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The Front Runner è Il film di apertura della 36ª edizione del Torino Film Festival: Jason Reitman, il "figlio del regista di Ghostbusters", come lui stesso si è definito in conferenza stampa, non dirige il classico biopic politico americano di cui tutti abbiamo sotto gli occhi almeno un centinaio di esempi, ma sceglie di costruire un film totalmente altmaniano.
Il vero protagonista non è Gary Hart (Hugh Jackman) o il suo rapporto con la moglie Lee (Vera Farmiga), bensì una storia corale: una serie di famiglie - politiche, giornalistiche, idealistiche e solo successivamente di sangue - e i percorsi di ognuno di questi personaggi.
Gary Hart è il favorito sia per le primarie sia per le future presidenziali e nel 1987 tutti ormai lo danno per vincente, ma sulla sua campagna sta per abbattersi un uragano di nome Donna Rice.
È un politico capace, "uno degli uomini più bravi a spiegare la politica ai cittadini" dirà a un certo punto il personaggio interpretato da uno strepitoso J. K. Simmons, è amato dalla stampa e dai cittadini di tutta l'America.
Ha un solo difetto: odia i riflettori, detesta il fatto che i rotocalchi vogliano parlare della sua vita privata e che la sua credibilità sia valutata anche in funzione del suo comportamento quando è lontano dalla cosa pubblica.
Durante una tappa a Miami conosce Donna Rice, una giovane modella-venditrice di farmaci, laureata con il massimo dei voti, e ha con lei una scappatella - alcuni compagni politici lasceranno intendere che non è la prima avventura al di fuori del vincolo coniugale - che si protrae nelle settimane successive.
Lui è piuttosto attento nel non farsi scoprire, ma un giornalista del Miami Herald fiuta la notizia e lo pedina durante uno dei rendez-vous dei due amanti.
Le prove non sono schiaccianti, ma l'integrità e la riluttanza dell'ex-senatore lo porteranno fino al gesto estremo: rinunciare alla candidatura e annunciare il suo ritiro dalla scena politica.
Il film di Reitman, come ha poi personalmente affermato il regista stesso, gira tutto attorno a una sola domanda:
"Che cosa è rilevante?"
Cosa è importante per valutare l'operato presente o futuro di un politico e, di conseguenza, fino a che punto ci si può spingere nello sbattere in prima pagina la vita privata di un uomo?
In questo campo si sviluppano vari discorsi sapientemente disseminati in tutta la durata del film da uno degli autori più bravi della sua generazione nell'ambito della scrittura.
Coadiuvato da un addetto stampa e da un giornalista politico, Reitman indaga il rapporto tra giornalismo e politica con una lucidità e una chiarezza uniche.
Il tutto mantenendo, come da intenti dichiarati dal regista, una pluralità di punti di vista differenti che portano a non identificare un vero "giusto o sbagliato" nella sua ottica, ma indirizzati a far sì che lo spettatore formi la propria idea in merito a ciò che avviene e a raffrontarla con l'attuale situazione politica.
Tant'è che la produzione del film era cominciata nel 2015 con l'idea di realizzare una pellicola di genere comico-grottesco ("a joke" , testuali parole ndr).
Vedendo però il repentino cambiamento della scena politica e l'arrivo di "leader così indecenti nei comportamenti", Reitman ha deciso di cambiare rotta facendo diventare The Front Runner il trattato sull'etica nella politica e nel giornalismo che abbiamo visto in sala.
Il film cerca chiaramente di capire come siamo giunti alla situazione attuale.
[Jason Reitman con la direttrice del TFF Emanuela Martini]
In tutto ciò Reitman continua il suo discorso - già portato avanti in moltissimi suoi precedenti lavori - sulla figura femminile e sul suo rapporto con il potere/le figure maschili dominanti.
In quest'ottica il regista ha voluto ringraziare la sua produttrice Ellen Eastbrooke ("una delle donne più intelligenti che io abbia mai conosciuto") con la quale ha approfondito la figura della donna resa oggetto dai media.
Tant'è che uno dei motori di questo progetto cinematografico è stato proprio il voler donare una dignità e una tridimensionaliltà alla giovane Donna Rice di cui molti nemmeno ricordano il nome, nonostante la grandissima rilevanza del caso.
Tutti gli altri personaggi femminili (la moglie interpretata da Vera Farmiga e la collaboratrice impersonata da Molly Ephreim) hanno uno spazio e una profondità fondamentali: il film si basa più sulle loro parole che su quelle di altri personaggi che godono di uno screen-time maggiore.
Il passaggio dalla figura femminile all'analisi del mondo familiare è veloce, tanto da rendere il nucleo familiare uno dei poli d'interesse del film.
Sia che si parli di famiglia di sangue - quindi il rapporto tra Hugh Jackman e Vera Farmiga, comprensivo di un interessante ragionamento sul modo di gestire la colpa all'interno della coppia - sia soprattutto quando il fulcro dell'analisi sono famiglie per adesione.
In questo caso quella giornalistica e quella politica, con gli stretti rapporti che vengono a instaurarsi fra gli individui e l'accrescimento che costantemente ne consegue .
Da un lato c'è sempre la fedeltà ai parenti, dall'altro, spesso, quella agli ideali o alle inclinazioni personali.
Il film, come spesso accade nel cinema di Reitman, non lascia per strada l'aspetto visivo ritagliandosi momenti altissima qualità pur essendo chiaramente più incentrato sui temi analizzati e sul racconto dei fatti.
Come detto in apertura, il film è chiaramente figlio del cinema altmaniano, ma Reitman ha tenuto a sottolineare che il suo principale riferimento è stato The Candidate di Michael Ritchie, ovvero una versione "elettrificata" del cinema di Robert Altman in cui, oltre alle storie parallele, trovano forte spazio i conflitti e la concitazione di quelle situazioni e di quegli ambienti (facilmente assimilabili a quello cinematografico).
Reitman apre il film con un lunghissimo movimento di macchina attraverso la selva di giornalisti accampati fuori dall'albergo in cui risiede Gary Hart e lo conclude proprio nella stanza in cui la cerchia ristretta dell'aspirante senatore si sta incontrando.
Questa è una chiara dichiarazione d'intenti di ciò che abbiamo sottolineato in precedenza.
Una recitazione sempre perfetta, nella quale tutti i co-protagonisti spiccano per qualità (un ingrediente senza dubbio necessario per questo tipo di film), viene esaltata dalla regia di Reitman - che lascia ampio respiro a ognuno dei suoi personaggi - il quale, in questo senso, non sbaglia mai tempo o inquadratura.
Decisamente un ottimo film di apertura, non esente da alcune criticità tecniche e di scrittura, come il cambio di obiettivo in corsa (facilmente individuabile) o una didascalicità - probabilmente inevitabile - figlia del genere e della risonanza della vicenda.
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