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Denti da Squalo è il lungometraggio di esordio di Davide Gentile e sarà distribuito nei nostri cinema a partire dal 8 giugno grazie a Lucky Red.
Tra le case di produzione di Denti da Squalo c’è la Goon Films di Gabriele Mainetti, un dettaglio rilevante in quanto lo sguardo con cui si inserisce il film di Gentile all’interno del panorama cinematografico italiano sembra proseguire la strada inaugurata da Lo chiamavano Jeeg Robot prima e Freaks Out poi.
Sebbene lo sforzo produttivo sia inferiore, lo sguardo sulla provincia romana attraverso il Cinema di genere è un aspetto predominante anche in Denti da Squalo.
Seguiamo la storia di Walter, un ragazzo di 13 anni orfano da parte di padre, che durante l’estate trova un rifugio dalla propria difficile situazione in una villa abbandonata.
[Il trailer di Denti da Squalo]
Tra leggende del passato che gravitano attorno a questa villa dall’aspetto sepolcrale e un’amicizia del tutto inaspettata, Walter imparerà a non commettere gli stessi errori del padre, cercando nella sua rabbia la risposta a tutte le sue domande.
Lo stesso Mainetti ha descritto il film di Gentile come “Spielberghiano nel suo DNA” e vedendo Denti da Squalo i debiti nei confronti del Cinema del cineasta statunitense sono molti, in particolare verso E.T. l'extraterrestre.
Il racconto di formazione tramite un’amicizia piuttosto particolare rappresenta, quindi, il nucleo tematico del film, un esordio che si avvicina a molti lungometraggi recenti di produzione italiana che attraverso il genere hanno dato nuova linfa vitale al coming of age.
Spostando il focus dalla poetica spielberghiana, ma sempre verso uno dei grandi registi della New Hollywood, La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi per ispirazione sembra contenere nel suo DNA il Cinema del primo periodo di Martin Scorsese, soprattutto per quanto riguarda Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all'inferno.
Vincitore dell’Orso d’argento per la Miglior Sceneggiatura al Festival di Berlino 2019, La paranza dei bambini mostra i suoi giovani protagonisti come figli di una Napoli il cui tessuto sociale porta il più delle volte a intraprendere la strada della criminalità, soggiogando ogni possibilità verso un futuro alternativo.
Tramite i paradigmi del coming of age, Giovannesi applica questo sottogenere al gangster movie senza indugiare troppo su un aspetto sociologico che potrebbe risultare pedante, bensì cucendo attorno all’ambiente napoletano un film figlio di uno sguardo sincero nei confronti della realtà che vuole mettere in scena.
Il potere come obiettivo ultimo e l’illusione della maturità sopperita da pistole e abiti firmati divorano come un piranha - Piranhas, non a caso, è il titolo con cui è stato distribuito sul mercato internazionale - l’innocenza del protagonista Nicola.
[Nicola (Francesco Di Napoli) in una scena del film]
Sempre parlando di coming of age che flirtano con il Cinema gangster, l’esordio dei Fratelli D’Innocenzo prosegue l’idea di mostrare un percorso di crescita avvelenato da un ambiente sociale intriso di criminalità e disilussione.
Anche se la periferia de La terra dell’abbastanza è romana e non napoletana, le dinamiche di corruzione dell’innocente sincerità adolescenziale sono le medesime e, in questo caso, portano i volti di Mirko e Manolo.
Amici da sempre, la vita dei due ragazzi verrà radicalmente cambiata da un evento fortuito che, complice i consigli sciagurati del padre di Manolo, li trascinerà in un vortice di odio e violenza. La mancanza di consapevolezza su ciò che realmente sta accadendo loro - esemplificativa la scena di sesso tra Mirko e la sua fidanzata - è uno dei temi chiave sviluppati dai D’Innocenzo, che nella sporcizia di questo contesto sociale mettono in scena l’assuefazione del male in tutta la sua crudele banalità.
Sebbene invece A Chiara non sia propriamente un gangster movie, l’indagine sociologica alla base del film di Jonas Carpignano è la medesima de La paranza dei bambini e La terra dell’abbastanza.
Lo sguardo sull'ambiente malavitoso è inizialmente esterno salvo poi addentrarsi pian piano consapevolmente in quell’oscurità. Seguiamo attraverso un Cinema quasi neorealista la giovane Chiara e la scoperta di un mondo che risponde solo a leggi criminali, un’altra faccia della propria famiglia, un incubo che si scontra con i sogni di evasione di una ragazza adolescente.
Si scandaglia un film che si divide tra la realtà e la negazione di essa, tra il sentimentalismo e l’impossibilità di esprimere emozioni, tra la prospettiva di un futuro e la claustrofobia del proprio passato.
Il percorso di crescita di Chiara, quindi, si sviluppa tramite una scelta tra due strade che portano spesso verso una direzione opposta, un bivio che è una sineddoche di tutta l’adolescenza.
[Swamy Rotolo ha vinto il David di Donatello come Migliore Attrice Protagonista per A Chiara]
I tre film sopracitati tracciano una linea che si muove tra il coming of age e il gangster movie declinato in varie forme, specchio di un Cinema che si vuole far carico dei problemi della provincia, relegata per troppo tempo ai margini del racconto dalle produzioni italiane.
Il genere che si mescola con il racconto di formazione può assumere però varie forme e stili, addentrandosi nel fantastico e nel fantascientifico o quantomeno in realtà differenti da quelle che uno spettatore può vivere ogni giorno.
È il caso de La terra dei figli di Claudio Cupellini tratto dall'omonimo fumetto di Gian Alfonso Pacinotti (in arte Gipi).
Il futuro mostrato nel film è post-apocalittico, dove i concetti di ricordo e scrittura sono soppiantati unicamente dalla necessità di sopravvivenza.
In questo contesto si muove il Figlio, un ragazzo che intraprende un viaggio per riuscire a emergere da dinamiche che lo porterebbero inevitabilmente a un futuro da bestia.
Il percorso di crescita procede parallelamente a quello della scoperta del mondo al di fuori della propria casa, popolato da personaggi a metà tra il folklore fiabesco e l’estetica punk di Mad Max: Fury Road.
Le derivazioni inoltre dal romanzo capolavoro La strada di Cormac McCarthy sono evidenti, ma la costruzione del paesaggio in cui si muove il protagonista de La terra dei figli è perfettamente coerente alla desolazione paludosa che certe campagne del nostro Paese possono trasmettere.
Il coming of age è applicato a dinamiche narrative prettamente legate alla fantascienza distopica, che Cupellini sfrutta giocando fin da subito con il titolo del film, mostrando una terra che di figli non ne vuole avere perché sarebbero linfa vitale per la possibilità di costruzione di un futuro.
[La terra dei figli è stato girato soprattutto nella laguna di Chioggia, Venezia]
Denti da squalo
Se il genere a cui appartiene La terra dei figli è la fantascienza, Piccolo corpo di Laura Samani si muove seguendo i paradigmi del fantasy, sempre con un’ottica che guarda verso il racconto di formazione.
Siamo nel 1901 e Agata perde sua figlia durante il parto: secondo la tradizione cattolica se alla nascita non è stato emesso nessun respiro allora non si può essere battezzati e si è condannati al Limbo.
Sulle montagne al confine tra il Friuli Venezia Giulia e il Veneto c’è però un posto dove i bambini possono essere riportati in vita per esalare un respiro e poter accogliere il sacramento del battesimo.
Agata perciò intraprende un viaggio per cercare di raggiungere questo luogo, accompagnato sulla strada da Lince, un giovane ragazzo che le offre il suo aiuto.
Piccolo corpo è un film essenziale e lineare nella sua costruzione narrativa, che mette al centro prima di tutto i sentimenti, per poi sviluppare attorno ai due protagonisti una scoperta graduale e introspettiva di ciò che realmente vogliono essere. La follia che sembra compiere Agata assume i connotati di una lotta “al femminile” nei confronti di una società che impone la propria visione dogmatica e maschilista su determinata questioni.
Una visione viscerale e audace di un percorso di crescita che esplode in un finale dalla rara potenza visiva e emotiva, pieno di vita nonostante dialoghi con la morte.
[Laura Samani ha vinto il David di Donatello come Migliore Regista Esordiente per Piccolo corpo]
Denti da squalo
Anche Alice Rohrwacher è una regista che fin dal suo esordio ha realizzato film che si muovono tra il fantasy e il Cinema del reale, come nel caso di Corpo celeste.
La storia del ritorno in Calabria dopo dieci anni trascorsi in Svizzera della tredicenne Marta rappresenta un percorso di crescita che mostra la desolazione del quotidiano in certe situazioni sociali.
L’aspetto grottesco del film deriva dal tema del cattolicesimo, affrontato da Rohrwacher con un piglio quasi documentaristico che rende Corpo celeste un’opera sospesa tra il reale e il mistico.
Due caratteristiche che la regista toscana svilupperà sempre con maggior cura nei suoi successivi film.
Il crime movie e il fantasy sono i due generi che Denti da Squalo fa convivere per mettere in scena il percorso di formazione di Walter, dove l’emulazione verso un’idealizzazione dei “Più grandi” si trasforma in una riscoperta dell’infanzia perduta.
Qualcosa di fondamentale per poter vivere appieno tutti quei momenti di innocente felicità che il mantra “Quando sarai grande”, cantato da Edoardo Bennato durante i titoli di coda, ci spiega essere così importanti.
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