#articoli
I fratelli Dardenne, Luc e Jean-Pierre, sono due dei maggiori cineasti della Storia del Cinema.
Presenze assidue del Festival di Cannes, kermesse che negli anni li ha premiati con due Palme d'oro, un Grand Prix Speciale della Giuria, un Prix du scénario, un Prix de la mise en scène e dello speciale Premio del 75° anniversario per la loro ultima opera, Tori e Lokita, i due cineasti belgi hanno contribuito alla Settima Arte in maniera tanto fondante da aver dato vita a una prolifica corrente artistica: il Cinema del reale.
Partendo da un vissuto come documentaristi, i fratelli Dardenne hanno traslato il proprio peculiare approccio al Cinema di finzione, costruendo uno stile di scrittura e direzione del tutto inconfondibile.
Un'idea che è stata generata, a ben vedere, da una loro elaborazione di concetti già fondati dal Cinema italiano, che gli stessi registi hanno definitito "Come se fosse una madre.
Siamo nati con il Neorealismo, il Cinema di Roberto Rossellini, di Luchino Visconti, di Federico Fellini”.
[I fratelli Dardenne ed Émilie Dequenne nella storica premiazione del Festival di Cannes 1999 che valse ai registi la loro prima Palma d'oro e all'attrice il Prix d'interprétation féminine]
Non deve dunque stupire che la possibilità di ospitare i fratelli Dardenne per una Masterclass e per l'anteprima nazionale di Tori e Lokita rappresentasse l'autentico fiore all'occhiello per la 63ª edizione del Festival dei Popoli, istituzione da sempre particolarmente sensibile al Cinema documentario.
L'intervento di apertura del direttore Alessandro Stellino è stato interamente incentrato sulla necessità di sottolineare quanto vitale sia l'approccio umanistico dei Dardenne all'interno di un panorama cinematografico odierno definito come "glaciale e disumano".
L'umanesimo è, infatti, la caratteristica fondante dell'opera dei fratelli Dardenne, interamente incentrata sui dilemmi morali e sulle debolezze dei propri personaggi.
[I fratelli Dardenne e Daniela Persico sul palco del Festival dei Popoli]
L'incontro, tenutosi presso il cinema La compagnia di Firenze e moderato da Daniela Persico, ha tracciato un autentico percorso all'interno del loro modo di fare Cinema, dalle origini ai giorni nostri e ha fornito numerosi spunti per capire e, se possibile, amare ancora di più l'opera dei fratelli Dardenne nel loro complesso.
I due si sono ritrovati innanzitutto a spiegare come il loro lavoro sia nato dalla loro percezione di una prospettiva medio-borghese, a partire dalla quale era del tutto occlusa la possibilità di conoscere le storie di chi si trovava nelle classi meno abbienti.
I fratelli Dardenne hanno, infatti, raccontato come non vi fosse alcuna testimonianza degli scioperi operai del 1960 e come nessuno avesse avuto intenzione di raccontare storie simili:
“Il nostro Cinema ha origine in due dati di fatto: da un lato la nostra collaborazione con Armand Gatti, dall'altro la nostra appartenenza a una specifica regione.
Abbiamo iniziato a fare Cinema non solo pensando a un Cinema militante, ma con la consapevolezza che la classe operaia stesse scomparendo e quindi volevamo curare la memoria, farne testimonianza.
Il nostro lavoro è iniziato con Armand Gatti con il movimento operaio in Francia: è stato il nostro padre spirituale.
Dopo la seconda guerra abbiamo incontrato molti italiani che lavoravano qui - attualmente quasi un quarto della popolazione della nostra zona di riferimento è di orgine italiana - e ci siamo detti: non c’è niente sulla storia di questa gente, perché non la raccontiamo noi?”
[Armand Gatti, autentico padre spirituale dei fratelli Dardenne]
Nasce così, con le storie di un'umanità che lottava per non scomparire, lo sguardo morale e umanista dei fratelli Dardenne.
Per ammissione degli stessi, grande influenza su di loro l'ha avuta Ivo Saccomanno, un operaio di origini friulane da loro definito come "un universalista, malgrado solitamente la memoria operaia sia legata a zone molto definite."
In questo intervento, secondo la mia prospettiva, si riassume buona parte dell'approccio poetico dei due autori belgi: si tratta di un Cinema di piccoli borghi, viuzze strette, legami intimi e situazioni quotidiane, ma che veicola messaggi universali e questioni morali di valenza assoluta.
I fratelli Dardenne hanno così proseguito:
“La prima cosa che abbiamo fatto è stato andare nei quartieri popolari, nel 1975: se lo facessimo oggi la gente sarebbe diffidente.
Noi allora suonavamo il campanello e ci presentavamo per fare dei ritratti delle persone e poi proiettarle nelle associazioni, nelle sale della parrocchia, per poterli filmare e farci raccontare quelle che loro credevano fossero le ingiustizie della loro vita; molte riguardavano il lavoro.
Era la prima volta che le persone si potevano vedere subito nelle riprese come in TV, ma nella vita reale solo il video poteva fare questo: la memoria di quello che avevano fatto quelle persone poteva essere trasmessa ad altri, ai loro figli, a chi vedeva quei video legati al passato.
Da qui abbiamo iniziato a fare documentari: tutto quello che riguardava il nazismo in queste regioni, gli scioperi operai, un diario/giornale di un militante, tutte le storie personali, nella loro quotidianità.
Erano le memorie della nostra regione e volevamo trasmetterle prima di tutto a noi stessi, poi alle generazioni future, e lo abbiamo fatto fino all’85.
Questa è un'epoca individualista, per questo è triste: parlare delle persone è il nostro modo per trovare linguaggio universale"
[La Promesse è universalmente considerato come il film che ha dato vita al lascito cinematografico dei fratelli Dardenne]
Il rapporto dei fratelli Dardenne con gli esseri umani che per la prima volta si ritrovano dinnanzi alla cinepresa risulterà fondamentale anche nei loro lavori di finzione, come avranno modo di specificare anche più avanti nel corso della Masterclass.
A proposito delle loro prime opere, infatti, i fratelli Dardenne hanno raccontato come sia nato il loro stile così inconfondibile:
"Abbiamo imparato a non avere paura della tecnica.
Abbiamo capito che la tecnica dev'essere al servizio dei nostri personaggi, non deve imbrigliarci.
Il piano sequenza è un modo per permettere al nostro personaggio di vivere, ma è anche un riflesso dei nostri dubbi su quando tagliare una scena. Per certi versi questo è un lascito del teatro: creare un luogo e un tempo per un nostro personaggio.
Ci diciamo sempre di mettere la macchina da presa nel posto sbagliato, come se il corpo che filmiamo non fosse per il nostro film, ma per qualcosa che persiste, dovunque noi la collochiamo.
Non vogliamo usare i nostri personaggi come marionette per veicolare messaggi, vogliamo far resistere una persona nel nostro quadro.
Una volta ci è stato detto da un fervente anti-capitalista che Rosetta avrebbe dovuto avere un altro finale, che avrebbe dovuto effettivamente sostituirsi a Riquet, eliminandolo: avrebbe dovuto portare alle estreme conseguenze ciò che incarna.
Ma lei non lo fa, perché malgrado tutto, lei compie un'altra scelta.
Un critico inglese diceva che guardando i nostri film aveva sempre l’impressione di essere in ritardo, malgrado fosse stato puntuale all'inizio del film.
Nei nostri film siamo già in movimento, come se l’azione fosse più ampia di quello che riusciamo a filmare, come se i nostri personaggi esistessero prima e continuassero a esistere anche dopo.
Tutto ciò lo abbiamo capito dopo aver fatto un film completamente sbagliato come Je pense à vous: è stato un fallimento che ci ha dato la forza e la determinazione per stravolgere il nostro metodo e girare La Promesse."
[David Cronenberg, presidente di giuria a Cannes 1999, ha recentemente raccontato come la Palma d'oro conferita ai fratelli Dardenne per Rosetta sia stata la più rapida della Storia del festival: ci fu unanimità sin dalla prima votazione]
Approfondendo il loro approccio metodologico, i fratelli Dardenne hanno scelto di soffermarsi su due profili.
In primo luogo hanno sottolineato quanto per loro sia fondamentale pagare tutte le location e l'intero cast per la totalità della durata delle riprese, in modo tale da avere sempre tutti gli ingredienti a disposizione per sviluppare il film in ordine cronologico e compiere aggiustamenti ogni qualvolta le riprese tornano su uno specifico set.
Il tutto dopo cinque settimane di prove interamente filmate, al fine di poter disporre di un'ampia selezione di indicazioni fornite già preventivamente.
In seconda istanza, sotto il profilo della loro direzione, i cineasti belgi hanno parlato così del loro approccio con attori non professionisti:
"Quando scegliamo un attore gli chiediamo sempre di fare tanti gesti fisici a partire da una semplice camminata, come fosse una sfilata.
Ad esempio a Jérémie Renier abbiamo chiesto di imparare a guidare, mentre non ha dovuto imparare a fumare perché già lo faceva, mentendo ai suoi genitori.
A Thomas Doret abbiamo fatto un autentico interrogatorio, mentendogli come fa la polizia. E lui era impassibile.
Ci guardavamo e annuivamo: il fatto di essere in due ci dà ottime indicazioni su quel che realmente vogliamo, concordare è sempre un'ottima cosa.
Abbiamo notato che Émilie Dequenne gesticolava molto e allora l'abbiamo portata fare cose che lei non avrebbe fatto, per aiutarla a comprendere che ciò che fa il personaggio non è ciò che farebbe lei: un giorno pioveva e le abbiamo chiesto di uscire indossando gli stivali del personaggio, lei ha detto che non avrebbe mai indossato quel genere di stivali.
Noi le abbiamo risposto che invece Rosetta l'avrebbe fatto e da quel momento ha capito.
Guardarli recitare per la prima volta al primo giorno di riprese, dopo aver dato il primo ciak, è bellissimo: vedi nascere degli attori, anche se poi non faranno più film."
[Olivier Gourmet, attore ricorrente nella filmografia dei fratelli Dardenne, ha vinto il Prix d'interprétation masculine per la sua interpretazione ne Il figlio]
Sulle indicazioni di regia fornite agli attori, i fratelli Dardenne hanno poi così proseguito:
"Cerchiamo di parlare il meno possibile con gli attori, di dare pochissime indicazioni.
Devono essere sempre incerti, li mettiamo volutamente in crisi: quando abbiamo girato Rosetta, Fabrizio Rongione aveva iniziato una scuola di recitazione e ci ha chiesto come fosse il suo personaggio. Gli abbiamo detto che doveva essere un angelo: asessuato.
Così abbiamo ottenuto quell'atteggiamento passivo, di accettazione, che risulta decisivo per permettere alla protagonista del film di guardarlo in un certo modo.
Olivier Gourmet, invece, sul set de Il figlio era ormai al suo terzo film e ci diceva quanto gli piacessero certi costumi o ci comunicava le sue idee su come doversi atteggiare e noi gli dicevamo sempre di no, perché un attore non deve mai amare ciò che indossa, deve essere sempre un po' a disagio.
Recentemente Jérémie Renier ci ha detto che malgrado ora si ritenga un buon attore ai tempi de La Promesse non avesse idea di cosa stesse facendo."
[Una delle cinque collaborazioni tra Jérémie Renier e i fratelli Dardenne è L'Enfant - Una storia d'amore, film che valse la seconda Palma d'oro ai belgi]
Sollecitati da Daniela Persico sulla loro recente tendenza a collaborare con attrici molto note del panorama cinematografico francese come Cécile de France, Adèle Haenel e Marion Cotillard, i fratelli Dardenne si sono così espressi:
"Quando ci è stato detto che preferiamo lavorare con attori non professionisti per non essere messi in difficoltà, per avere carta bianca, abbiamo deciso di chiamare degli attori noti.
Si è trattata di una sorta di reazione.
E, senza voler arrivare a dire che gli attori noti con noi arrivano a ripartire dalle fondamenta, si può di certo dire che effettuano un grande lavoro di ristrutturazione all'interno dei nostri film."
Una volta aperta la sezione legata alle domande al pubblico, i fratelli Dardenne hanno poi parlato dell'orgine delle loro storie, quasi sempre legate a eventi di cronaca o eventi raccontati, su cui loro hanno lavorato con l'intento di analizzarne i dilemmi morali, soffermandosi anche su alcuni snodi fondamentali delle loro opere.
Dal rapporto con lo sguardo verso il prossimo del trittico La Promesse, Rosetta e Il figlio alla facilità con cui scompaiono gli esseri umani nel mondo di Tori e Lokita, passando per il forte tradimento subito dal protagonista de Il ragazzo con la bicicletta e attraverso la follia generata dal senso di colpa dell'eponimo personaggio principale de Il matrimonio di Lorna.
Tutte sfumature dell'animo umano dipinte dai fratelli Dardenne a partire da episodi di cronaca o dinamiche quotidiane.
[Il lavoro dei fratelli Dardenne è stato oggetto di studi anche di Zygmunt Bauman che ha dedicato a Il matrimonio di Lorna la trentottesima lettera del saggio Cose che abbiamo in comune]
I fratelli Dardenne spesso sono stati affiancati a registi-militanti come Ken Loach e hanno attratto l'interesse di eminenti figure come Zygmunt Bauman: prendendo spunto dal loro ultimo intervento ho colto l'occasione per chiedere loro che rapporto avessero con il messaggio universale che si ritrovano a fornire, alla luce del loro approccio interamente ripiegato sull'umanità dei personaggi e non sul piano socio-politico.
"Una volta Ken Loach ha detto una cosa che non possiamo dire sia falsa, ma non è ciò che volevamo principalmente affermare.
Ha detto che Rosetta è un soldato del capitalismo che arriva a distruggere la vita del prossimo per sostituirlo: è esattamente così, ma non è ciò che ci interessa.
A un certo punto Rosetta rinuncia a eliminare il suo "nemico", comprende che quello che era un nemico poteva essere suo amico, magari non amante, ma prima suo amico e poi magari chissà, anche altro.
A noi interessava rappresentare come l’individuo fosse in grado, malgrado il sistema e le difficoltà ad esso connesse, di cambiare, di trovare una relazione amicale, una via diversa.
Cerchiamo di dare sempre una scelta ai nostri personaggi affinché non siano mai delle vittime: troviamo orribile quando ci sono delle circostanze attenuanti.
Sarebbe come trasformare un film in un tribunale, un processo."
Per loro stessa ammissione, dunque, la vera forza morale del Cinema dei fratelli Dardenne è quella di rappresentare un contesto politicamente imbarbarito, nobilitato dalle scelte dei singoli che riescono ad astrarsi da un certo sistema, combattendone le imposizioni e le traiettorie prestabilite anche a costo di esporsi a tremende rinunce.
Un'autentica lezione di umanesimo, che non ammette alcuna circostanza attenuante.
Ti è piaciuto questo articolo?
Sappi che hai appena visto il risultato di tanto impegno, profuso nel portarti contenuti verificati e approfonditi come meriti!