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WALL•E - Un mockumentary al contrario per riflettere sull'ambiente

Il nono lungometraggio della Pixar Animation Studios e la questione ambientale

Noi esseri umani non siamo nient’altro che dei colonizzatori egoisti e strafottenti: non sacrificheremmo mai nulla di nostro a beneficio dell’angolo di universo che abitiamo e, per questo, siamo destinati a soccombere da qui al prossimo secolo, in quanto rei di aver devastato un intero pianeta. 

 

Oppure potremmo sfruttare l’idea che ci viene proposta in WALL•E: costruire una mega nave spaziale per abbandonare la Terra agonizzante e spendere la nostra vita vagando nello spazio, nella speranza che il nostro pianeta blu torni a essere un posto vivibile. 

 

[Il trailer internazionale di WALL•E]

 

 

Sbarcato nelle sale cinematografiche nel 2008, il nono lungometraggio di Pixar Animation Studios – co-prodotto da Walt Disney Pictures - lasciò sbalordita la critica e il pubblico tutto per il grado di innovazione a livello grafico, l’attenzione ai dettagli sonori, le idee e gli escamotage narrativi e i messaggi che il film porta con sé.

 

Catastrofisti per alcuni, realistici e lungimiranti per altri.

 

Così raccontò Andrew Stanton, regista di WALL•E e scrittore dello stesso insieme ai due compagni di avventura Pete Docter (Up, Inside Out, Soul) e Jim Reardon (Ralph spaccatutto, Zootropolis), durante il Comic-Con 2007: 

“E se l'umanità avesse dovuto evacuare la Terra e qualcuno si fosse dimenticato di spegnere l'ultimo robot? 

 

Quella piccola frase evocava così tante possibilità che mi è rimasta impressa […]. 

Procrastinavo sognando a occhi aperti questa storia su un robot, perché combina due cose che amo: il genere dei film spaziali e il dare vita a un oggetto inanimato.”

 

Un’affermazione del genere non stupisce se pronunciata da chi ha partecipato alla scrittura di tutti e quattro i capitoli di Toy Story.

 

 

[Una delle prime immagini del pianeta Terra che ci viene mostrata in WALL•E]

 

 

WALL•E si apre facendo atterrare lo spettatore su quello che è il pianeta Terra del XXIX secolo, lasciandogli attraversare un’atmosfera rappresentata come un fitto scudo di detriti spaziali, chiaro segnale anticipatore della situazione apocalittica che verrà mostrata di lì a pochi secondi.

 

All’epoca dell’uscita di WALL•E il tema dei detriti spaziali era ben noto e, rispetto agli anni passati, andava delineandosi come problema sempre più grave

Era una questione sempre più frequentemente affrontata dalla comunità scientifica e se ne discuteva anche in vista degli obiettivi dell’allora giovane società aerospaziale SpaceX che mirava a realizzare razzi completamente riutilizzabili, obiettivo raggiunto nel 2015.

 

Già dai primissimi frame, dunque, il film mostra una grande efficacia comunicativa che sarà una costante per tutto il lungometraggio: pochi elementi visivi o sonori, scelti con cura e incredibilmente funzionali per raccontarci storie e definire le personalità dei personaggi.

 

La Terra è ormai una palla arida e deserta, sommersa dai rifiuti e abbandonata dal genere umano il quale, dopo decenni di incuria e disinteresse, non è riuscito a fronteggiare attivamente il problema dell’inquinamento e ha deciso di adottare una strategia passiva.

Tutti i terrestri sono stati evacuati sulla gigantesca nave spaziale Axiom realizzata dalla Buy n Large Corporation (BnL) che, inizialmente, doveva servire ad accoglierli per una crociera della durata di cinque anni.

 

Intanto, sulla Terra, i robot della serie WALL•E (Waste Allocation Load Lifter • Earth-Class, in italiano traducibile come Sollevatore di carico per l’allocazione di rifiuti • Serie terrestre) si sarebbero occupati di ripulire il pianeta, rendendolo nuovamente ospitale per il ritorno degli esseri umani.

 

Non un’operazione di sensibilizzazione alla questione ambientale, nulla che potesse andare a modificare le sacre abitudini degli esseri umani: si è solo passata la patata bollente ai robot.

 

 

[WALL•E alle prese con la quotidiana raccolta dei rifiuti]

 

 

Nel tempo però qualcosa è andato storto: tra un grattacielo di spazzatura e l’altro vediamo robot non funzionanti, ormai spenti, incapaci di portare a termine il compito per cui erano stati programmati: un cimitero di ferraglia inutile.

 

Rimasta inadeguata ad accogliere la vita, dopo 7 secoli la Terra è ancora disabitata e i terrestri continuano a vagare nell’universo, vivendo un’infinita crociera fatta di lussi e comfort, assuefatti dalla sicurezza di quella comoda routine, senza più stimoli e pulsioni di qualunque genere. Solamente un ultimo robot - il vero protagonista della storia - sembra essere rimasto attivo sul suolo terrestre.

Senza alcuna possibilità di supporto da parte dei suoi colleghi, WALL•E prosegue nel suo lavoro, seguendo la direttiva caricata sulla sua scheda di memoria circa 700 anni prima: compattare rifiuti in cubetti e sistemarli ordinatamente.

 

Con la sola compagnia di uno scarafaggio - Hal, unico essere animale rimasto sul pianeta che rimanda a una bizzarra teoria secondo cui gli scarafaggi sarebbero resistenti a qualunque cataclisma, addirittura a un’esplosione nucleare - WALL•E va avanti e indietro dalla mattina alla sera, procedendo nella sua quotidiana routine. 

 

A sconvolgere l’ordinario procedere delle giornate è l’arrivo della robottina EVE (Extraterrestrial Vegetation Evaluator, cioè Esaminatore di vegetazione extraterrestre), una delle sonde che dalla Axiom partono periodicamente in direzione Terra alla ricerca di vita, per capire se il pianeta sia tornato o no in salute e così, nel caso, riportare indietro tutti i terrestri.

 

WALL•E si innamora, è un vero colpo di fulmine: da quel momento farà di tutto per rimanere al fianco di EVE, elegante robot tecnologicamente molto più avanzato di lui, dalle movenze delicata e leggiadre ma dotata di letali capacità di combattimento.

 

Il film di animazione di Andrew Stanton è una storia d’amore a tutti gli effetti, ma non è mai banale e risulta decisamente all’avanguardia per il contesto sociale e ambientale in cui viene inserita, per la forza delle scene che sono tanto brevi quanto dense di significato.

 

 

[WALL•E e EVE durante uno dei loro primi appuntamenti]

 

 

Ai giorni nostri temi come la salvaguardia dell’ambiente, il ciclo di vita dei materiali e la lotta agli sprechi sono tutti concetti ben noti.

 

L'approccio a determinati argomenti da parte dell’uomo medio è stato incoraggiato certamente dai vari movimenti di protesta contro il riscaldamento globale, primo fra tutti il famoso Fridays for Future fondato dall’attivista Greta Thunberg.

 

Non prendiamoci in giro, però: il vero motivo per cui ora ne parla preoccupato non solo lo scienziato-topo da laboratorio ma anche il barista sotto casa è perché gli effetti nefasti del generale disinteresse per il pianeta si stanno ormai vedendo direttamente nelle tasche di tutti o, peggio, nei tetti che crollano a causa di alluvioni fuori stagione.

 

In termini di preoccupazione per il pianeta il 2008 sembra un’era geologica fa: è in quest’ottica che WALL•E è stato assolutamente innovativo. 

In WALL•E non viene solo mostrato a cosa hanno portato le abitudini dell’essere umano che si crede padrone, e non ospite, del pianeta Terra, bensì fin dove si siano spinti e quanto siano stati ciechi il consumismo e il menefreghismo comune. 

 

Non si vedono terrestri in lotta gli uni contro gli altri per accaparrarsi acqua e benzina come in Mad Max: Fury Road, non esistono zone franche per vivere - seppure in condizioni non idilliache - come sul treno di Snowpiercer: l’unica soluzione ritenuta plausibile contro l’estinzione è stata quella di abbandonare il pianeta.

 

 

[Il piccolo WALL•E circondato dai rifiuti dei terrestri]

 

 

Questo scenario, per quanto possa sembrare irrealistico, esagerato, con iperboli inserite nel film per necessità di narrazione, segue le linee guida di cui abbiamo discusso prima.

 

Non abbiamo iniziato a prendere sul serio il cambiamento climatico fino a quando non siamo stati costretti a portare dal carrozziere l’auto a causa della grandinata improvvisa.

Non prendiamo nessun segnale sul serio fino a quando è troppo tardi per aggiustare la situazione: perché quindi ritenere irrealistica una situazione di non ritorno come quella rappresentata in WALL•E?

Solo perché si tratta di un film di animazione?

 

“AUTO, la Terra è incredibile!” dice il comandante B. McCrea al computer di bordo della Axiom (chiaro omaggio all'HAL 9000 di 2001: Odissea nello spazio) quando, sfogliando un libro trovato a bordo della nave spaziale, inizia a scoprire tutte le meraviglie che un tempo erano parte del pianeta Terra.

 

Il cielo, il mare, l’erba, tutte cose che i terrestri davano per scontate, di cui non si sono curati e a cui, alla fine, hanno dovuto rinunciare finendo per dimenticarsene.

 

I passeggeri della Axiom del 2800 non conoscono altro se non la vita da crociera che li ha sempre accompagnati fin dalla nascita, per generazioni.

Non camminano perché portati in giro da comode poltrone fluttuanti, non cucinano perché nutriti in automatico da robottini che portano loro mega frullati (masticare richiederebbe troppa fatica e, inoltre, cosa masticare se non esistono agricoltura e allevamento?).

 

L’unica cosa che fanno dalla mattina alla sera è stare davanti agli schermi incorporati nelle loro poltrone, rapportandosi agli altri solo attraverso i dispositivi digitali, guardando e discutendo di serie ed essendo totalmente vulnerabili alle pubblicità da cui vengono continuamente plagiati. 

 

“Attenzione acquirenti Axiom! Provate il blu: è il nuovo rosso!”

 

“Uuuh! Adoro il blu!”

 

 

[WALL•E a bordo della nave spaziale Axiom insieme a due passeggeri]

 

 

Come biasimare il popolo della Axiom se nessuno di loro ha mai conosciuto altro, se non hanno mai visto cosa si sono persi sulla Terra?

 

In questo senso, noi popolo terrestre del XXI secolo siamo molto peggio di loro: sappiamo esattamente cosa stiamo distruggendo, ma continuiamo a distruggerlo.

Abbiamo tutte le prove per prevedere come degenererà la catastrofe ambientale già in atto, ma non facciamo niente o, comunque, non abbastanza.

 

Perché cambiare non è gratuito, anzi, è una delle cose più faticose, soprattutto se si parla di modificare drasticamente le proprie abitudini; è dispendioso in termini di tempo, energia, soldi, quindi preferiamo la nostra bella poltrona comoda con lo schermo incorporato.

E se facendo zapping dovessimo incappare nella notizia di un incendio, un’alluvione, un disastro ambientale di qualunque tipo dovuto al cambiamento climatico, pazienza: basterà cambiare canale.

 

Temi come questi, seppure maggiormente sentiti al giorno d’oggi piuttosto che in passato, non è la prima volta che vengono affrontati sul grande schermo.

 

Basti pensare alla Trilogia Qatsi diretta da Godfrey Reggio, in particolare a Powaqqatsi e Naqoyqatsi - rispettivamente il secondo e il terzo capitolo della saga - in cui si mostra l’abisso esistente tra il Primo e il Terzo Mondo, si condannano l’industrializzazione, lo stile di vita moderno che porta all’alienazione individuale, l’esaltazione della fama e del successo come unici obiettivi di vita da perseguire a qualunque costo, come in una guerra tutti contro tutti.

 

Altri esempi sono i più recenti documentari Antropocene - L’epoca umana, in cui si parla di alcuni tra i più drammatici disastri ecologici mai avvenuti, o Infodemic - Il virus siamo noi, film che mette in guardia contro la disinformazione, dimostrando sul campo i danni del cambiamento climatico.

 

 

[Una scena di danza ambientata all'interno della "casa" di WALL•E]

 

 

A differenza degli esempi citati, però, WALL•E è riuscito a rendere digeribili le tematiche ambientali anche a chi non è un cinefilo incallito, agli spettatori che non hanno troppa familiarità con il Documentario, genere che più spesso viene sfruttato per affrontare questi argomenti.

 

Come detto, del resto, nel film di animazione il fil rouge è rappresentato dalla storia d’amore tra WALL•E e EVE che, fin dall’inizio, è il collante e il motore di tutto.

 

Altro tema affrontato in WALL•E è quello dell’importanza del riciclo dei rifiuti: il robot protagonista, infatti, uscirà da una brutta situazione proprio grazie alla sua mania per la conservazione dei pezzi di ricambio e dei dispositivi ancora funzionanti, ritrovati in mezzo ai rifiuti durante le sue giornate di lavoro. 

Non solo: l’operazione di recupero di materiale ancora in buono stato (che fa pensare ad Ariel de La sirenetta mentre colleziona gli affascinanti oggetti umani sprofondati negli abissi) aiuterà il goffo WALL•E a far colpo su EVE.

 

Oltre al gran valore contenutistico per i messaggi ambientalisti che porta con sé, WALL•E è un prodotto di notevole pregio tecnico.

 

Una delle più grandi difficoltà degli autori è stato pensare non tanto a come animare un oggetto inanimato (in quello ci erano già riusciti egregiamente con Toy Story), bensì a come rendere espressivo un oggetto che viene comunemente pensato senza emozioni. 

La vasta gamma di espressioni di cui è capace WALL•E è dovuta principalmente agli occhi, caratteristica per cui il robot ideato da Stanton è stato accostato a Numero 5, il robot protagonista della commedia di fantascienza Corto circuito, del 1986.

 

Il regista di WALL•E, però, ha dichiarato che l'ispirazione per gli occhioni della sua creatura fu il binocolo del padre con cui giocava da bambino, oggetto che permetteva di assumere un’espressione triste o allegra in base al verso in cui veniva utilizzato. 

 

 

[Colazione mediterranea? No, grazie: colazione solare!]

 

 

Un incredibile lavoro, funzionale per umanizzare maggiormente i protagonisti del film, è stato fatto anche in termini di design sonoro da Ben Burtt

 

Detentore di quattro Premi Oscar e ideatore di alcuni tra i suoni più riconoscibili e iconici della Storia del Cinema (sono opera sua il suono delle spade laser, i bip di R2-D2 e i rumori delle navicelle e dei blaster di Guerre stellari), Burtt è stato capace di fondere effetti sonori tipicamente meccanici con ciò che appartiene maggiormente alla nostra quotidianità.

 

L’idea era che, in questo modo, guardando i personaggi del film lo spettatore potesse percepire meno la distanza uomo-macchina: è per questo che i rumori di sgancio, scivolamento e rotazione delle parti meccaniche dei robot sono stati affiancati da suoni familiari come quello dell’accensione di un portatile Apple, segnale prodotto da WALL•E una volta finita la “colazione” (la sua quotidiana ricarica solare). 

 

O ancora, le voci dei protagonisti sono state modificate perché risultassero più metalliche, tipicamente da robot, ma la volontà era quella di lasciare comunque la possibilità di far interpretare alcune parole, tra cui i nomi dei personaggi principali.

La voce di AUTO, invece, è chiarissima a livello di linguaggio: è fredda e inespressiva, ma la familiarità con la sua voce sta nel fatto che, nella versione originale, per doppiare questo personaggio è stato utilizzato MacInTalk, un famoso programma di sintesi vocale sviluppato da Apple negli anni ’80. 

 

Gli elementi sia grafici sia sonori che il mondo di WALL•E ha in comune con il nostro mondo, oltre che a stimolare una certa empatia, servono a seminare nella mente dello spettatore l’idea che quello che stiamo guardando non sia poi così distante da noi.

 

Anche se non abbiamo (ancora) robot tecnologicamente avanzati come EVE, anche se non siamo in grado di costruire navi spaziali come la Axiom, abbiamo avuto anche noi i videoregistratori e le VHS, abbiamo gli accendini e le lucine di Natale per addobbare casa.

 

 

[EVE, WALL•E e gli oggetti "etnici" che fanno colpo]

 

 

Abbiamo tutto l’occorrente per una rovinosa, inarrestabile degenerazione.

 

Abbiamo però anche il potenziale per una difficile, faticosa ma necessaria risalita, provando a cambiare un finale apocalittico che sembra già scritto e che, nel caso, sarebbe molto probabilmente peggiore di quello mostrato in WALL•E, con i terrestri che non si sono estinti.

 

Possiamo prendere WALL•E come film di animazione con cui passare un bel pomeriggio, guardarlo per ridere dei personaggi e affezionarci a essi, godere della bella CGI e della colonna sonora di Thomas Newman a cui ha collaborato Peter Gabriel

 

Oltre a tutto ciò, però, potremmo sfruttare l’occasione, offrire terreno fertile al seme lasciato da questo film, concimandolo con approfondimenti sulla questione ambientale e facendo germogliare, forse, una coscienza sociale. 

 

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