pochissimi giorni: il primo è stato quello di altri tre figli.

Accanto a lui sono rimaste solo la sorella Madeline Usher (Mary McDonnell), la nipote Lenore Usher (Kyliegh Curran) e l'avvocato Arthur Pym (Mark Hamill). 

Quella stessa sera, Roderick invita in un’inquietante e vecchia dimora l'avvocato Auguste Dupin (Carl Lumbly) per fare le sue confessioni: nonostante la polizia abbia trovato prove pratiche che le morti non sono correlate tra loro, Roderick afferma il contrario, aggiungendo di essere stato lui a condannare e uccidere tutti i suoi figli. 

 

Mike Flanagan si addentra in un immaginario orrorifico, si fa strada tra tutte le opere di Edgar Allan Poe con riferimenti su qualsiasi (veramente qualsiasi!) piano, sia con grandi sia con piccole citazioni, rendendo La caduta della casa degli Usher un omaggio immenso a uno dei padri della letteratura dell’orrore.

 

Nonostante il nome, La caduta della casa degli Usher non fa riferimento solo all’omonima novella: ogni episodio prende dai più famosi racconti (La maschera della morte rossa, I delitti della Rue Morgue, Il gatto nero, Il cuore rivelatore, Lo scarabeo d'oro e Il pozzo e il pendolo) per culminare con la poesia che ha consacrato Edgar Allan Poe, Il corvo, già preannunciata dal titolo del primo episodio, Una tetra mezzanotte.

 

"Once upon a midnight dreary [...]" è, di fatto, la formula che apre il suddetto poema. 

 

 

[Una scena de La caduta della casa degli Usher]

 

L’apprezzamento e il rispetto verso Edgar Allan Poe e le sue memorie non sono meno celati nei nomi dei personaggi (in particolare quelli che celebrano le donne - d’inchiostro ma anche reali - a lui care) che, speculari a quelli dei testi, ne prendono una o più caratteristiche: per fare un esempio pratico, meravigliosa è la dedica ad Annabel Lee, che nella serie vanta bellezza e integrità interiore, delicata proprio come quella che venne descritta su carta verso il 1948 in nome della deceduta moglie Virginia. 

 

Si potrebbe parlare per ore su quanto La caduta della casa degli Usher rispetti l’origine da cui trae la forza, reggendo egregiamente per 8 episodi senza annoiare un istante, evitando di imitare perfettamente il contenuto originale ma anzi analizzandolo in una chiave che si reinventa attivamente sezionando il contemporaneo, riempiendo la serie di osservazioni verso la società odierna. 

 

Gli Usher di Mike Flanagan devono il loro successo al Ligadone, un farmaco antidolorifico che promette una vita senza dolore ma che, a lungo andare, crea un’enorme dipendenza causando innumerevoli morti.

 

Sono evidenti le allusioni allo scandalo dell’Oxycodone - di cui si è riparlato di recente grazie a Tutta la bellezza e il dolore, Oscar per il Miglior Documentario e Leone d’oro a Venezia - così come risalta la critica all’industria farmaceutica statunitense, un titano che si nutre delle altrui debolezze. 

 

Ne La caduta della casa degli Usher non mancano poi le sferzate nei confronti di una generazione che mangia ciò che trova lasciando i problemi a chi arriverà dopo, preoccupandosi solo del proprio benessere e del proprio privilegio, condannando la generazione successiva a confrontarsi con dei problemi per i quali non ha strumenti risolutivi.

Nella miniserie i figli pagano le colpe dei padri, ma Flanagan evita di dipingerli come vittime e costruisce un intero gruppo di personaggi per i quali è impossibile provare empatia. 

 

Il trend "Eat the Rich" tanto in voga negli ultimi anni - da Parasite a Triangle of Sadness, dai due Knives OutThe Menu - trova qui un'ulteriore, ineluttabile, spietata rappresentazione. 

 

 

[Verna (Carla Gugino) de La caduta della casa degli Usher ha un nome singolare: è l'anagramma di "Raven", ovvero Corvo]

 

Nonostante si sappia fin dalle premesse quale sarà la fine di tutti gli Usher, la narrazione procede progressivamente senza perdere colpi e sorprende alternando scene sia sentimentali sia inquietanti, tipiche del regista, con escamotage già utilizzati nelle precedenti The Haunting of Hill House, The Haunting of Bly Manor e Midnight Mass

 

La caduta della casa degli Usher non è comunque a mio avviso esente da qualche problema tecnico: il primo riguarda alcune scene in CGI che si alternano tra il bello e il pessimo senza un apparente motivo, smorzando un po’ la potenzialità del macabro; il secondo riguarda l’invadente didascalicità e quel bisogno compulsivo di spiegare attraverso le parole ciò che viene mostrato, con l’unica conseguenza di risultare lapalissiano e invadente. 

 

Si può affermare che La caduta della casa degli Usher non voglia stravolgere il genere a cui appartiene e si limita a rispettarne i tópoi correttamente, generando così il potenziale apprezzamento di un vastissimo pubblico e adagiandosi comodamente nel mezzo, in un panorama in cui le serie TV lottano per risultare capolavori o meno, con i suoi tanti pregi e pochi difetti.  

 

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