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La Piedad è il nuovo film di Eduardo Casanova, già salito agli onori della cronaca alla Berlinale 2017 con Pelle: prodotto da Alex de La Iglesia e Carolina Bang, l'opera prima aveva diviso nettamente il pubblico e aveva causato molto clamore.
Come per l'esordio del regista-attore spagnolo, uno dei nomi più noti e attesi del Concorso Lungometraggi di questa 40ª edizione del Torino Film Festival, il film cattura l'occhio sin da subito grazie alle sue tinte rosa pastello, alla sua geometria esasperata, ai suoi gesti meccanici e a quella fascinazione istantanea che provocano gli oggetti così bizzarri.
[Il trailer spagnolo de La Piedad: vista la partecipazione di Netflix alla produzione probabilmente il film arriverà in streaming, nonostante non ci siano ancora date ufficiali]
Catturato lo spettatore con i propri eccessi e le proprie stranezze arriva però il compito più arduo, ovvero mantenere delle premesse così particolari e ardite costruendo un'impalcatura narrativa e tematica sufficiente a giustificare così tanto straniamento.
Il rischio di chiudersi in una bellissima gabbia vuota in cui non resta nulla oltre alla volontà di stupire, infastidire e costruire è sempre dietro l'angolo.
Come spesso capita in molte opere prime, a causa di una mano non abbastanza esperta per imbrigliare la grande quantità di idee e intuizioni, in Pelle tutto questo eccesso aveva preso il sopravvento sulla sostanza del film; ne La Piedad sicuramente si percepisce una maggior consapevolezza del mezzo e degli obiettivi e un'ottima capacità di giocare con se stessi, sgravando così un film che flirta costantemente con il didascalismo e l'autocompiacimento.
Un'opera sicuramente più matura, in cui l'autore spagnolo ci racconta il rapporto di interdipendenza tra una madre e un figlio, in un parallelo costante con quello tra popolo e dittatore - topos tematico abbastanza chiaro in questa edizione del Torino Film Festival - due immagini che sembrano suggerire l'ovvia astrazione che il vero nodo centrale de La Piedad sia scandagliare il legame che si viene a costruire tra tutte le vittime e i propri carnefici.
Una visione stralunata dell'amore filiale in cui la madre Libertad (Ángela Molina, una delle attrici feticcio di Pedro Almodóvar) - nomen decisamente non omen vista la segregazione in cui vive e costringe il figlio - non vuole lasciar andare il suo bambino ormai completamente adulto e Mateo, il figlio, dimostra fisicamente e fino al suo ultimo respiro quanto ami questa accogliente protezione e sensazione di essere necessario.
Tutto all'ombra di un padre assente, Roberto, fuggito dalla stessa incapacità di liberarsi di cui sono vittime i due protagonisti.
[Il corpo di Mateo (Manel Llunell) che lungo La Piedad diventa la tela su cui mostrare le conseguenze della violenza chiamata "troppo amore"]
La vita dei due viene sconvolta dalla malattia nei primissimi minuti del film, quando scoprono che Mateo ha il cancro e che quindi, nella loro visione completamente alterata della famiglia, entrambi lo hanno contratto.
Le cure, la stanchezza e una psicologa di supporto alimentano così le già presenti spinte di liberazione nella mente del giovane rispetto alla sua gabbia rosa pastello.
Molto del simbolismo all'interno de La Piedad gira attorno all'ambivalenza di questo giovane che da un lato sogna la fuga e la libertà, ma dall'altro sembra sempre più psicosomaticamente avvinghiato alla madre e incapace di liberarsene; una spirale di dipendenza a cui a un certo punto non proverà più a resistere, cedendo completamente agli istinti autodistruttivi.
[Mateo e Libertad sfigurati e stremati dal cancro e immersi nell'accostamento grigio-rosa che caratterizza La Piedad]
Il percorso all'interno della malattia è lo specchio della tossicità del rapporto tra i due e di come anche i pareri più autorevoli a un certo punto non possono modificare l'andamento suicida di quest'ultimo, un aspetto rappresentato perfettamente dall'eccesso di medicinali e del loro uso come panacea di tutti i mali.
Il tutto è messo in parallelo con fantasiosi racconti ambientati nella Repubblica Popolare Democratica di Corea tra unicorni e fragole avvelenate per il controllo demografico: il racconto dell’interdipendenza tra popoli e regnanti è chiaramente una sfumatura politica e attuale, ma è soprattutto un altro esempio dello schema generale che sembra essere il vero obiettivo di Casanova ne La Piedad.
[Il popolo nordcoreano che scende in piazza per piangere la morte del leader Kim Jong-il, La Piedad è infatti ambientato in un surreale 2011]
Una sorta di Sindrome di Stoccolma dolorosamente inspiegabile che popoli e prigionieri hanno nei confronti dei propri aguzzini, che il regista mette in scena in maniera così bizzarra da rimuoverne ogni ombra di emotività per lasciarne solo l’analisi e la stralunata rappresentazione fatta di eccessi visivi: allattamenti al seno, parti naturali di adulti, funerali di dittatori, avvelenamenti, suicidi e mutilazioni.
Tutto rigorosamente caratterizzato dal rosa pastello.
L'estetica invadente, eccentrica e molto curata de La Piedad non è solo un'esagerazione fine a se stessa, ma la rappresentazione simbolica di un'incapacità di vedere la realtà e di percepirne le crepe; elementi come il nero che si insinua nel rosa, la dominante grigia del regime di Pyongyang e il sangue che scorre nelle stanze perfette e immacolate della casa di Libertad e Mateo sono simboli invisibili agli occhi dei protagonisti, che vogliono solo sentirsi indispensabili e amati, come dirà il personaggio di Marta (Ana Polvorosa), nuova moglie incinta di Roberto.
[Uno degli incubi di Libertad ne La Piedad in cui Casanova ci mostra il parto di Mateo adulto]
La Piedad è senza dubbio un film più maturo di Pelle e che dividerà, pur trovando senz'altro i propri estimatori grazie anche a una cura nella messa in scena innegabile e a un rapporto tra la bizzarria delle scelte e le esigenze registiche del film che sembra decisamente più saldo di quello dell'opera precedente.
Pur potendo non apprezzare l'eccentrico eccesso che evidentemente caratterizza lo stile di Casanova, infatti, qui si percepisce senza dubbio la stretta connessione che è riuscito a costruire tra forma e contenuto.
La forma infatti sembra ancora prendere il sopravvento sul contenuto e si respira quella sensazione di sovrabbondanza leziosa sia nelle scelte sia nelle sottolineature dei concetti (che tra l'altro non risultano particolarmente acuti o densi di analisi), ma si nota comunque la volontà di mettere tutto ciò al servizio dell'opera e non viceversa: un passo avanti, anche se forse non quello definitivo.
[La vuota leziosita spesso è necessaria agli obiettivi de La Piedad, ma non sempre Casanova riesce a tenerla imbrigliata nella funzionalità]
La Piedad è un film che piacerà senza dubbio a quel pubblico che vuole vedere qualcosa di bizzarro ed estremo senza preoccuparsi che questo sia necessario o interessante, ma che questa volta potrebbe suscitare interesse e riflessione (sia formale, sia contenutistica) in tutti gli spettatori, pur riconoscendone i limiti.
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